Losson della Battaglia, frazione di Meolo. È da questo piccolo centro abitato in provincia di Venezia che arriva una notizia surreale, che sembra uscita da tempi e luoghi nei quali le donne avevano - e, talvolta, hanno ancora - una posizione sociale relegata alla mera gestione della casa e alla crescita dei figli. Una reazione, quella di don Roberto Mistrorigo, che lascia di stucco la stessa società civile che lui stesso ha definito “impreparata” nel vedere la squadra under 15 del Meolo Calcio allenarsi e disputare le partite di campionato all’interno del campo dell’oratorio.
Viene spontaneo domandarsi a quale comunità si stesse riferendo il parroco, dal momento in cui la risposta della frazione di Losson e del comune di Meolo è stata unanime e di condanna per le parole utilizzate e le decisioni prese. Anche il primo cittadino, Daniele Pavan, si è detto amareggiato in un lungo post sui canali social istituzionali: “Sono amareggiato da questa chiusura della parrocchia. C’erano tutti i presupposti per creare vitalità e partecipazione negli spazi parrocchiali e creare occasioni di vera aggregazione e comunità. Ho dovuto trovare una soluzione per le giovani calciatrici, che potranno utilizzare gli spogliatoi del palazzetto dello sport e giocare nel vicino stadio, ma non è la soluzione ottimale, visto che rimane vuota, deserta, tutta l’area del campo da calcio di Losson. Sono dispiaciuto che non ci sia la volontà di trovare una soluzione”.
Gli uffici competenti, in seguito alle indicazioni del sindaco, sono stati costretti a individuare alcuni spazi liberi nel campo sportivo comunale, spesso al completo e senza servizi e spogliatoi dedicati. Una mancanza alla quale la stessa società Meolo Calcio sta cercando di provvedere, assieme a numerosi lavori di ammodernamento per l’eliminazione delle barriere architettoniche che privavano atleti e visitatori con disabilità di usufruire della struttura.
Un impegno sociale decisamente differente da quello dimostrato da don Roberto Mistrogiro che, interrogato da una delegazione di fedeli sulle motivazioni del rifiuto, ha dichiarato alle testate locali: “Non serve scrivere niente, perché questo crea soltanto disagio a tutta la comunità. Abbiamo già chiarito tutto. Ogni realtà cerca di risolvere i problemi nella proprie comunità”.
L'atteggiamento di chiusura ha lasciato attonito, in particolar modo, l’allenatore della squadra coinvolta, che si è lasciato andare ad un lungo posto sul suo profilo Facebook: “Gestisco con 3 amici di fiducia il campo da calcio canicolare parrocchiale (ridotto) in erba. Curiamo manutenzione manto erboso, spogliatoi, spazi contigui, gestiamo giocatori e tornei da oltre 20 anni”. E ancora: “L’omelia di Domenica invocava il saper mettersi in ascolto, virtù che dovrebbe essere un cardine della vocazione pastorale e comunitaria. Spero che quanto scritto arrivi a più famiglie possibile, nonché alla Diocesi di Treviso, perché chi fa spallucce è complice di una decisione egoista e poco lungimirante. In memoria di don Riccardo, a cui è intitolato il campo, non posso esimermi dal dare battaglia”.
Una presa di posizione netta, che lascia trasparire tutta la rabbia di chi ha curato un bene comune per oltre 20 anni per poi vederlo tolto proprio alla comunità che, fino a quel momento, se ne era presa cura. La frase del parroco, senza possibilità di contestualizzazione e di ulteriori chiarimenti, non può che rimandare a un’antiquata forma di sessismo, decisamente fuori luogo in una società in continua evoluzione che, con tutti i suoi limiti, sta provando a fare dell’uguaglianza uno dei suoi punti cardine. Purtroppo, la strada sembra ancora molto in salita. E i valori del cattolicesimo, almeno in questo ambito, non dovrebbero certo opporsi, ma coincidere.