Narges Mohammadi inizia lo sciopero della fame: continua la protesta dell'iraniana

Preoccupano le condizioni di salute dell'attivista premio Nobel per la Pace 2023 che si rifiuta di indossare l'hijab

di MARIANNA GRAZI
7 novembre 2023
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La premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi ha iniziato lo sciopero della fame nel carcere di Evin, a Teheran. L'attivista iraniana, che il mese scorso ha ricevuto il riconoscimento dall'accademia di Svezia ma non può ritirarlo perché detenuta nelle terribile prigione del Paese, ha avviato la sua protesta silenziosa e non si fermerà fino a che non avrà ottenuto ciò per cui sta lottando. Anche a costo della vita, considerato anche il mancato trasferimento in clinica per le cure della scorsa settimana, dopo il rifiuto a mettere l'hijab.

No al velo no alle cure

Le autorità carcerarie di Evin, a nord della capitale, centro detentivo famoso per essere il luogo dove vengono rinchiusi i detenuti politici, infatti, la settimana scorsa hanno bloccato il trasferimento in ospedale di Mohammadi, 51 anni, perché la giornalista si è rifiutata di indossare l'hijab, velo islamico obbligatorio nei luoghi pubblici in Iran dal 1979.
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L'attivista iraniana Narges Mohammadi sta scontando una condanna a più di 10 anni di carcere nella prigione di Evin

La donna, che è stata insignita quest'anno del premio Nobel per "la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti", soffre di problemi cardiaci e polmonari, e ha bisogno di cure periodiche costanti: le sue condizioni di salute, da quando è detenuta, sono sensibilmente peggiorate. La sua famiglia ha fatto sapere che, a causa del suo rifiuto di indossare il velo, a fine ottobre Mohammadi non era stata portata nemmeno nell’infermeria dell'ospedale ma era stata visitata direttamente nell'ala femminile del carcere. Le autorità hanno deciso di non trasferirla in clinica fino a quando non ubbidirà alla legge.

Lo sciopero della fame di Mohammadi

Ma l'attivista per i diritti delle donne non sembra intenzionata a piegarsi al regime e continua a portare avanti la sua protesta contro le condizioni carcerarie e la mancanza di cure mediche, non solo per lei ma per tutti i detenuti. "La Repubblica islamica è responsabile di tutto ciò che accade alla nostra amata Narges", hanno scritto in un nuovo comunicato i familiari, attualmente rifugiati in Francia, spiegando i motivi dello sciopero della fame.
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La giornalista 51enne soffre di problemi cardiaci e polmonari ma poiché rifiuta di indossare l'hijab non è stata trasferita in ospedale per le cure

Ma chi la conosce sa che non mollerà, come non ha fatto in oltre 30 anni di lotta per i diritti che le sono costati 13 arresti, il primo nel 1998 e l'ultimo nel 2021, e cinque condanne, per un totale di 31 anni di reclusione da scontare e 154 frustate. Ma la preoccupazione per la sua salute è tanta, visto che soffre di problemi cardiaci e polmonari che la nuova protesta potrebbero aggravare ulteriormente. "È da una settimana che le rifiutano l'assistenza medica di cui ha bisogno" ha tuonato la presidente del Comitato norvegese per il Nobel della Pace, Berit Reiss-Andersen, definendo l'obbligo di indossare il velo per essere ammesse in ospedale "disumano" e "moralmente inaccettabile". Pen International, un gruppo che promuove la libertà di espressione, ha invece accusato le autorità iraniane di essere "pienamente responsabili di mettere a rischio" la vita di Narges Mohammadi. Condanne sono arrivate poi anche da altre organizzazioni per i diritti umani, che tornano ad appellarsi per la sua liberazione.

L'attivismo per le donne

La 51enne non si è mai arresa, facendo sentire la sua voce anche quando sono scoppiate le proteste per la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda deceduta a settembre 2022 mentre era tenuta in custodia dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. La 'leonessa dell'Iran', come la chiamano le donne della sua terra, non ha mai ceduto alla pressione della clausura forzata e proprio in occasione dell'anniversario della morte della 22enne ha sfidato ancora una volta le autorità di Teheran, bruciando il velo nel cortile della prigione di Evin.
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Armita Garavand, morta dopo un mese di coma, e Mahsa Amini, vittima della polizia morale a settembre 2022

Quando è morta, dopo una lunga agonia in coma, Armita Garavand, la 17enne picchiata dalla polizia nella metropolitana di Teheran perché senza velo, Mohammadi ha definito questo ennesimo delitto: "Un nuovo omicidio di Stato". Un'accusa, va da sé, respinta dalle autorità di Teheran, che temono la vicenda si trasformi in una miccia per nuove proteste al grido di Donna, vita, libertà. Il velo, ancora una volta, al centro delle rivendicazioni: "Il mezzo di controllo e repressione imposto alla società e dal quale - ha denunciato la premio Nobel - dipende la continuazione e la sopravvivenza di questo regime religioso autoritario". Ma anche lo strumento per combattere il regime: Mohammadi lo sa bene e non lo indosserà nemmeno per salvarsi la vita.