Il 1° dicembre è la
Giornata mondiale contro Aids: come tutte le ricorrenze di questo genere un momento per fermarsi a riflettere sul tema, ma è fondamentale in primis ascoltare la voce delle persone che 365 giorni l’anno, non solo oggi, vivono sulla loro pelle questa condizione. È il caso di
Mattia Mele, classe 1981, che vive con l’Hiv: “Come in altre date, e penso al 25 novembre appena trascorso, sono ricorrenze importanti ma non bisogna fermarsi lì. Il 20 ottobre ho pubblicato un video per ‘commemorare’ i 3 anni dalla diagnosi: è fondamentale continuare a parlarne", spiega il ragazzo.
Mattia Mele
La campagna di Control: uno speed date a prova di tabù
Mattia è stato uno dei protagonisti della nuova
campagna di Control in collaborazione con Together che si propone di sensibilizzare ed educare su un tema che ancora oggi evoca scenari tremendamente vicini all’immaginario ‘80 e ’90. Disponibile online dal 1° dicembre, si tratta di una serie di video su uno
speed date al quale hanno partecipato 12 persone, con 4 incaricati di rivelare di avere il virus. Tutto è stato scandito da una clessidra che, al contrario di quella dei classici appuntamenti al buio, indica il tempo minimo di permanenza al tavolo. Perché solo la conoscenza profonda può abbattere il pregiudizio. L’informazione è la vera protezione, contro il virus come contro il pregiudizio. "L’esperimento è andato oltre le nostre aspettative e le reazioni non sono state quelle che ci aspettavamo", dice Erika Mameli, creative director di Together. “Molte delle persone coinvolte sono state
empatiche e ne hanno voluto sapere di più. Questo ci ha fatto capire come una
conoscenza che va oltre la superficialità permetta realmente di trasformare un tabù in un’occasione di contatto umano e ci ha permesso di dare all’esperimento un taglio divulgativo".
Nuove diagnosi, vecchi pregiudizi
Lo speed date organizzato da Together e Control per la giornata mondiale contro l'Aids: un appuntamento al buio in cui sono state coinvolte 12 persone inconsapevoli dell’obiettivo finale e 4 complici incaricati di rivelare durante l’incontro di vivere con il virus (@ilvinodegliamanti_)
Il tema è ancora attuale:
1.888 le nuove diagnosi di Hiv in Italia nel 2022, con il dato più allarmante che vede in aumento le diagnosi tardive. Ma sono proprio i tabù, la mancanza di informazione e la paura ad alimentare pregiudizi e stigma nei confronti delle persone che vivono con Hiv, come
deterrenti per lo screening e la prevenzione della malattia.
"Io non sono un'attivista ma una persona che vuole capire perché c’è ancora quel brivido lungo la schiena quando questa cosa viene detta – spiega –. Ci spaventa perché non la conosciamo. E perché un virus di cui non si muore, con cui si convive, provoca paura o pietismo? Per vergogna”.
L'esperienza di Mattia Mele
Chi era Mattia prima della diagnosi e cosa ha fatto dopo? “Una persona normale, che lavorava nel mondo dell’arte performativa. Per vicende personali, dopo l’ultima relazione, ho attraversato un periodo in cui sono stato un po’ 'leggero' su determinati incontri e nello specifico in uno. Ma non avevo alcun tipo di dubbio rispetto all’Hiv. La scoperta è arrivata perché avevo un’altra problematica di salute. Ho tentato di fare un primo test ma non è stato possibile, a febbraio 2020, poco prima del lockdown; nel momento in cui ci sono riuscito non solo ho trovato una positività all’Hpv – me l’aspettavo – ma ho scoperto che da allora in poi sarei stato una persona che vive con Hiv. Sono rimasto un attimo basito, poi però la mia reazione è stata: ‘Ok, ho un problema: ditemi cosa devo fare’. Il primo pensiero è stato come fare per abbassare la carica virale, seguendo la terapia farmacologica quotidiana in maniera che in un mese questa è scesa sotto al soglia della rilevabilità. Questo permette alla persona che vive con Hiv di avere lo stesso sistema immunitario di una che non vive con Hiv. Eravamo nel secondo lockdown, in autunno. Per me è stato ‘facile’ concentrarmi su come risolvere le cose: una volta guadagnato lo status di '
undetectable', mi sono potuto concentrare anche sull'Hpv. E nel frattempo iniziare a informarmi bene e parlarne con le persone che avevo attorno”.
Mattia vive con Hiv da 3 anni e dal momento della diagnosi ha iniziato a portare la sua esperienza e la sua testimonianza a supporto dell'abbattimento dello stigma e dei tabù che circondano il tema
Lei ha approfondito il tema perché ha scoperto di avere il virus. Il confronto tra chi non vive con l’Hiv è però ancora difficile? “Sono convinto anche del fatto che abbia a che fare con un tema ‘scottante’. Da poco è uscito
il report dell’Istituto Superiore di Sanità sulle nuove diagnosi e i dati del 2022: la trasmissione per via sessuale rimane uno dei modi principali con cui questo virus continua a diffondersi. Ecco il problema: siamo un Paese ancora legatissimo a stereotipi di natura personale, legati al chi sei, cosa fai e quanto le tue abitudini ti mettano in condizione di avere credibilità o meno. Siamo ancora troppo preoccupati rispetto a quello che le persone fanno nella loro sfera sessuale. Ammettere o dichiarare di essere una persona che vive con Hiv ti mette in una posizione nella quale sei più preoccupato di quello che gli altri potrebbero pensare di te. Diamo giudizi al fatto di lavorare col nostro corpo o al fatto che si abbia voglia, interesse, rispetto al sesso”.
