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Home » Attualità » Iran, giovane donna di 22 anni picchiata e uccisa perché indossava male il velo. “Morte imperdonabile”

Iran, giovane donna di 22 anni picchiata e uccisa perché indossava male il velo. “Morte imperdonabile”

Mahsa Amini era finita in coma dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa a Teheran. L'appello di Amnesty International: "Aprire un'inchiesta"

Barbara Berti
17 Settembre 2022
Masha Amini, picchiata a sangue perché indossava male il velo

Masha Amini, picchiata a sangue perché indossava male il velo

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Picchiata a sangue perché indossava male il velo, perché qualche ciuffo ribelle non era nascosto, era sceso. Un pestaggio che le è costato la vita. E’ morta così una giovane donna di soli 22 anni. Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte.

Nei gironi scorsi era stata arrestata dalla polizia di Teheran perché non indossava il velo in modo “inappropriato”. La polizia l’ha vista e la fermata. Quel che è accaduto poi è poco chiaro: alcuni testimoni dicono che sia stata picchiata mentre si trovava all’interno di un furgone della polizia, altre versioni ancora riportano come Masha sia stata portata in una stazione di polizia per assistere a “un’ora di rieducazione“. E questo lo ha raccontato anche il fratello Kiarash, agli organi di stampa. Secondo quanto riferito dal fratello, la giovane donna è stata presa dalle forze dell’ordine lo scorso 13 settembre, di sera, per strada, davanti ai suoi occhi, e portata in caserma per una “lezione di rieducazione” per come indossava lo hijab. Secondo la polizia “in un modo improprio” perché non le copriva del tutto i capelli. E in Iran il velo è obbligatorio in pubblico per tutte le donne da dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Kiarash è stato ad aspettarla fuori dall’edificio per un bel po’. Poi ha sentito le grida provenire dall’interno e visto la sorella uscire a bordo di un’ambulanza che l’ha trasportata nell’ospedale dove è stata dichiarata morta dopo tre giorni di coma.

Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)

Citando “accuse riguardo a torture e maltrattamenti durante la detenzione”, Amnesty International sospetta che la ragazza possa essere morta già mentre si trovava in caserma e chiede che sia aperta un’inchiesta contro agenti di polizia e funzionari per fare luce sul caso. Per la sezione iraniana di Amnesty, l donna è stata “arrestata in modo arbitrario dalla cosiddetta polizia della moralità”. Anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha ordinato al ministero dell’Interno di procedere con un’indagine per chiarire quanto accaduto. Ma è proprio contro il governo del leader ultraconservatore, e il suo fermo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo, che molti iraniani hanno puntato il dito per la morte di Mahsa, decesso confermato dall’agenzia di stampa iraniana Fars.

La notizia ha fatto il giro del mondo tra sdegno e indignazione. Quanto successo è “una morte imperdonabile” commenta la Casa Bianca. “Siamo profondamente preoccupati per la morte della 22enne Mahsa Amini, picchiata sotto custodia dalla polizia della moralità. Continueremo a ritenere i funzionari iraniani responsabili per questi abusi dei diritti umani” dichiara il consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan.

Centinaia i messaggi sui social media che criticano il regime di Teheran per quanto accaduto e mostrano anche video di alcune, poche, persone che nei giorni scorsi si erano radunate davanti all’ospedale dove si trovava Mahsa criticando il governo e la Guida suprema Ali Khamenei. Proteste in linea con le contestazioni alla legge sul velo che si sono moltiplicate nei mesi scorsi, con molte donne che hanno sfidato la legge togliendoselo in pubblico, spesso finendo in prigione.

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  • Si sa, con l’età che avanza il rischio di ritrovarsi da soli aumenta, man mano che scompaiono anche le persone care con cui si sono costruiti affetti, legami. È un processo inevitabile, chiamato vita. Ma questa situazione rischia di aggravare la condizione di chi resta. 

Per questo anche un piccolo gesto, un’attività poco impegnativa ma costante e partecipata, può regalare gioie inaspettate. La fama in paese del signor Peter Davies, 100 anni, è dovuta a un hobby improbabile per la sua età: insegnare a leggere ai bambini.

Veterano della Seconda Guerra Mondiale, che è addirittura stato insignito della Medaglia dell’Impero Britannico (BEM) nell’ambito delle onorificenze del Re per il nuovo anno, Davies ha iniziato sei anni fa ad offrirsi volontario per dare una mano alla Dean Valley Community Primary School, scuola elementare di Macclesfield, Cheshire, in Inghilterra, dopo che l’amata moglie di 72 anni è venuta a mancare. 

