Lo stop ai finanziamenti a UNRWA è catastrofico per Gaza. A dichiararlo al mondo sono stati i responsabili di vari organismi dell’ONU. Un straziante grido d’allarme che si aggiunge agli ormai quotidiani appelli per un cessate il fuoco che sembra non voler arrivare mai.
Il sistema umanitario nella Striscia di Gaza è appeso a un filo, la conta dei morti ormai ha superato ampiamente quota ventimila e i diritti umani nei territori palestinesi occupati sono stati del tutto rasi al suolo. Nelle ore in cui una delegazione di alti esponenti di Hamas è attesa al Cairo per l’incontro con il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamel per discutere dell'accordo di tregua e del rilascio degli ostaggi, la situazione sembra dunque ulteriormente precipitare.
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Unrwa, cos'è, cosa fa e perché hanno fermato i finanziamenti
Ma quale è il ruolo di UNRWA e perché la decisione di parte della comunità internazionale di ritirare i finanziamenti all’agenzia pare essere così ferrea?
Proviamo a riavvolgere il nastro: a Gaza, sono circa 19.000 i bambini rimasti orfani. Molti di loro sono stati trovati sotto le macerie o hanno visto morire i loro genitori sotto le bombe. Altri sono stati trovati ai checkpoint israeliani, negli ospedali, per le strade. Jonathan Crick, capo delle comunicazioni di Unicef Palestina, fa sapere che i più piccoli spesso non riescono neanche a pronunciare il loro nome.
Una tragedia a cui, con la propria azione nell’area, UNRWA tenta di porre quotidianamente un argine. L’agenzia, però, è molto più di questo. Il suo nome completo è Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente e viaggia in parallelo all’UNHCR, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, che si occupa dei rifugiati nel resto del mondo. Dal 1949, UNRWA fornisce assistenza umanitaria ai palestinesi che hanno lasciato le proprie case o vivono nei campi profughi in Israele, nei territori palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e nei Paesi vicini (principalmente Siria, Giordania e Libano).
Un aiuto concreto che, da qualche giorno, non ha più risorse su cui contare. Stando al dossier israeliano fornito al governo degli Stati Uniti e reso noto dal New York Times, su dodici degli impiegati recentemente licenziati dall’UNRWA, dieci sarebbero membri di Hamas e uno della Jihad islamica. Una notizia che ha immediatamente portato - appunto - al blocco dei finanziamenti da parte di alcuni Paesi, tra cui l’Italia e gli Stati Uniti d’America.
Le accuse: "All'interno membri di Hamas"
Gli operatori sono accusati di aver aiutato a organizzare l’attacco del 7 ottobre. Nel dossier compaiono informazioni allarmanti. Uno degli impiegati, consigliere di una scuola dell’UNRWA a Khan Yunis, avrebbe rapito una donna israeliana con suo figlio. Un altro operatore proveniente da Nuseirat, cittadina nella zona centrale di Gaza, pare abbia aiutato a trasportare il corpo di un soldato israeliano morto nella Striscia di Gaza, abbia distribuito munizioni e coordinato il movimento dei veicoli il 7 ottobre.
Altri operatori pare siano stati intercettati intenti a telefonare per discutere del loro coinvolgimento nell’attacco di Hamas. Altri tre sembra, infine, che abbiano ricevuto messaggi di testo che ordinavano loro di presentarsi ai punti di raccolta il 7 ottobre. Uno di loro sembra addirittura sia stato incaricato di portare le granate con propulsione a razzo che conservava nella sua abitazione.
Come se non bastasse, uno degli accusati pare essersi armato con un missile anticarro la sera prima dell’attacco del 7 ottobre e un altro sembra aver scattato una foto a una donna in ostaggio. Il documento, questa volta senza fornire alcuna prova, sostiene poi che almeno centonovanta operatori dell’UNRWA sarebbero agenti di Hamas o della Jihad islamica.
Il dossier getta le basi su un lavoro dell’intelligence israeliana che - in apparenza - non lascia spazio a dubbi, ma nei confronti del quale il condizionale è d’obbligo. Associated Press, entrata in possesso degli incartamenti, fa sapere di non essere riuscita a verificare in maniera autonoma nomi e foto degli operatori accusati e il fatto che le accuse israeliane arrivino dopo decenni di scontri frontali con UNRWA è motivo quantomeno di riflessione.
Tra l’altro, è bene tenere conto del fatto che non è la prima volta che gli Stati Uniti bloccano i finanziamenti. Certo, le accuse adesso sono gravissime e l’UNRWA fa sapere che, questa volta, se i finanziamenti non riprenderanno, sarà impossibile continuare a operare.
L'operazione umanitaria a rischio
Mettiamola così: per colpa (presunta) di una manciata di persone su uno staff di 13.000 operatori, l’intera operazione umanitaria rischia di saltare e l’unico baluardo di umanità rimasto per i palestinesi potrebbe finire per spegnersi sotto il fuoco nemico. Non a caso, il ministro degli esteri israeliano Israel Katz ha reso noto il fatto che il capo dell’UNRWA Philippe Lazzarini non è il benvenuto in Israele.
Il Governo italiano ha sospeso finanziamenti @UNRWA dopo l’atroce attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre. Paesi Alleati hanno recentemente preso stessa decisione. Siamo impegnati nell’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese, tutelando la sicurezza di Israele.
— Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) January 27, 2024
L’agenzia, dal canto suo, ha aperto un’indagine interna e ha immediatamente interrotto la collaborazione con le persone accusate. Gesto, questo, che pare non abbia sortito alcun effetto. Tra le varie note a margine della questione, c’è il fatto che lo stop allo stanziamento di risorse dall’Italia sembra essere giunto dopo il 7 ottobre - quindi prima della diffusione del dossier - anche se è stato comunicato solo pochi giorni fa.
Una cosa è certa: a pagare il prezzo più alto saranno ancora una volta i civili palestinesi. Una mattanza senza fine al cospetto della quale un pezzo di mondo sta rispondendo con un pilatesco “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” che non ci assolverà dal peccato di non aver fatto tutto il possibile per fermare la scia di sangue, morte e distruzione.
La sensazione che il “caso UNRWA” sia l’ennesima arma di distrazione di massa per autorizzare moralmente una ulteriore escalation fatta di privazioni ai danni dei palestinesi appare legittima. Ciò, al netto dell’urgenza di fare chiarezza su circostanze che, se dovessero rivelarsi vere, sarebbero gravissime e assai preoccupanti. C’è da augurarsi che il peggio non debba ancora arrivare.