In letteratura nel 1981 è stata riportata per la prima volta la sindrome da immunodeficienza. Da allora cos’è cambiato? “La mia generazione è cresciuta con quel ‘simpatico’ spot/pubblicità progresso in bianco e nero con l’alone viola e diciamo che quello non ha contribuito a spiegare di cosa si stesse parlando. È vero che all’epoca si sapeva veramente poco. È stata una pandemia che ha colpito migliaia di persone, quindi non c’è solo il tabù del sesso ma anche quello della morte. Una diagnosi di positività negli anni ’80
equivaleva a una condanna a morte.
Ancora oggi la positività al virus viene vista con vergogna, viene stigmatizzata (@ilvinodegliamanti_)
In questi decenni la scienza ha fatto enormi passi in avanti. Ma essendo un capitolo di cui non si parla, non si sa neanche delle innovazioni e dei miglioramenti che si sono avuti, se non noi che siamo coinvolti. E che il virus lo puoi curare e ci puoi convivere tranquillamente”.
Il paragone può essere azzardato, ma dichiarare di avere e vivere con l’Hiv somiglia a una sorta di coming out… “Secondo me è esattamente quello, perché fare
coming out del proprio orientamento ha proprio a che fare con la sfera sessuale.
È una scelta personale, c’è chi di essere omosessuale non ne fa oggetto di dichiarazione e uguale per le persone che vivono con Hiv. Il problema è che rimane il timore di perdere il posto di lavoro o le proprie relazioni, perché in generale la gente ha paura di essere infettata. Non si sa cosa significhi essere ‘undetectable’ –quando il virus non viene rilevato dalle analisi– e quindi ‘untrasmittable’
(u=u)”.
Lei è stato oggetto di discriminazione quando ha dichiarato la sua condizione? “Non in maniera esplicita. Mi ritengo abbastanza fortunato, non ho problema a parlare del mio status e se vedo una reazione diversa da quella che mi aspetto già so che con quella persona molto probabilmente non ho nulla da spartire”.
Spesso e volentieri ancora oggi si associa l’Aids al mondo queer/all’omosessualità. Ma i dati evidenziano che in molti Paesi (ad esempio nel Regno Unito) i positivi all'Hiv sono in maggioranza eterosessuali… “Nel report del 2022 le nuove diagnosi si dividono tra vari gruppi di soggetti: il primo sono i maschi che fanno sesso con altri maschi, poi i maschi eterosessuali e quindi le donne eterosessuali. In altri Paesi la diagnosi tra gruppi etero aumenta rispetto a quella nei gruppi omosessuali. E le persone della comunità queer diciamo che si sono fatte furbe. Invece che astenersi (come qualcuno professa come unica soluzione per non prendere l'Hiv), continuano a proteggersi come prima (coi classici preservativi) ma ora esiste anche la
PrEP, la profilassi pre-esposizione.
Nel 1991 l'immunologo Fernando aiuti baciò l'attivista positiva all'HIV Rosaria Iardino per sfatare il mito che il virus potesse essere trasmesso tramite baci
C’è quindi una discriminazione rispetto a un determinato gruppo? Sì, forse legata anche a un ricordo di come questo virus ha iniziato a circolare, quindi all’interno della comunità gay, nera, dei sex workers e di persone che facevano uso di droghe. Legata a categorie di cui la società non era orgogliosa e per la quale infatti non ha mosso un dito come invece è stato fatto per il Covid”.
In conclusione, come si abbatte l'alone viola, di vergogna e tabù? "E chi lo sa! Io posso farlo a modo mio, correggendo magari qualcuno quando sento che ne parla, condividendo la mia esperienza e la mia storia (coinvolto da varie realtà), mettendoci la faccia. Le persone con Hiv fanno le stesse cose che fanno tutti. Secondo me l'unico modo è che chi vive questa condizione si renda disponibile – ovviamente è una scelta personale – a rispondere alle domande. E vorrei farlo in
una scuola superiore, per sfatare anche questa credenza per cui l'Hiv si porta dietro questo manto di dolore. Non voglio mancare di rispetto ai milioni di vittime ma vorrei provare a spiegarlo in modo anche più leggero, quasi divertente, legando i concetti a esperienze che stanno già vivendo (il sesso) per farli rendere conto che quella cosa è lì fuori. In altri contesti ho parlato di
safer place, che in Italia si stanno iniziando a creare, quindi posti dove certe questioni possono essere affrontate in modo sicuro. Luoghi dove si performa e dove ciascuno può essere libero di essere se stesso, dove le persone possono trovare il loro posto nel mondo, senza il timore di essere giudicate o messe all'angolo per il loro modo di vivere e comportarsi. Qui non serve spiegare l'hiv esiste, che ci vivono".