Una vera e propria “fonte di ispirazione” per i cittadini, ma per l’arzillo centenario aiutare i bambini è un’attività che lo fa sentire nuovamente parte di una collettività. Peter racconta alla BBC che quando i piccoli alunni con cui legge lo chiamano per strada, riconoscendolo e salutandolo calorosamente, “si sente alto tre metri”. 

La stessa direttrice della scuola, Vicky McPherson, lo ha descritto come “ispiratore, generoso, premuroso e attento“. “Ha dedicato il suo tempo a così tanti bambini negli ultimi sei anni per instillare l’amore per la lettura che non potremo mai ringraziarlo abbastanza”, ha dichiarato la preside. Lui, invece, si sente semplicemente “una persona qualunque che fa qualcosa di utile per affrontare la settimana”.

Il signor Davies, che ha prestato servizio nell’Army Air Corps, ha spiegato che gli piaceva veder crescere la fiducia dei bambini nei suoi confronti, un po’ come un nonno acquisito che racconta ai più piccoli le sue avventure passate. “I bambini sono fantastici, sono come spugne“, ha detto. “Sono sicuro che ne traggo più beneficio io che loro. È una sensazione piacevole e calorosa [che] mi appartiene. Non sono un vecchio che vive per conto suo. Faccio parte della comunità, il che è fantastico”. 

#lucenews
  • Una testa di leone in passerella apre le sfilate dell’alta moda parigina con tanto di polemiche animaliste. La sfilata Couture di Schiaparelli non è passata inosservata visto che gli abiti erano accompagnati da teste di animali: il leopardo, il leone e la lupa. 

Le teste simboleggiavano tre dei setti peccati capitali (lussuria, orgoglio e avarizia), per una rilettura della “Divina Commedia” che rientra nella vena surrealista che storicamente caratterizza il brand, che porta il nome dell’eclettica Elsa Schiaparelli, stilista ma soprattutto intellettuale e artista a cavallo delle sue due guerre mondiali, e che l’attuale direttore creativo della maison, Daniel Roseberry sta proseguendo in chiave contemporanea.

A sfoggiare un vestito monospalla in velluto nero sul quale troneggiava – in stile trofeo – una grossa testa di leone è stata la top model russa Irina Shayk. Ma in precedenza a spoilerare l’abito ci aveva pensato Kylie Jenner, la più giovane del clan Kardashian diffondendo alcuni scatti sui social. Durante la sfilata, inoltre, Naomi Campbell ha indossato un cappotto di pelliccia con testa di un lupo e Shalom Harlow, tornata di recente a calcare le catwalk, ha sfilato con un tubino maculato con una testa di un leopardo.

Tutti gli animali ovviamente erano finti e sono stati proposti da Roseberry in opere sorprendenti in finta tassidermia, costruite interamente a mano con schiuma, resina e altri materiali. Ovviamente sui social la polemica è scoppiata. Nonostante si tratti di faux fur, il web non ha apprezzato. In molti, forse non conoscendo il tema della sfilata ovvero le “tre fiere” di dantesca memoria, ci hanno visto un richiamo di cattivo gusto alla caccia, agli animali abbattuti come trofei e rimandi all’epoca coloniale.

L’imprenditrice digitale e influencer Chiara Ferragni, presente alla sfilata, si è fatta un selfie insieme a Kylie Jenner e al vestito “incriminato”. Nonostante abbia scritto che la testa del leone era finta, ha incassato più di una critica. Insomma, ai leoni da tastiera l’idea dello stilista non è piaciuta. 

#lucenews #parisfashionweek  #elsaschiaparelli #trefiere #divinacommedia #pfw2023
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  • Lo scontro tra i fan di Harry Potter e la creatrice della saga, JK Rowling, a causa delle affermazioni omotransfobiche dell’autrice, conosce un nuovo capitolo. 

A Toronto, in Canada, un giovane creatore di libri d’arte, Laur Flom, sta realizzando libri di Harry Potter nei quali il nome della Rowling non compare in copertina, né all’interno dei volumi, dove usualmente sono riportate le indicazioni del copyright, con il nome dell’autore. 

Lo scopo, dice, è di “aiutare le persone che sono fan di Harry Potter ma hanno un problema morale con la Rowling e la sua transfobia”. Quando si dice cancel culture: qui si cancella proprio materialmente. 

