
Membri del Soccorso Alpino Toscano durante un intervento in quota (www.sast.it)
“Mentre prendi parte a un intervento non guardi né l’ora del giorno né quella della notte, dai tutte le tue energie per arrivare fino in fondo e salvare chi è in difficoltà”, racconta Stefano Rinaldelli, ex tecnico di elisoccorso e UCRS, Unità cinofila di ricerca in superficie. 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno, i volontari e le volontarie che compongono questo corpo mettono a disposizione il proprio tempo e si espongono al pericolo per aiutare chiunque si trovi in condizioni di emergenza in luoghi impervi. Abbiamo parlato di questo straordinario esempio di altruismo e volontariato proprio con Stefano Rinaldelli, Presidente del Soccorso Alpino e Speleologico della Toscana.

Come si è avvicinato al Soccorso Alpino e Speleologico e qual è stata l’evoluzione del corpo nel tempo?
“Ho iniziato ad arrampicare negli anni ’80 e sono entrato nel Soccorso Alpino negli anni ’90, quando ancora la formazione era autonoma e imparavamo ad andare in montagna da chi frequentava l’ambiente più di noi. Quando mi si è presentata l’opportunità di entrare nel corpo ho pensato: ‘Perché no, potrei mettere la mia esperienza da alpinista a disposizione degli altri’. A quei tempi, oltre 30 anni fa, era più un mutuo soccorso. La mia Stazione, quella del Monte Falterona, copriva tre province: Arezzo, Firenze e Prato. Ci muovevamo coi nostri mezzi e a nostre spese, poiché non esisteva una convenzione con la Regione Toscana e gli elicotteri ancora non erano una realtà consolidata, mentre ora ospitano a bordo un membro del Soccorso Alpino in caso di necessità. Facevamo circa 10 soccorsi l’anno. Oggi, la sola Stazione Falterona ne fa circa 70. In Toscana, invece, gli interventi del Soccorso Alpino sono passati da 230 a 550 l’anno circa. Nella nostra zona siamo cresciuti soccorrendo prevalentemente escursionisti, fungaioli, cacciatori, alcuni dispersi. In Apuane, invece, molto spesso gli interventi riguardavano alpinisti impegnati in salite complesse. Poi il trend si è invertito e il modo di vivere la montagna è cambiato, il numero degli alpinisti è diminuito nettamente.

A partire dai primi anni 2000, inoltre, sono state firmate le prime convenzioni con la Regione. Sono arrivate le prime attrezzature di proprietà del Soccorso Alpino e non più dei singoli soccorritori, i primi automezzi. Più in generale, la nostra realtà si è consolidata. Attualmente, i social hanno – ancora una volta – rivoluzionato questo ambiente. Attirano molte più persone di prima, spesso esponendole ai rischi e coinvolgendo chiunque, dai fungaioli agli escursionisti, così come chi frequenta i sentieri con le e-bike. Come affermo molto spesso, la montagna è di tutti ma non è per tutti. Va affrontata nel modo giusto e con la giusta preparazione, senza mai sottovalutarla”.
Quali sono le componenti e le caratteristiche principali di questo corpo?

