Trucco e lustrini? Roba da uomini. Il no gender make-up abbatte ogni barriera di genere

di LETIZIA CINI
11 dicembre 2021
1sampa

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Achille Lauro

Achille Lauro

I pantaloni aderenti di Mick Jagger. Le piume di David Bowie nei panni del suo alter ego Ziggy Stardust. I travestimenti shock di Renato Zero. Lo smoky eye di Damiano David dei Måneskin. “La confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così, mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina”, il commento Achille Lauro alla fine della sua prima esibizione sul palco dell’Ariston, a Sanremo 2020. Stai a vedere che a colpi di lustrini e pailettes è possibile cambiare il mondo e far cadere il maschismo tossico che inquina le falde della nostra società. Un esempio? Il nuovo approccio alla bellezza, che in qualche modo riflette il momento storico che stiamo vivendo, un mondo dove le etichette non sono più necessarie ed è consentito ridefinire la propria identità e scegliere chi si vuole essere. Perché la cosa che conta è essere felici e sentirsi autentici. Lo sanno bene anche i ragazzi della Gen Z che sono molto più disinvolti per quanto riguarda l’uso del trucco, che assume un significato ben preciso. Ovvero, esprimere la propria essenza, qualunque sia il genere in cui ci si riconosce. Sono sempre di più i brand e le grandi Maison (come ad esempio Armani Beauty che ha appena scelto

Damiano David dei Måneskin

testimonial Valentina Sampaio, modella transgender, o prima, Chanel con Teddy Quinlivan) che attraverso collezioni e volti delle campagne, comunicano un concetto di bellezza che non parla solo al pubblico femminile. Quella in corso nel settore beauty è una vera rivoluzione: distinzioni di genere e differenze tra maschile e femminile stanno virando in un’evoluzione che abbraccia l’inclusività, la fluidità e soprattutto la libertà di essere se stessi. Una bellezza nuova, per così dire, “neutra". La spinta è partita degli stessi consumatori: più che mai oggi prestano maggiore attenzione alle formule, possibilmente naturali, alle texture sensoriali e alle profumazioni neutre, di conseguenza più facilmente genderless. E non è tutto: altro fattore determinante per una certa tipologia di consumatori è la trasparenza e l’impegno che le aziende del settore dimostrano. Ecco allora che anche le campagne pubblicitarie mostrano una nuova “bellezza 2.0” capace di abbracciare ogni tipo di estetica, sull’onda di una filosofia che strizza l’occhi al body positive, bandiera dell’inclusività. La moda Unisex o Gender Free ha molte sfaccettature ma un’unica origine: il boom economico degli anni ’60. In quegli anni vennero distrutti i preconcetti di genere imposti a donne e uomini dopo la Seconda guerra mondiale, che proponevano un certo stile legato ai grandi divi di Hollywood come James Dean per gli uomini e Elisabeth Taylor per le donne. Il movimento femminista si iniziò a diffondere l’idea che il genere e il sesso non sempre potevano essere allineati in una persona. Seguendo questo pensiero alcuni grandi stilisti, come Paco Rabanne, iniziarono a disegnare abiti Unisex che proposero alle sfilate di Parigi degli anni successivi. Ma questa ondata di nuovi capi senza genere finì molto presto e intorno al 1969 quasi tutti i produttori di vestiti unisex chiusero le loro produzioni. Solo alla fine degli anni ’80 e l’avvento degli anni ’90 l’unisex e la moda senza genere riprese il suo splendore, i tabù caddero anche grazie alle Star di Hollywood come Julia Roberts che iniziò ad indossare giacche e pantaloni alle prime dei suoi film.

Renato Zero

Negli anni ’90 anche il mondo della profumeria si appropria del termine unisex a definire fragranze capaci di piacere indistintamente a uomini e donne, senza note prevalenti o caratterizzanti di genere. Che sia skincare o make-up tutto quanto fa bellezza ormai non ha più genere. Lo dimostrano appunto i continui esempi che vediamo sui social, da Damiano dei Maneskin a Harry Syles, che sfoggiano sul palco e nella vita di tutti i giorni trucchi più o meno eccentrici. Il no gender make-up, abbatte ogni tipo di riferimento all’orientamento sessuale, al genere e alla etnia. E non da oggi: “Nella mia nudità coperta di piume non giocavo a fare il clown della situazione, cantavo le problematiche della periferia, della borgata della gente emarginata”. La rivoluzione? Si può fare anche a colpi di matita e pailletes. Parola di Renato Zero.