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Sangiovanni, lo stop apre riflessione su adolescenza e stress da notorietà

Dopo il caso del cantante 21enne, l’esperta Francesca Ceccherini spiega la fragilità legata all’età e il forte stress che spesso riflettori e fama possono provocare nei giovani artisti

di CATERINA CECCUTI -
17 febbraio 2024

Essere giovani, anzi giovanissimi, e contemporaneamente anche famosi può davvero significare trovarsi ad affrontare un carico di stress tale da mettere a repentaglio la propria salute mentale. Il caso del cantante Sangiovanni che, dopo Sanremo e a un passo dall’uscita del nuovo album “Privacy”, decide di prendersi una pausa per recuperare sè stesso, dà da pensare.

Una scelta indubbiamente coraggiosa, la sua, matura. Soprattutto se si pensa che ha appena 21 anni – quattro dei quali già trascorsi sul palco -, una carriera avviata e un folto pubblico che lo ama. Però lui, al di là del risultato raggiunto al Festival, non si sente bene.

“Voglio precisare che non sto mollando – scrive -, credo nella mia musica e in questo progetto, ma allo stesso tempo non ho le energie fisiche e mentali in questo momento per portarlo avanti”. Più avanti dice anche che, durante il suo periodo di stop, “continuerò a scrivere e a stare in studio perché fa parte del mio benessere”. Dunque, come si diceva, non è la musica ad averlo sfinito.

Probabilmente, però, è tutto il resto ad aver influito, quel resto stressante e sfiancante che circonda la notorietà, quando se ne raggiungono certi livelli.

L'immagine del post di Sangiovanni
L'immagine del post di Sangiovanni

“Sangiovanni è un ragazzo giovanissimo – spiega Francesca Ceccherini, psicoterapeuta specializzata in psicodinamica strategica breve -, e oltre allo stress da palcoscenico dovrà anche gestire i normali problemi legati alla crescita e alla delicata età che sta attraversando. Nel corso della mia lunga carriera ho avuto modo di seguire diversi giovani che desideravano diventare cantanti e tutti quanti erano sottoposti ad uno stress non indifferente, anche prima di arrivare al successo: dalla paura del rifiuto a quella di esibirsi, dalla paura dei social all’assenza del sostegno da parte dei genitori, che spesso e volentieri preferivano una strada lavorativa più sicura e tranquilla per i propri figli. Una caratteristica abbastanza comune tra i ragazzi che ho incontrato, infatti, era il fatto di provenire da famiglie non agiate, alle quali la musica sembrava ancor più una perdita di tempo. Ecco come un giovane finisce per sentirsi costantemente sotto esame, specialmente in un’età in cui è abbastanza normale avere paura di fallire.”

L’intervista all’esperta

Ricorda qualche esempio particolare, dottoressa? “Sì, il caso di una ragazza che si era presentata per ben tre volte alle selezioni di “Amici”, chiedendo ogni volta il permesso a lavoro, affrontando un lungo viaggio in treno, esibendosi per una manciata di minuti appena e ritornando a casa con la coda tra le gambe e una brutta delusione nel cuore. Stiamo parlando di prove molto difficili da affrontare - emotivamente parlando – e ancor più difficili da accettare, soprattutto se si ha un’età in cui le esperienze sono ancora scarse e la corazza tipica di noi adulti non ha ancora avuto modo di formarsi. Alla delusione, solitamente, segue uno stato di abbandono, altra fonte di forte stress.”

Vale anche per chi il successo lo ha già raggiunto? “Certamente, perché in questo caso è come sperimentare la vita avendo sempre la quinta marcia innescata. Lo stress quotidiano è indubbio, anche perché non c’è solo l’ansia del palco, delle prestazioni, ecc. Ma oggigiorno ne esiste una altrettanto se non più dura da affrontare: quella del rapporto diretto, quotidiano, con il proprio pubblico, data dai social. Un ragazzo che ama la musica, non è detto che debba per forza essere anche bravo o interessato nella gestione dei social. Inoltre non esiste solo lo stress provocato dal qui ed ora, deve essere preso in considerazione anche il vissuto, il bagaglio emotivo che un giovane si porta appresso, che potrebbe rappresentare già di per sé fonte di fragilità, soprattutto se sono stati sperimentati momenti di abbandono e delusione.”

Come interpreta il gesto di Sangiovanni? “Posso dare solo la mia impressione, non avendo conosciuto il ragazzo di persona. Una fuga, seppur temporanea, può nascondere un disagio profondo che non deve essere sottovalutato. In questo senso la vicinanza della sua famiglia, del suo team e del suo pubblico sono importanti. È rimasto ferito e si distanzia dalla sua avventura perché deve curare le sue ferite, deve pensare a sè stesso. Il suo post lascia intuire una forte sofferenza e se adesso lui ripiega sul riposo è perché gli occorre. Freud diceva che “la persona sceglie sempre il male minore”. Le aspettative per chi ha già toccato il successo sono elevate, sentirsi deluso in questo caso è ancor più difficile. Credo abbia bisogno di metabolizzare. Dalle sue parole non sembra aver perso la speranza, né l’amore per la sua musica, ma si capisce che in realtà è deluso.

Su persone così giovani il peso della sconfitta è maggiore, perché – come dicevo prima - l’adolescenza porta già con sé una buona dose di fragilità. Ecco perché, a mio avviso, Sangiovanni fa bene a prendersi una pausa prima di crollare definitivamente. Molto spesso a giovani cantanti in carriera come lui viene suggerito di fare un percorso psicoterapeutico di sostegno, proprio per imparare a gestire la mole di stress cui sono costantemente sottoposti.

Io stessa ho insegnato tecniche di controllo emotivo a persone del mondo dello spettacolo e dello sport, in modo che avessero degli strumenti concreti per gestire lo stress, come per esempio l’utilizzo della respirazione e di alcuni mantra che permettono di “allenare” la mente all’ubbidienza e di impedire al panico di impossessarsene. Il paziente spiega passo passo al terapeuta cosa prova, quale sia il proprio bagaglio emotivo di tensione, in modo tale che insieme si possa intervenire in maniera concreta e migliorare la qualità di vita di ragazzi che, comunque sia, hanno il diritto di vivere i propri sogni; e, in questo, i genitori non dovrebbero incitarli a rinunciare, piuttosto sostenerli attivamente, anche per non farli sentire soli.”