Rachele Somaschini, la pilota che sfida la fibrosi cistica (e la velocità) per finanziare la ricerca: "Sei tutti i limiti che superi”

Classe 1994, Rachele corre nel mondiale rally WRC: "Volevo raccontare la storia di una ragazza che aveva tutti i problemi del mondo ed è riuscita comunque a realizzare il sogno di correre in macchina"

di GIULIA DE IESO
18 marzo 2025
Rachele Somaschini

Rachele Somaschini

Una macchina color viola e giallo, pronta a danzare sul ghiaccio o a sporcarsi di fango, un casco gigante da calzare sulla testa e una frase da tenere sempre a mente, insieme alla missione #Correreperunrespiro: "sei tutti i limiti che superi". Rachele Somaschini, milanese, pilota classe 1994, racconta la sua storia, intrecciata con la fibrosi cistica, la malattia con cui convive da sempre: "Per fortuna a Milano lo screening neonatale, da cui si può capire se si è affetti da alcune malattie, era obbligatorio già dal 1992. Mia madre ha ricevuto la comunicazione che qualcosa non andasse 20 giorni dopo la mia nascita. Il test del sudore poi non ha lasciato alcun dubbio: avevo la fibrosi cistica", ricorda. "Negli anni, lo screening prenatale della malattia è stato introdotto in tutta Italia. Prima la diagnosi avveniva solo sulla base dei sintomi, ma individuare precocemente la malattia fa la differenza".

Convivere con una "malattia invisibile", la fibrosi cistica

Ma cos'è la fibrosi cistica? "Direi che è una malattia invisibile fino all'ultimo stadio, quando si è costretti all'ossigenoterapia". Mentre risponde, Rachele mima con le mani i tubi che si appoggiano al naso per l'ossigenazione. "Colpisce i principali organi interni, in particolare pancreas e polmoni", continua. "Ci sono moltissime mutazioni, quindi non c'è quasi mai un malato uguale all'altro. Ognuno ha una storia a sé, anche in base alla risposta alle cure. Poi si ha la sfortuna di contrarre batteri pericolosi dall'ambiente", spiega. "Immagina quei sacchetti che si attaccano ai mobili per attirare le farfalle della farina: i polmoni di una persona affetta da fibrosi cistica funzionano così. Abbiamo un muco più denso che trattiene i batteri, creando infiammazioni e infezioni". "Ad esempio, io ho contratto un batterio dall'acqua quando avevo 14 anni. Recentemente ne ho preso un altro molto pericoloso e sto facendo una terapia di eradicazione che sta avendo un buon esito. Ma significa assumere quattro antibiotici contemporaneamente, dopo aver fatto 40 giorni di ospedale due anni fa". Per Rachele, avere la fibrosi cistica "è come stare sulle montagne russe": "Un giorno stai bene e poi un semplice raffreddore può farti crollare. A me un'influenza è durata due mesi. Se le cure domiciliari non bastano, serve un ricovero di 15 giorni in ospedale. Non puoi fare programmi a lungo termine, perché purtroppo questa malattia può rovinare anche i momenti più belli". Il volto torna ad illuminarsi quando parla della ricerca, che le sta tanto a cuore e che finanzia con i suoi progetti: "Quando sono nata io, l'aspettativa di vita era di circa 20 anni, i bambini difficilmente diventavano grandi. Adesso, dall'essere una malattia pediatrica, la fibrosi cistica è diventata una malattia anche dell'adulto, finalmente sono nati i primi centri. Adesso la speranza di vita ha superato i 40 anni. Questo è successo anche grazie all'avvento dei farmaci modulatori, che agiscono sulla proteina che rende il muco del nostro corpo più denso".

I motori, il mondo di Rachele

La passione di Rachele per i motori nasce grazie a suo padre: "Era un pilota ed è sempre stato un grande appassionato. A casa nostra, la "domenica" era sinonimo di "Gran Premio". Quando ancora non camminavo mi è stata regalata una piccola jeep elettrica con cui giravo per casa, che poi è diventato un quad cinquantino che guidavo nel cortile dell'azienda di mio papà". "A quattordici anni avevo un motard, a sedici ho preso il 125, a diciotto la patente e la licenza da corsa. La mia prima gara è stata in coppia con mio padre all'Autodromo di Monza, nel 2014. Da allora ho capito che il mio sogno era diventare pilota e ho accettato qualsiasi proposta pur di far esperienza, per fare quello che mi piaceva: ho fatto le cronoscalate, il trofeo MINI Challenge e trofeo in pista. Nel 2017, un progetto di Driving Academy nei rally cercava un equipaggio femminile under 25 ed accettai, è stato come cambiare completamente sport. Ora sono al mio nono anno nei rally e quest'anno ho debuttato nel WRC, il Campionato del Mondo Rally".