JK Rowling è stata accusata di transfobia dopo aver postato nel 2020 alcuni messaggi su Twitter nei quali obiettava contro l’uso della parola “persona” al posto della parola “donna” per “descrivere chi ha le mestruazioni”. In seguito, ha negato di essere transfobica, ma è stata ugualmente investita dalle critiche sui social. Ma se queste restano non condivisibili, anche l’impulso alla cancellazione del suo nome desta più di una perplessità. E a molti appare profondamente autoritario.

Laur Flom, artista canadese di origine ebraica, fa parte della comunità transgender. Parte degli incassi per le vendite dei libri sarà devoluta in beneficenza ad associazioni di trans. Flom, che ha 23 anni, ha postato su Tik Tok un video nel quale spiega come trasforma i libri della Rowling: il video è subito divenuto virale. 

“Non avevo un vero e proprio progetto. Ho iniziato per dispetto. Ho poco più di vent’anni: quando sono cresciuto, era quasi scontato leggere ‘Harry Potter’. Ma quando sono venute fuori le opinioni che la Rowling ha verso persone come me, mi è rimasto l’amaro in bocca. Poi tutto è cresciuto grazie alla piattaforma, e all’interesse delle persone nei libri”. 

A Flom occorrono dodici ore per modificare copertina e interno del libro. Ogni copia viene messa in vendita a 170 dollari. Ma l’artista propone anche ai possessori di libri di Harry Potter di inviargli le loro copie personali, per renderle “de-Rowlingizzate”.

Ma è davvero questa la strategia migliore?

#lucenews #harrypotter #jkrowling
Picchiata a sangue perché indossava male il velo, perché qualche ciuffo ribelle non era nascosto, era sceso. Un pestaggio che le è costato la vita. E’ morta così una giovane donna di soli 22 anni. Lei si chiamava Masha Amini, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Qui ha trovato la morte. Nei gironi scorsi era stata arrestata dalla polizia di Teheran perché non indossava il velo in modo “inappropriato”. La polizia l'ha vista e la fermata. Quel che è accaduto poi è poco chiaro: alcuni testimoni dicono che sia stata picchiata mentre si trovava all’interno di un furgone della polizia, altre versioni ancora riportano come Masha sia stata portata in una stazione di polizia per assistere a "un’ora di rieducazione". E questo lo ha raccontato anche il fratello Kiarash, agli organi di stampa. Secondo quanto riferito dal fratello, la giovane donna è stata presa dalle forze dell’ordine lo scorso 13 settembre, di sera, per strada, davanti ai suoi occhi, e portata in caserma per una “lezione di rieducazione” per come indossava lo hijab. Secondo la polizia “in un modo improprio” perché non le copriva del tutto i capelli. E in Iran il velo è obbligatorio in pubblico per tutte le donne da dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Kiarash è stato ad aspettarla fuori dall’edificio per un bel po’. Poi ha sentito le grida provenire dall’interno e visto la sorella uscire a bordo di un’ambulanza che l’ha trasportata nell’ospedale dove è stata dichiarata morta dopo tre giorni di coma.
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Masha Amini, 22 anni, originaria del Kurdistan iraniano (Instagram)
Citando “accuse riguardo a torture e maltrattamenti durante la detenzione”, Amnesty International sospetta che la ragazza possa essere morta già mentre si trovava in caserma e chiede che sia aperta un’inchiesta contro agenti di polizia e funzionari per fare luce sul caso. Per la sezione iraniana di Amnesty, l donna è stata "arrestata in modo arbitrario dalla cosiddetta polizia della moralità". Anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha ordinato al ministero dell’Interno di procedere con un'indagine per chiarire quanto accaduto. Ma è proprio contro il governo del leader ultraconservatore, e il suo fermo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo, che molti iraniani hanno puntato il dito per la morte di Mahsa, decesso confermato dall’agenzia di stampa iraniana Fars. La notizia ha fatto il giro del mondo tra sdegno e indignazione. Quanto successo è “una morte imperdonabile” commenta la Casa Bianca. “Siamo profondamente preoccupati per la morte della 22enne Mahsa Amini, picchiata sotto custodia dalla polizia della moralità. Continueremo a ritenere i funzionari iraniani responsabili per questi abusi dei diritti umani” dichiara il consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan. Centinaia i messaggi sui social media che criticano il regime di Teheran per quanto accaduto e mostrano anche video di alcune, poche, persone che nei giorni scorsi si erano radunate davanti all’ospedale dove si trovava Mahsa criticando il governo e la Guida suprema Ali Khamenei. Proteste in linea con le contestazioni alla legge sul velo che si sono moltiplicate nei mesi scorsi, con molte donne che hanno sfidato la legge togliendoselo in pubblico, spesso finendo in prigione.
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