Non c’è un tempo giusto per riprendersi da una violenza sessuale. Forse non è nemmeno possibile metterci una pietra sopra e ripartire come se nulla fosse. Uno stupro lascia segni che vanno ben al di là delle ferite sul corpo, che si rimarginano pian piano grazie alle cure. Si può andare avanti, è necessario per tornare ad avere una parvenza di vita normale, con strascichi più o meno importanti a condizionare la vita di tutti i giorni.
Lo stupro e il licenziamento
Ne sa qualcosa una manager torinese, 32 anni, che a marzo dello scorso anno è stata violentata da tre uomini, tra i 23 e i 27 anni, in un locale sui Navigli a Milano. Mentre gli aggressori stanno affrontando il processo per stupro di gruppo, due rinviati a giudizio e uno condannato a 3 anni e 7 mesi di reclusione con rito abbreviato, lei si è trovata coinvolta in un altro tipo di causa: quella che ha fatto all’azienda per la quale lavorava, che l’ha licenziata sostenendo che “non fosse più efficiente” e offrendole un indennizzo di 5 mila euro come buonuscita.
La notizia, riportata in prima battuta da La Stampa e poi ripresa dagli altri organi di informazione, ha sollevato non poche polemiche e perplessità, anche perché arriva a poche ore di distanza dal tragico episodio della 21enne che si è tolta la vita in ospedale dopo essere stata violentata mentre si trovava in Pronto soccorso, sempre nel milanese. Quest’ultima, giovanissima, non ce l’ha fatta a reggere quel peso così gravoso, di dolore, vergogna, di umiliazione. La manager, invece, ci ha provato, con tutte le sue forze e col supporto di familiari e colleghi. Poi è arrivata la mazzata del licenziamento, che ha deciso di impugnare in sede legale.
La violenza di gruppo
La sera dello stupro la donna era in compagnia di quei tre individui. Li conosceva, era uscita a bere qualcosa in compagnia, ma qualcosa è andato storto: dopo una festa, era stata “stuprata per una notte intera da tre ragazzi che considerava suoi amici. Tutti, lei compresa, avevano esagerato con l’alcol”. Il che, ribadiamolo, non giustifica alcuna violenza. I presunti responsabili finirono in manette dopo essere stati identificati, mentre la vittima venne curata in ospedale.
Fin qui, nella drammaticità – ricorrente – della vicenda, nulla di nuovo. La donna torna a casa e inizia un percorso tutto in salita, fatto di ricoveri e sedute dallo psicologo e dallo psichiatra, nei sei mesi di mutua concessi dall’azienda di Assago – con sede legale in Olanda –, specializzata nel commercio di brand di lusso, per cui lavorava da tre anni come professionista in ambito marketing. Un percorso di lenta ripresa, sempre affiancata dalla famiglia che temeva gesti estremi da parte sua, e dai dirigenti e colleghi. “Hai tutto il nostro sostegno, non mollare”, le avevano fatto sapere questi ultimi, stringendosi affettuosamente a lei in quel difficile momento di stop.
L’azienda la manda a casa “In ottica di maggior efficienza”
A settembre la ragazza, pensando di farcela, ha provato a tornare al lavoro. Un modo per ritrovare la normalità della vita quotidiana, con gli impegni di tutti i giorni, e per riacquistare fiducia nelle altre persone; era però troppo presto, il tentativo non è andato a buon fine e lei aveva ancora bisogno di assistenza. “Alternava momenti di ottimismo ad altri di profonda tristezza”, si legge nell’articolo che riporta la vicenda. Ma la beffa più grande è arrivata a un anno di distanza circa dallo stupro: l’11 marzo 2024, infatti, la società le ha recapitato una lettera di licenziamento “per giustificato motivo”, almeno così c’era scritto. All’interno si legge: “In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di ‘Service Merchandiser’ da lei attualmente ricoperta e ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi”.
In sostanza la sua figura è stata eliminata e i suoi compiti affidati ad altri dipendenti: di lei non c’era più bisogno, in termini di efficienza era di troppo. Ora, non si conoscono le ragioni che hanno portato l’azienda a questa scelta, ma certamente questo licenziamento lascia con dei grandi dubbi, legati proprio alla violenza subita dalla 32enne e alle conseguenze che questa ha avuto nella sua vita e carriera. Lei ha deciso comunque di non accettare passivamente il verdetto, ritenendolo ingiusto, e di impugnare la decisione. Comunque andrà a finire, però, il danno subito da questa giovane donna è incalcolabile.