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Home » Economia » I diritti umani per le banche non sono una priorità. Rispetto al 2019 poche cose sono cambiate

I diritti umani per le banche non sono una priorità. Rispetto al 2019 poche cose sono cambiate

Secondo i dati dell’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari, le misure messe in atto risultano insoddisfacenti

Domenico Guarino
2 Gennaio 2023
Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività

Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività

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Adagio, senza brio: i progressi delle banche per quanto riguarda l’attenzione verso i diritti umani procedono, ma a rilento. Lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività. Per stilare la classifica, l’ONG ha valutato 50 tra le banche commerciali più grandi a livello globale, valutandole attraverso 14 indicatori basati sui Principi guida delle Nazioni fissati nel 2011, ovvero l’obbligo dello Stato di proteggere gli individui dalle violazioni dei diritti umani compiute dalle imprese, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani, e la responsabilità degli Stati e delle stesse imprese di prevedere dei rimedi effettivi.
Sulla base di questi principi sono stati individuati 14 principi indicatori, e, alla fine, agli istituti di credito è stato assegnato in punteggio che va dallo 0, il minimo, a 14, che è il punteggio massimo, in quanto coincide con il raggiungimento di tutti gli obiettivi fissati dall’ONU.

I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate

Ebbene, secondo il report le misure messe in atto relative al rispetto dei diritti umani dalle principali banche commerciali a livello globale sono del tutto insufficienti. Unica nota positiva, qualche leggero miglioramento rispetto al 2019.
Alla fine infatti solo 12 istituti – classificati come “front runners” – hanno ottenuto un punteggio pari o superiore alla metà. E nessuna superiore a 9. Questo vuol dire che ben 38 banche su 50 hanno ottenuto meno della metà del punteggio massimo.
Unica nota positiva, come dicevamo, i miglioramenti rispetto al 2019, quando le banche esaminate erano 47: quasi il 70% degli istituti di credito presi in esame ha incrementato il proprio risultato ed il punteggio medio è salito da 4 a 5
Poca cosa, se si considera che alla fine il risultato più alto è stato 9, ben lontano dal massimo possibile.

Le imprese hanno mostrato il maggior miglioramento nei criteri relativi alle pratiche di due diligence. Inoltre, ben 42 banche su 50 hanno pubblicato una dichiarazione in cui si sono impegnate a rispettare i diritti umani. Ma solo per 28 di loro questo impegno riguarda anche i finanziamenti che concedono.
Le banche più virtuose risultano l’americana Citi (che guadagna due punti rispetto al 2019), la giapponese Mizuho (che segna il maggior incremento rispetto al rapporto precedente con ben cinque punti in più) e l’australiana Westpac. Ad eccezione di un’altra australiana, tutte le banche che superano il punteggio di sette sono europee, tra cui, BNP Paribas, Barclays, ING Group e Deutsche Bank.

In coda, negli ultimi 4 posti troviamo Bank of China, che non ha ottenuto nemmeno mezzo punto, ed altre tre banche cinesi. Poco più su due conoscenze della cronaca come JPMorgan Chase e Goldman Sachs. Insieme a loro una banca francese, due tedesche e una indiana.
Infine, nella fascia intermedia, che va da 3,5 a 6,5, troviamo tra gli altri, i colossi francesi Société Général e Crédit Agricole, le americane Morgan Stanley e Bank of America, ma anche Credit Suisse e l’inglese HSBC.

I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate

Tra le italiane il rapporto prende in considerazione solo Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrambe hanno ottenuto come punteggio 6, lo stesso di tre anni fa, segno che non è stato implementato alcun comportamento atto a migliorare il proprio livello, che non era certo soddisfacente.

Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività
Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività

Eppure tanto Intesa quanto Unicredit rientrano tra le banche che hanno rilasciato dichiarazioni o adottato policy per il rispetto dei diritti umani. peccato che, come afferma la rivista Valori, “ sono piani non aggiornati da anni”. In particolare “ Unicredit nel marzo 2016 aveva approvato un documento dal titolo Impegno per i diritti umani, che però non è mai stato aggiornato. Intesa, invece, un documento simile l’anno seguente”.

