Stress alle stelle, disamoramento verso la propria azienda che porta a fare il tifo per la sua sconfitta, dimissioni silenziose, ovvero non fare nulla più dello stretto necessario per onorare il proprio contratto.
Secondo il nuovo report State of the global Workplace rilasciato dall’istituto di analisi Gallup di Washington, il malessere dei lavoratori italiani è ben oltre il livello di guardia: 6 dipendenti su 10 avvertono uno stato di disagio permanente o addirittura di vera e propria sofferenza. Tanto che, se si chiede ai lavoratori italiani delle sensazioni provate nell’ultima giornata in ufficio, le specifiche più usate sono stress (46%) e tristezza (25%), sentimenti per altro ben più diffusi che nel resto del Vecchio continente (rispettivamente 37% e 17%).
L’Italia si pone inoltre al top in Europa per la quota di “actively disengaged” (lett. attivamente disimpegnati) visto che la media mondiale è del 15% e quella del Vecchio continente è del 16 per cento. Stato di generale malessere dunque, anche perché le persone non ritengono che sia un buon momento per trovarsi un lavoro nel posto in cui si vive. Anche in questo caso siamo penultimi nella classifica continentale, appaiati alla Spagna e ben lontani dai livelli di fiducia dei nordici. Alla fin dei conti comunque in Italia “sta bene” solo il 41% dei lavoratori (media globale 34%, 47% in Europa).
Una possibili soluzione in arrivo dalla Cina
Ma come porre rimedio a questa situazione? Un esempio arriva dalla Cina, dove Yu Donglai, fondatore della catena di supermercati e grandi magazzini “Pang Donglai” nella provincia dello Henan, qualche settimana fa – come riporta il South China Morning Post – ha annunciato che i suoi dipendenti, qualora avvertano stress o tristezza, possono richiedere fino 10 giorni di ferie aggiuntive a loro discrezione, un modo per aiutarli a raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Un “congedo di infelicità” insomma che sembra aver trovato apprezzamento tra i lavoratori.
Le buone pratiche
Ma senza ricorrere a questi ‘estremi’, esistono delle buone pratiche che si possono mettere in atto per aumentare il benessere dei lavoratori, e dunque la loro produttività e partecipazione attiva al progetto aziendale e, contemporaneamente, ridurre il turn over.
La prima cosa è curare nei dettagli gli spazi fisici in maniera da rendere confacenti alle esigenze di ciascuno, con postazioni di lavoro comode e ben illuminate, aree relax e di ristoro. Poi migliorare la comunicazione e promuovere il lavoro di squadra. Anche responsabilizzare i collaboratori ha la sua importanza, come offrire dei benefit o del del cibo salutare.
È bene poi che a ‘dare l'esempio' siano le figure dirigenziali, soprattutto quelle che operano a maggior contatto con i lavoratori. Ancora, il recente “LinkedIn Workforce Report” ci dice che il 94% dei dipendenti rimarrebbe a lungo in azienda se questa investisse su di loro aiutandoli ad imparare sempre nuove cose. E poi fornire feedback dando consigli costruttivi e regolari ai lavoratori, al fine di ottimizzare il processo lavorativo, migliorare le relazioni interne, aumentare le motivazioni, come sottolineato nello studio “The Importance of Feedback in Organizational”. Molto importante è anche offrire opportunità di crescita, dando al contempo ai lavoratori la possibilità di rimanere sempre aggiornati e acquisire nuove competenze, coinvolgimento dei dipendenti significa assicurarsi che in azienda tutti siano entusiasti, motivati e dedicati a ciò che fanno.
Allo stesso modo serve incoraggiare diversità e inclusione, cercando pool di talenti diversificati, e garantendo a tutti la possibilità di accedere a ruoli esecutivi e gestionali, quindi la parità di opportunità e trasparenza. Utilissimo è inoltre affidare ai processi automatizzati le mansioni ripetitive: le nuove tecnologie permettono oggi di sollevare i lavoratori da molte attività noiose che altro non fanno che far perdere tempo e contribuire all’insorgere della noia e del burnout.
La settimana corta
Soprattutto è importantissimo garantire a tutti i lavoratori il raggiungimento di un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. In questo senso suscita grande interesse la sperimentazione della settimana lavorativa corta, che consiste nel ridurre i giorni lavorativi da 5 a 4 mantenendo produttività e stipendi invariati.
Una pratica adottata in Italia da Intesa Sanpaolo, Sace, Lamborghini e Luxottica e che sembra destinata a estendersi. Anche perché gli studi a riguardo dimostrano il successo di tali pratiche. Un’indagine dell'Università di Cambridge, attesta che, con l’adozione della settimana corta, circa il 71% dei dipendenti ha dichiarato di avere livelli più bassi di burnout e il 39% ha dichiarato di essere meno stressato, rispetto all’inizio dello studio.
I ricercatori hanno riscontrato una riduzione del 65% dei giorni di malattia e un calo del 57% del numero di dipendenti che si sono dimessi dalle aziende partecipanti, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I ricavi dell’azienda sono rimasti pressoché invariati durante il periodo di prova, aumentando addirittura marginalmente in media dell’1,4% per le 23 organizzazioni in grado di fornire dati.