"Attualmente la situazione lungo la frontiera con l'Afghanistan è motivo di inquietudine e di preoccupazione", ha affermato il presidente russo Vladimir Putin durante un incontro con il suo omologo tagiko, Emomali Rahmon, in cui si è trattato, tra le altre cose, della situazione al confine tra i due Paesi mediorientali. Occhi puntati sullo Stato, quindi, non solo da parte dei Paesi vicini, ma anche di tutta la comunità internazionale, che osserva preoccupata il disgregarsi dei rapporti diplomatici con il governo di Kabul. Un lento –ma non troppo– declino che ha preso il via a metà agosto quando gli studenti coranici hanno invaso la capitale per (ri)prendere il controllo di un Paese le cui autorità non hanno saputo difendersi dopo la partenza annunciata degli Usa e dei loro alleati. Dalla caduta del presidente Ashraf Ghani, la pressione internazionale ha congelato i fondi delle autorità afghane all'estero e ha posto come condizione per gli aiuti umanitari la messa in atto di progressi significativi in materia di inclusione e diritti umani, in particolare per quanto riguarda le bambine e le donne afghane. Proprio queste ultime, il 28 dicembre, sono tornate a protestare lungo le strade di Kabul, chiedendo lavoro, cibo, istruzione e migliori condizioni di vita sotto il dominio dei talebani.
Perché di progressi, finora, non se ne sono visti, nonostante le promesse, ma anzi la situazione appare drammatica: quando si torna a parlare di Afghanistan quelle che si riportano sui media di tutto il mondo sono spesso storie strazianti che raccontano di bambine e bambini che pagano il prezzo più alto in un Paese ridotto allo stremo. A quattro mesi dalla presa della Capitale la nazione si trova nel bel mezzo di una delle peggiori crisi umanitarie a livello mondiale: distrutta dal punto di vista economico e sociale a causa di un repentino rialzo dell'inflazione e dalla preoccupante scarsità dei beni di prima necessità, ad aggravare il tutto ci sono servizi minimi non garantiti, stipendi per i dipendenti che sono arrivano anche per mesi e le casse dello Stato ormai vuote. A ottobre la Fao aveva lanciato l'allarme su quello che sarebbe successo a partire dal mese dicembre: con l'arrivo dell'inverno il 55% della popolazione, ovvero quasi 23 milioni di persone, si sarebbe trovato ad affrontare pesantissime carenze alimentari, oltre al fatto che circa 3 milioni di minori sotto i cinque anni stanno già soffrendo di malnutrizione acuta. Se alla fame si aggiunge l'abbassamento delle temperature il risultato potrebbe essere la morte di circa un milione di persone: il numero più alto mai registrato nei 10 anni in cui l'Onu ha iniziato a monitorare la situazione in Afghanistan. Per questo diventano di vitale importanza gli interventi umanitari. David Beasley, Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale (WFP) alcuni mesi fa aveva dichiarato: "L'Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo, se non la peggiore, e la sicurezza alimentare è quasi crollata. Quest'inverno, milioni di afghani saranno costretti a scegliere tra migrazione e fame, a meno che non si intensifichino i nostri aiuti e l'economia non si rianimi. È iniziato il conto alla rovescia di una catastrofe e se non agiamo ora ci scoppierà un disastro totale tra le mani". "La fame aumenta e i bambini muoiono. Non possiamo nutrire le persone con le promesse – aveva avvertito – gli impegni finanziari devono trasformarsi in denaro contante e la comunità internazionale deve unirsi per affrontare questa crisi che sta rapidamente andando fuori controllo. Pochi giorni fa, il 22 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all'unanimità una risoluzione affinché gli aiuti umanitari arrivino in Afghanistan senza che passino per i talebani. Con questa delibera, in particolare, "sono consentiti il pagamento di fondi, altre attività finanziarie o risorse economiche, nonché la fornitura di beni e servizi necessari per garantire la tempestiva erogazione di tale assistenza o per supportare tali attività" e "i bisogni umani fondamentali in Afghanistan" verranno sostenuti senza che vengano violati le sanzioni imposte ai talebani – che non sono riconosciuti come legittimi detentori del potere – e i provvedimenti assunti dalla comunità internazionale. Già in precedenza la Banca mondiale – pur avendo interrotto l'erogazione degli aiuti a Kabul – aveva annunciato lo stanziamento di 280 milioni di dollari in aiuti umanitari all'Unicef e al Programma alimentare mondiale entro la fine del mese e l'Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) si era impegnata a creare un fondo fiduciario umanitario per alleviare la sofferenza di milioni di persone che stanno affrontando fame e povertà.
Da agosto, infatti, l'assistenza finanziaria è stata sospesa in attesa di provvedimenti da parte del governo talebano affinché le libertà individuali della popolazione siano rispettate, in particolar modo quelle delle donne. Ma la condizione femminile è forse quella maggiormente colpita (in modo diretto, perlomeno) dal ritorno dei talebani al potere. Ad esempio pochi giorni fa, è stato deciso di vietare viaggi e spostamenti alle donne che non siano accompagnate da un uomo. Il provvedimento è solo l'ultimo di una lunga serie con cui il governo ha scelto di limitare il più possibile i diritti e le libertà personali delle donne che, nella maggior parte dei casi, non possono non solo lavorare ma nemmeno proseguire gli studi dopo i 12 anni. E ancora, assolutamente vietato fare sport, a meno di non rischiare la fine di Mahjabin Hakimi, e tutte coloro che in passato avevano praticato un'attività sportiva sono state costrette – o perlomeno hanno provato –a scappare, anche grazie all'aiuto di personaggi famosi o di organizzazioni umanitarie. Insomma una situazione, per donne e bambine, che si prospetta a dir poco tragica e che richiede ben più di vane minacce e ammonizioni da parte dei Paesi occidentali perché si risolva. Nel frattempo gran parte della popolazione, affamata e in balia di temperature estreme, che in inverno arrivano anche a -10°, con carenza di beni essenziali, elettricità e riparo, attualmente è disoccupata o non retribuita. E nelle provincie lo stato delle cose, se possibile, è ancora peggiore. In un ospedale provinciale della regione del Badakhshan, riporta il sito Valigia Blu, centinaia di madri e bambini piccoli hanno riempito il reparto pediatrico in cerca di aiuto, ma in pochissimi possono essere accolti. È il caso di Usman, un bambino di 9 mesi che è stato ricoverato in ospedale per 16 giorni a causa di grave malnutrizione e disidratazione. Il suo papà non lavora da molto tempo e non può permettersi di sfamare la famiglia. Una condizione ormai comune per migliaia di persone, tanto che il direttore della struttura ospedaliera della capitale Faizabad, Mohammad Akbar, sostiene che quest'anno sono stati ricoverati il 50% in più di bambini malnutriti rispetto al 2020, un numero senza precedenti nei suoi 35 anni di carriera. Secondo il medico tutto questo "Dipende dalla comunità internazionale. Se vogliono cambiare qualcosa possono. La nostra comunità non può".