Perù, Mila non può abortire: a 11 anni è vittima di stupro

La bambina, il cui nome vero rimane riservato, ha subito violenze sessuali da pare del patrigno da quando aveva 6 anni. Lei e i suoi 3 fratelli sono stati tolti alla madre e mandati in un istituto

di MARIANNA GRAZI
10 agosto 2023
Mila

Mila

A Mila, una bambina di 11 anni, rimasta incinta in seguito allo stupro commesso dal patrigno, è stato negato l'aborto. È successo in Perù e a denunciare la terribile vicenda sono stati i parenti della piccola, dopo che il 4 agosto una commissione medica dell'Ospedale regionale di Loreto ha negato l'autorizzazione alla procedura. Un episodio che ricorda purtroppo i precedenti negli Stati Uniti e in Brasile.

Aborto negato a bambine vittime di stupro

Il caso di Mila (pseudonimo usato dalla stampa per proteggere l'identità della bimba) avviene appena due mesi dopo che il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia (meglio conosciuto con la sigla Unicef) ha stabilito che il Paese aveva violato i diritti alla salute e alla vita di Camila, un'altra giovanissima rimasta incinta dopo essere stata violentata.

L'Unicef ha già fatto un richiamo ufficiale allo Stato per il caso di Camila, una giovane vittima di violenza sessuale rimasta incinta

Susana Chávez, direttrice di Promsex, organizzazione che rappresenta legalmente la madre di Mila, sottolinea che la decisione dei medici di non farla abortire è "arbitraria" perché non considera la condizione di gravidanza ad altissimo rischio in una ragazza così giovane, che potrebbe portare a gravi danni fisici o addirittura alla morte. Hugo González, medico e rappresentante del Fondo Onu per la popolazione (Unfpa) in Perù, avverte che non solo i diritti della bambina vengono violati, ma anche che c'è "un passo indietro" nel riconoscimento di queste azioni, che costituiscono "violenza di genere e atto di tortura o trattamento crudele, inumano e degradante".

Mila, violentata dal patrigno

L'undicenne ha subito abusi sessuali dall'età di 6 anni, da parte del suo patrigno a Iquitos. Il suo aggressore è ancora libero, mentre la giovane, ormai 11enne, è incinta. Anche sua madre, una donna poverissima e analfabeta, è stata sistematicamente vittima di varie forme di violenza da parte dello stesso uomo, così come i fratelli della bambina, di 7 e 3 anni. Per le autorità di sicurezza del luogo (Ufficio del Procuratore e UPE), queste aggressioni vanno avanti da diversi anni, tuttavia ma non è stata presa alcuna misura efficace che potesse proteggerli ed evitare loro terribili conseguenze. Lungi dal riconoscere la loro inerzia le istituzioni hanno invece deciso di dichiarare la mamma incompetente, e di mettere in un istituto i 4 minori. Inoltre, invece che riconoscere i rischi connessi a questa gravidanza, le autorità di Iquitos non hanno fatto nulla per garantire che la ragazza ricevesse una valutazione medica adeguata, lasciando così passare altre 4 settimane di gestazione. Ora la salute e la vita stessa di Mila sono seriamente in pericolo.

L'(in)giustizia che nega l'interruzione di gravidanza

Quando è stata visitata per la prima volta la ragazza era incinta di 13 settimane. Tuttavia, nonostante tutte le prove raccolte, la Magistratura ha dichiarato infondata la richiesta di carcerazione preventiva nei confronti del patrigno formulata dalla Procura, per cui l'imputato è ad oggi un uomo libero. Perciò, indisturbato, ha potuto minacciare di morte la madre affinché non denunciasse gli atti di violenza subiti da lei e dai figli.

L'istituto di Loreto dove la bimba coi fratelli sono stati collocati dopo essere stati tolti dall'affido della madre

Il 20 luglio l'UPE, su pressione della Promsex, ha richiesto il ricovero dell'undicenne all'Ospedale Regionale di Loreto e solo il 4 agosto l'istituto ha notificato il diniego dell'aborto terapeutico. Per Susana Chávez, direttrice dell'organizzazione, è necessaria un'azione immediata per prevenire ulteriori danni alla salute psicofisica della bambina. “È di vitale importanza che possa essere garantito l'accesso all'interruzione di gravidanza per Mila dall'Azienda Ospedaliera Regionale di Loreto; e che l'UPE fornisca tutta la documentazione necessaria per detta procedura, assicurando immediatamente un ambiente sicuro per lei. Tutto fa pensare che in questo momento l'istituto non sia più un luogo idoneo e, non appena il problema sanitario sarà risolto, la ragazza dovrebbe tornare dalla sua famiglia. Lo Stato deve assicurarle una protezione immediata, perché ci sono troppi possibili rischi", ha concluso.