Male le banche cinesi, bene alcune europee. Bene e male le americane
Male le banche cinesi, bene alcune europee. Bene e male le americane

San Paolo è infine tra i pochi ad aver raggiunto il massimo punteggio nella categoria “Reporting”, ovvero nella categoria che rende conti delle misure che adotta per mitigare, prevenire e gestire l’impatto sui diritti e umani. Magra consolazione, visto che alla prova dei fatti, la banca torinese ha ottenuto zero nell’adeguatezza delle risposte, in quanto, sempre come riporta Valori, “non fornisce abbastanza informazioni per poter valutare se le misure adottate siano sufficienti”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Adagio, senza brio: i progressi delle banche per quanto riguarda l’attenzione verso i diritti umani procedono, ma a rilento. Lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività. Per stilare la classifica, l’ONG ha valutato 50 tra le banche commerciali più grandi a livello globale, valutandole attraverso 14 indicatori basati sui Principi guida delle Nazioni fissati nel 2011, ovvero l’obbligo dello Stato di proteggere gli individui dalle violazioni dei diritti umani compiute dalle imprese, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani, e la responsabilità degli Stati e delle stesse imprese di prevedere dei rimedi effettivi. Sulla base di questi principi sono stati individuati 14 principi indicatori, e, alla fine, agli istituti di credito è stato assegnato in punteggio che va dallo 0, il minimo, a 14, che è il punteggio massimo, in quanto coincide con il raggiungimento di tutti gli obiettivi fissati dall’ONU.
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
Ebbene, secondo il report le misure messe in atto relative al rispetto dei diritti umani dalle principali banche commerciali a livello globale sono del tutto insufficienti. Unica nota positiva, qualche leggero miglioramento rispetto al 2019. Alla fine infatti solo 12 istituti – classificati come “front runners” – hanno ottenuto un punteggio pari o superiore alla metà. E nessuna superiore a 9. Questo vuol dire che ben 38 banche su 50 hanno ottenuto meno della metà del punteggio massimo. Unica nota positiva, come dicevamo, i miglioramenti rispetto al 2019, quando le banche esaminate erano 47: quasi il 70% degli istituti di credito presi in esame ha incrementato il proprio risultato ed il punteggio medio è salito da 4 a 5 Poca cosa, se si considera che alla fine il risultato più alto è stato 9, ben lontano dal massimo possibile. Le imprese hanno mostrato il maggior miglioramento nei criteri relativi alle pratiche di due diligence. Inoltre, ben 42 banche su 50 hanno pubblicato una dichiarazione in cui si sono impegnate a rispettare i diritti umani. Ma solo per 28 di loro questo impegno riguarda anche i finanziamenti che concedono. Le banche più virtuose risultano l’americana Citi (che guadagna due punti rispetto al 2019), la giapponese Mizuho (che segna il maggior incremento rispetto al rapporto precedente con ben cinque punti in più) e l’australiana Westpac. Ad eccezione di un’altra australiana, tutte le banche che superano il punteggio di sette sono europee, tra cui, BNP Paribas, Barclays, ING Group e Deutsche Bank. In coda, negli ultimi 4 posti troviamo Bank of China, che non ha ottenuto nemmeno mezzo punto, ed altre tre banche cinesi. Poco più su due conoscenze della cronaca come JPMorgan Chase e Goldman Sachs. Insieme a loro una banca francese, due tedesche e una indiana. Infine, nella fascia intermedia, che va da 3,5 a 6,5, troviamo tra gli altri, i colossi francesi Société Général e Crédit Agricole, le americane Morgan Stanley e Bank of America, ma anche Credit Suisse e l’inglese HSBC.
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
I diritti umani? Per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
Tra le italiane il rapporto prende in considerazione solo Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrambe hanno ottenuto come punteggio 6, lo stesso di tre anni fa, segno che non è stato implementato alcun comportamento atto a migliorare il proprio livello, che non era certo soddisfacente.
Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività
Le misure messe in atto risultano insoddisfacenti: lo denuncia l’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le loro attività
Eppure tanto Intesa quanto Unicredit rientrano tra le banche che hanno rilasciato dichiarazioni o adottato policy per il rispetto dei diritti umani. peccato che, come afferma la rivista Valori, “ sono piani non aggiornati da anni”. In particolare “ Unicredit nel marzo 2016 aveva approvato un documento dal titolo Impegno per i diritti umani, che però non è mai stato aggiornato. Intesa, invece, un documento simile l’anno seguente”.
Male le banche cinesi, bene alcune europee. Bene e male le americane
Male le banche cinesi, bene alcune europee. Bene e male le americane
San Paolo è infine tra i pochi ad aver raggiunto il massimo punteggio nella categoria “Reporting”, ovvero nella categoria che rende conti delle misure che adotta per mitigare, prevenire e gestire l’impatto sui diritti e umani. Magra consolazione, visto che alla prova dei fatti, la banca torinese ha ottenuto zero nell’adeguatezza delle risposte, in quanto, sempre come riporta Valori, “non fornisce abbastanza informazioni per poter valutare se le misure adottate siano sufficienti”.
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