"Correre per un respiro": sfidare la velocità per finanziare la ricerca

"Quando ho iniziato a correre molte persone mi conoscevano già come testimonial della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica. Quando parlavo delle mie gare, mi veniva spontaneo parlare anche del mio sostegno per la ricerca: così nel 2015 è nato "Correre per un respiro". Finora abbiamo raccolto oltre 480 mila euro", racconta Rachele. "Distribuiamo gadget solidali e organizziamo eventi charity, ogni volta che corro allestiamo una postazione di sensibilizzazione e di raccolta fondi, con il supporto dei volontari". "Essere donna in un paddock di motori ti dà una visibilità maggiore, perché c'è ancora molta sorpresa nel vederci guidare. Alcuni, invece, sembrano aver visto un fantasma", sorride. "Quando mi vedono, o abbattono i pregiudizi o li rafforzano: se i risultati sono buoni, arrivano i complimenti; se sono negativi, basta un attimo per ricadere nei soliti luoghi comuni", spiega. "Negli ultimi anni la partecipazione femminile nei rally e nel motorsport in generale è aumentata, e io, nel mio piccolo, cerco di portare avanti una passione che ho da sempre. Magari le ragazze più giovani, guardando la Formula 1, non vedono nessuna donna e pensano che sia impossibile. Il messaggio che voglio lanciare è che, se si ha una passione, bisogna portarla avanti senza lasciarsi condizionare dall'idea che sia 'da donna' o 'da uomo', perché, secondo me, questa distinzione non esiste". Anche nell'allenamento, la fibrosi cistica rappresenta una compagna di vita un po' ingombrante per Rachele: "Lo sport è come se fosse un'altra seduta di fisioterapia respiratoria. Non ti ho ancora detto che questa malattia comporta una routine fatta di terapie, farmaci, cure", dice mostrando il suo porta medicine settimanale. Non ha paura a nominare gli strumenti che scandiscono la sua giornata, come la CPAP, un ventilatore medico che espande i polmoni allenandoli. "Dopo inizio l'allenamento per la parte sportiva, perché un pilota deve essere molto preparato fisicamente. Tutto diventa molto più difficile dopo un lungo periodo in ospedale: la tua routine scompare e cerchi di stare meglio il prima possibile e per tornare a vivere, quella è sopravvivenza. A casa poi devi ripartire da zero. Quello che soffro di più nelle prove di durata è il non avere tanta resistenza, perché ho una capacità polmonare inferiore e mi disidrato più facilmente, avendo un sudore più denso. Anche in questo oggi i farmaci aiutano molto, così come la tecnologia"

La missione di Rachele è diventata un libro

Nel 2023 è uscito il libro "Correre per un respiro", in cui Rachele racconta la sua vita: "Volevo condividere il senso di smarrimento che hanno provato i miei genitori nei primi anni, la paura dell'ignoto, ma anche la storia di una ragazza che aveva tutti i problemi del mondo ed è riuscita comunque a realizzare il sogno di correre in macchina e diventare pilota". "Nel libro parlo della mia amica Angelica, anche lei affetta da fibrosi cistica. Purtroppo è mancata all'età di 25 anni, nonostante il trapianto polmonare, non andato a buon fine. Angelica mi ha insegnato a vivere, è sua la frase: "Sei tutti i limiti che superi" che ho scritto sulla macchina e tatuato sulla pelle. Aveva una variante della malattia molto più grave della mia, ma non le mancava mai il sorriso e il supporto nei confronti del prossimo". "Un tema è anche il test del portatore sano, su cui tengo a far informazione, soprattutto per le giovani coppie. Abbiamo finanziato un progetto specifico, il sito si chiama testfibrosicistica.it, per renderlo facile e accessibile: è una semplice analisi del sangue, ma che si può fare solo in alcuni laboratori. Un domani potrebbero anche non nascere più bambini con la fibrosi cistica. Per me sfatare il tabù attorno alla malattia è importante: solo con l'informazione possiamo debellarla alla radice".

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