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Home » Attualità » “Questa battaglia voglio vincerla anche per altri ragazzi come me. Abbiamo diritto alla felicità”

“Questa battaglia voglio vincerla anche per altri ragazzi come me. Abbiamo diritto alla felicità”

La preside del liceo scientifico "Dini" di Pisa ha rifiutato (temporaneamente) di avviare la carriera alias per Geremia, un ragazzo transgender di 17 anni. Così i compagni di scuola hanno occupato l'istituto e molti docenti si sono schierati con l'adolescente: "Nessuno ci ha chiesto un parere, avremmo appoggiato la richiesta"

Gabriele Masiero
18 Novembre 2021
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Geremia (Foto: Masiero Gabriele)

C’è anche la carriera alias negata a uno studente transgender all’origine dell’occupazione decisa un paio di giorni fa dagli studenti del liceo scientifico “Ulisse Dini” di Pisa, uno degli istituti nella top ten nazionale dei migliori licei italiani. È la storia di Geremia nato Patrizia (nome di fantasia per non renderlo identificabile), 17 anni, che nei mesi scorsi insieme ai genitori ha chiesto alla preside l’avviamento di una carriera come studente e non più come studentessa (qui l’intervista). Richiesta rifiutata, perché, ha spiegato la dirigente scolastica Adriana Piccigallo, “la scuola non è pronta, ma non è un no definitivo, serve tempo per effettuare i giusti passaggi negli organi collegiali”. Per carriera alias si intende la possibilità, per le persone transgender o che hanno avviato un percorso di disforia di genere, di avere sui documenti scolastici il nome di “elezione”, che sostituisce il nome anagrafico presente sui documenti d’identità.

La vicenda però non è rimasta chiusa tra le mura scolastiche perché Geremia ha scelto di uscire dall’ombra e ha avuto il coraggio di raccontare e di raccontarsi: “Molte persone mi hanno scritto dicendo che anche loro necessitano della carriera alias, ma che non hanno avuto il mio stesso coraggio. Questa è una battaglia che voglio vincere e voglio vincerla per me e per i ragazzi che sono nella mia situazione e anche per quelli che verranno. Dobbiamo cambiare la società, dare diritti a chi ancora non ne ha. Probabilmente non tutti capiscono quanto sia importante per noi, ma ne va della nostra salute mentale e della felicità“. Lui non è da solo in questa battaglia. Ha dalla sua parte gli amici, i compagni di scuola e tanti professori che non hanno apprezzato la scelta della preside. Tanto che quando hanno letto l’accaduto sulle pagine del quotidiano “La Nazione”, le chat dei docenti sono esplose: “La dirigente ha fatto tutto da sola, altro che scuola che ‘non è pronta’, è lei che ha agito senza consultarci”, dice un docente infuriato. E un’altra aggiunge: “Io sono favorevole alla carriera alias e ‘pronta’ a sostenerla, semmai se c’è qualcosa che mi ‘turba’ (e non poco) è che altri ritengano di conoscere le mie opinioni senza che io sia mai stata coinvolta in una discussione in merito”.


 

La scuola pisana è in subbuglio e la polemica ormai è esplosa. Eppure, Geremia cerca pace. Per sé e per gli altri. Chiede diritti, non vuole vendette. E spiega infine la scelta del nuovo nome: “Lo trovo molto dolce e altrettanto raro tra i ragazzi della mia generazione e per questo credo mi rappresenti molto bene. Inoltre, anche se non sono credente, provo un rispetto veramente altissimo per il cristianesimo e mi rende onorato condividere il nome con il profeta biblico“. Con lo studente diciassettenne ha parlato anche l’assessora regionale all’Istruzione, Alessandra Nardini: “La sua storia – ha detto – mi ha molto toccata e coinvolta. Voglio esprimergli anche pubblicamente tutta la mia vicinanza e il mio sostegno e sono felice che la sua famiglia, le sue amiche e i suoi amici, le sue compagne e i suoi compagni di scuola lo supportino con forza. Garantire la carriera alias significa migliorare la vita delle persone – aggiunge Nardini – soprattutto in una fase delicata come quella dell’adolescenza.

Geremia (Foto: Masiero Gabriele)

La scuola deve essere il luogo dell’inclusione per eccellenza, dove si aiutano le ragazze e i ragazzi a realizzarsi e a esprimersi liberamente e completamente. Da questo punto di vista c’è già l’esempio virtuoso delle università toscane e di scuole come il liceo Russoli, a Pisa. Dico questo nel pieno rispetto dell’autonomia scolastica e dei passaggi necessari, ma credo che vadano compiuti in tempi consoni per evitare il protrarsi di situazioni di disagio e discriminazione“, conclude l’assessora.