“Nel nostro corpo abbiamo sia una parte alpina che una speleologica. Quest’ultima è quella che fa meno interventi, ma che quando li fa rimane impegnata per molti giorni consecutivi, spesso anche per una settimana. È qui che si vede la vera solidarietà e la cooperazione tra sezioni, tutte composte da volontari. Molte persone arrivano anche da altre regioni per salvare chi si trova in difficoltà, spesso si recano addirittura all’estero. Ultimamente, ad esempio, alcuni volontari del Soccorso Alpino sono stati in Germania e in Turchia, scendendo di oltre mille metri sotto terra per aiutare il prossimo. La componente speleologica è sicuramente quella più compatta e affiatata, e vede una grande componente femminile al suo interno. In sostanza, noi siamo il braccio tecnico delle centrali del 118 in montagna o in qualsiasi altro luogo impervio, che può essere molto semplicemente anche un burrone particolarmente profondo, e rispondiamo a diverse tipologie di necessità. Ad esempio, io sono un cinofilo e sono al secondo cane da ricerca in superficie. Coi cani interveniamo su valanghe, terremoti, dispersi, tra le macerie, e dobbiamo arrivare sul luogo dell’intervento preparati e allenati. La nostra preparazione fisica, tecnica e sanitaria è ciò che ci permette di aiutare gli altri”.
Cosa spinge una persona a donare gran parte del suo tempo per un’attività così rischiosa?
“Inizialmente si trattava di alpinisti che salvavano altri alpinisti. Poi, dal salvare gli alpinisti siamo arrivati a salvare escursionisti, cacciatori, ciclisti, così come tutti coloro che frequentano la montagna in chiave non alpinistica. Per entrare nel Soccorso Alpino serve in primis la volontà di mettersi a disposizione per aiutare gli altri, ma anche un curriculum che testimoni che sei in grado di salvare la vita delle persone. Il percorso per entrare è molto lungo e complicato, ma è un’attività che ti dà qualcosa in più. Gli interventi sono molto complessi, applichi le tue conoscenza ad una morfologia decisamente varia e ogni volta devi mettere in pratica nel modo corretto ciò che hai imparato durante i corsi, perché il malcapitato deve essere tratto in salvo nel miglior modo possibile. Siamo reperibili 24 ore su 24, 365 giorni su 365. Come raccontai tempo fa in un articolo, il telefono suona sempre quando siamo a pranzo, come in una maledizione. Lì vedi tua moglie, i tuoi figli che si mobilitano, che ti aiutano nei piccoli gesti, ma che in fondo si preoccupano per te. In quei momenti lasci tutto e parti, stai andando ad assumerti dei rischi, sia in estate che in inverno. Così come a casa anche in Stazione, però, quello che si forma è un gruppo che diventa una grande famiglia, e ti dà un impulso che ti porta a partire sempre. A tornare indietro siamo sempre in tempo, dopotutto”.
È possibile conciliare lavoro, vita privata e volontariato?
“Serve, innanzitutto, la voglia di mettere a disposizione gran parte del proprio tempo libero. Relativamente al lavoro, invece, si sta facendo via via tutto più complicato. C’è una legge che ci tutela, la Legge Marniga n.162 del 1992, che ci permette di assentarci dal luogo di lavoro per intervento o per esercitazioni di delegazione. È una legge molto importante per noi, perché sancisce che puoi non presentarti a lavoro per andare a salvare una vita, e per noi ha costituito un notevole passo in avanti. Oggigiorno, però, mettere a disposizione il proprio tempo per gli altri è sempre più complesso. I datori di lavoro concedono sempre meno assenze nonostante vengano rimborsati, e se sei un lavoratore autonomo alla fine della giornata hai comunque una perdita economica. Spesso, ancora oggi, devi avvicinarti al luogo di intervento coi tuoi mezzi e a tue spese. Dopodiché, oltre a bilanciare l’attività di volontariato col lavoro, devi riuscire anche a trovare il tempo per gli affetti, la famiglia, e per andare in montagna al di fuori del soccorso”.
I soccorritori e le soccorritrici possono richiedere un’assistenza psicologica per gestire lo stress dovuto agli scenari nei quali sono chiamati ad intervenire?
“Sì, è possibile. Grazie alla Legge 74, che disciplina l’ordinamento interno del Soccorso Alpino, l’aiuto psicologico è presente sia in fase di selezione, al fine di capire se il candidato o la candidata sono in grado di portare a termine il salvataggio in condizioni di forte stress, sia in fase di soccorso. Ad esempio, in situazioni anomale e immense come il crollo del serraco in Marmolada o Rigopiano, così come durante il soccorso in seguito ai terremoti, è possibile richiedere un servizio di assistenza. Ogni volta che ti trovi in uno scenario così complesso sai che dall’altra parte ci sono persone che non stanno bene e che sono in forte difficoltà. Questo, assieme a molti altri fattori, può essere fonte di preoccupazione e farti stare male anche a distanza di tempo. Quando interveniamo, oltre a mettere a rischio la nostra vita siamo spesso esposti a scenari emotivamente intensi”.
Esiste un soccorso o un momento particolarmente emozionante impresso nella sua memoria di soccorritore?
"La vera soddisfazione è portare a compimento un intervento, di qualsiasi tipo esso sia. Ma quelli che ti danno qualcosa in più sono gli interventi che riguardano i bambini. L’anno scorso, quando si è perso il bambino che poi è stato ritrovato a Palazzuolo sul Senio, vedevo le persone mettere la propria anima nel cercarlo notte e giorno, con un impegno fuori dall’ordinario. Ovviamente ci impegniamo sempre al massimo delle nostre possibilità, ma sapere che è un bambino ad essere in difficoltà ti porta a dare qualcosa in più. Di interventi, però, ce ne sono tanti e di tutte le tipologie: dai boy scout in pantaloncini e calzettoni che si perdono nella neve a un precipitato, fino ad un signore anziano caduto in una scarpata che, nel silenzio più totale, viene ritrovato dal cane molecolare che inizia a fissarlo grazie al suo fiuto. In quel momento, stai donando nuovamente la vita a una persona. Sono emozioni che ti rimangono dentro per sempre”.