Le ha messo le mani addosso. Lo ha fatto con una serie di “toccamenti repentini” che però non lo rendono colpevole di violenza in quanto il suo comportamento non ha fatto sì che la vittima si trovasse “in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta”. Il tutto è successo nell’arco di 20-30 secondi, un tempo ritenuto abbastanza lungo per permettere alla persona offesa di potersi dileguare.
È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui i giudici della Corte d’Appello di Milano il 24 giugno scorso hanno assolto un ex sindacalista dall’accusa di violenza sessuale. I fatti risalgono al 2018 quando una hostess lo denunciò dopo essersi rivolta a lui per una vertenza sindacale. Se già la sentenza d’Appello, che aveva confermato quanto deciso in primo grado, aveva fatto discutere, lo faranno anche le motivazioni che hanno portato i giudici a prendere quella determinata decisione. Uno dei punti sui quali si è insistito di più è appunto il lasso di tempo durante il quale la vittima non ha reagito, trenta secondi appunto.
Quindi se una donna non esprime il proprio diniego a "toccamenti e baci” nell’immediatezza dei fatti non è violenza? Oltre al concetto del consenso esplicito, ciò che viene troppo spesso ignorato nei casi di violenza sessuale è lo stato in cui la donna si trova nel momento dei fatti: la paura, il timore, il senso di impotenza sono solo alcune delle sensazioni che una vittima può provare e che la possono portare a immobilizzarsi e non reagire. Decidere se una violenza è tale in base al tempo in cui una donna ha reagito è un enorme problema di civiltà.
Come lo è il fatto che nel nostro Paese manchi una chiara definizione di che cosa sia il consenso, il che non fa altro che alimentare la vittimizzazione secondaria delle donne che denunciano le violenze sessuali. Perché una donna non si trova solo a dover dimostrare, e in molti casi senza successo, di non aver mostrato il suo consenso, ma anche di aver resistito a determinati tipi di comportamenti. Le critiche alla decisione dei giudici erano arrivate già al momento della sentenza d’Appello da parte dell’associazione Differenza Donna e della sua legale, Maria Teresa Manente, che assiste la hostess.
"Questa sentenza – aveva affermato l’avvocata – ci riporta indietro di 30 anni e rinnega tutta la giurisprudenza di Cassazione che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza accertarsi del consenso della donna, è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato".