La questione della fuga dei giovani dal Sud verso il Nord – o addirittura verso l’estero – rappresenta un chiaro sintomo di un’emergenza sociale ed economica ancora attuale, nonostante i numeri del Mezzogiorno da due anni siano in crescita. Il rapporto Svimez lo definisce come un “degiovanimento” inarrestabile, ma è evidente che qualcosa di più per arginarlo si potrebbe e dovrebbe fare. I dati delineano un quadro drammatico: negli ultimi dieci anni, quasi 200.000 laureati hanno lasciato il Sud. Un vero e proprio esodo, che non si spiega soltanto con la mancanza di lavoro. I fattori sono molteplici e includono la qualità dell’offerta lavorativa e le profonde disuguaglianze nei servizi pubblici.
In un contesto in cui il potere d'acquisto diminuisce sempre più e l’accesso a diritti essenziali come asili nido, tempo pieno nelle scuole e infrastrutture scolastiche resta limitato, il divario con il Centro-Nord appare insormontabile. Questo scenario, oltre a impoverire il tessuto economico delle regioni meridionali, ne compromette il capitale umano, erodendo risorse fondamentali per lo sviluppo.
Eppure, il Sud non è privo di opportunità. La crescita del settore agroalimentare, i poli tecnologici, le prospettive offerte dalla transizione energetica e le specializzazioni in ambiti come l’aeronautica e la farmaceutica rappresentano esempi concreti di un potenziale inespresso. Ma perché allora il Sud non riesce a trattenere i suoi giovani? La risposta risiede in un complesso intreccio di politiche inefficaci, scelte miopi e narrazioni stereotipate che relegano il Mezzogiorno a un’immagine distante dalla realtà, oscurandone le possibilità di sviluppo. Il risultato è una spirale perversa: i giovani lasciano il Sud per studiare o lavorare altrove, portando con sé, spesso, intere famiglie. I territori restano così spopolati, privi di slancio e sempre più marginalizzati. La soluzione non può limitarsi alla creazione di lavoro: è fondamentale garantire condizioni di vita dignitose che rendano sostenibile e desiderabile restare. Investire nei servizi essenziali, nella formazione e in politiche industriali moderne non è più una scelta, ma una necessità per arrestare l’emorragia di capitale umano. Anche perché il Nord, con tutte le sue attrattive, non rappresenta certo il paradiso che spesso si immagina e le contraddizioni dell’autonomia differenziata rischiano di aggravare ulteriormente le disuguaglianze. La sfida è costruire un Mezzogiorno che non sia una scelta di ripiego, ma una terra di possibilità. I governi siano all’altezza di questo compito.