Il consiglio d’istituto, convocato d’urgenza dopo l’occupazione, ha già affrontato il tema in una prima riunione. Il prossimo collegio dei docenti è fissato per il 13 dicembre. Chissà che per quella data la preside non ci ripensi e avvii l’istruttoria per introdurre un regolamento che disciplini, anche al “Dini”, le carriere alias. Così stavolta il “Dini” non rivendicherebbe un primato, ma chiuderebbe le polemiche. A Pisa già esistono all’università (una decina di persone hanno già il libretto con il nuovo genere) e al liceo artistico “Russoli”. E così in altre città toscane, come l’istituto “Cerboni” all’isola d’Elba e il “Peruzzi” di Firenze, e nazionali, ad esempio a Novara, Roma, Bari, Venezia e Padova. Un fenomeno in costante aumento in tutta Italia che testimonia come la presenza e la volontà di far valere i propri diritti di questi ragazzi e ragazze transgender sia una realtà di cui tutti devono prendere coscienza. Ogni istituto o ateneo ha piena autonomia per stabilire le regole che permettono di avere una carriera alias tra i suoi alunni, ma alla base della scelta, per tutte, c’è la voglia di garantire parità di diritti e una convivenza più serena tra gli adolescenti.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Geremia (Foto: Masiero Gabriele)
C'è anche la carriera alias negata a uno studente transgender all'origine dell'occupazione decisa un paio di giorni fa dagli studenti del liceo scientifico "Ulisse Dini" di Pisa, uno degli istituti nella top ten nazionale dei migliori licei italiani. È la storia di Geremia nato Patrizia (nome di fantasia per non renderlo identificabile), 17 anni, che nei mesi scorsi insieme ai genitori ha chiesto alla preside l'avviamento di una carriera come studente e non più come studentessa (qui l'intervista). Richiesta rifiutata, perché, ha spiegato la dirigente scolastica Adriana Piccigallo, "la scuola non è pronta, ma non è un no definitivo, serve tempo per effettuare i giusti passaggi negli organi collegiali". Per carriera alias si intende la possibilità, per le persone transgender o che hanno avviato un percorso di disforia di genere, di avere sui documenti scolastici il nome di "elezione", che sostituisce il nome anagrafico presente sui documenti d'identità. La vicenda però non è rimasta chiusa tra le mura scolastiche perché Geremia ha scelto di uscire dall'ombra e ha avuto il coraggio di raccontare e di raccontarsi: "Molte persone mi hanno scritto dicendo che anche loro necessitano della carriera alias, ma che non hanno avuto il mio stesso coraggio. Questa è una battaglia che voglio vincere e voglio vincerla per me e per i ragazzi che sono nella mia situazione e anche per quelli che verranno. Dobbiamo cambiare la società, dare diritti a chi ancora non ne ha. Probabilmente non tutti capiscono quanto sia importante per noi, ma ne va della nostra salute mentale e della felicità". Lui non è da solo in questa battaglia. Ha dalla sua parte gli amici, i compagni di scuola e tanti professori che non hanno apprezzato la scelta della preside. Tanto che quando hanno letto l'accaduto sulle pagine del quotidiano "La Nazione", le chat dei docenti sono esplose: "La dirigente ha fatto tutto da sola, altro che scuola che 'non è pronta', è lei che ha agito senza consultarci", dice un docente infuriato. E un'altra aggiunge: "Io sono favorevole alla carriera alias e 'pronta' a sostenerla, semmai se c'è qualcosa che mi 'turba' (e non poco) è che altri ritengano di conoscere le mie opinioni senza che io sia mai stata coinvolta in una discussione in merito".

  La scuola pisana è in subbuglio e la polemica ormai è esplosa. Eppure, Geremia cerca pace. Per sé e per gli altri. Chiede diritti, non vuole vendette. E spiega infine la scelta del nuovo nome: "Lo trovo molto dolce e altrettanto raro tra i ragazzi della mia generazione e per questo credo mi rappresenti molto bene. Inoltre, anche se non sono credente, provo un rispetto veramente altissimo per il cristianesimo e mi rende onorato condividere il nome con il profeta biblico". Con lo studente diciassettenne ha parlato anche l'assessora regionale all'Istruzione, Alessandra Nardini: "La sua storia – ha detto – mi ha molto toccata e coinvolta. Voglio esprimergli anche pubblicamente tutta la mia vicinanza e il mio sostegno e sono felice che la sua famiglia, le sue amiche e i suoi amici, le sue compagne e i suoi compagni di scuola lo supportino con forza. Garantire la carriera alias significa migliorare la vita delle persone – aggiunge Nardini – soprattutto in una fase delicata come quella dell'adolescenza.
Geremia (Foto: Masiero Gabriele)
La scuola deve essere il luogo dell'inclusione per eccellenza, dove si aiutano le ragazze e i ragazzi a realizzarsi e a esprimersi liberamente e completamente. Da questo punto di vista c'è già l'esempio virtuoso delle università toscane e di scuole come il liceo Russoli, a Pisa. Dico questo nel pieno rispetto dell'autonomia scolastica e dei passaggi necessari, ma credo che vadano compiuti in tempi consoni per evitare il protrarsi di situazioni di disagio e discriminazione", conclude l'assessora. Il consiglio d'istituto, convocato d'urgenza dopo l'occupazione, ha già affrontato il tema in una prima riunione. Il prossimo collegio dei docenti è fissato per il 13 dicembre. Chissà che per quella data la preside non ci ripensi e avvii l'istruttoria per introdurre un regolamento che disciplini, anche al "Dini", le carriere alias. Così stavolta il "Dini" non rivendicherebbe un primato, ma chiuderebbe le polemiche. A Pisa già esistono all'università (una decina di persone hanno già il libretto con il nuovo genere) e al liceo artistico "Russoli". E così in altre città toscane, come l'istituto "Cerboni" all’isola d’Elba e il "Peruzzi" di Firenze, e nazionali, ad esempio a Novara, Roma, Bari, Venezia e Padova. Un fenomeno in costante aumento in tutta Italia che testimonia come la presenza e la volontà di far valere i propri diritti di questi ragazzi e ragazze transgender sia una realtà di cui tutti devono prendere coscienza. Ogni istituto o ateneo ha piena autonomia per stabilire le regole che permettono di avere una carriera alias tra i suoi alunni, ma alla base della scelta, per tutte, c'è la voglia di garantire parità di diritti e una convivenza più serena tra gli adolescenti.
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