Il fattore D in azienda: perché essere Diversi (e inclusivi) fa volare il business

di GIANCARLO RICCI
12 aprile 2021
AziendeDiverse

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Il nuovo segreto del successo: aprire le porte

Fino a poco tempo fa (e purtroppo ancora oggi in alcune realtà aziendali) la diversità veniva affrontata come un problema. Oggi questa prima miope visione della tematica si è trasformata diventando una vera e propria cultura d’azienda, volta all’adozione di pratiche e modelli organizzativi pensati per favorire l’inclusione, acquisendo sempre più la convinzione che la diversità generi un concreto valore economico. Diversi studi sono stati condotti su questo tema negli ultimi anni (i più noti sono quelli di Bersin by Deloitte, McKinsey e Diversity Lab) e hanno permesso di individuare sei principali e fondamentali benefici di cui possono godere le imprese che riconoscono l’importanza di avere una struttura aziendale variegata per genere, età, etnia, abilità, formazione, stile, aspirazioni personali, status socio-economico e altro.
  1. Il primo e più evidente beneficio sembra proprio essere la migliore capacità (fino all’87% delle volte) di prendere decisioni che sfidano lo status quo nella gestione della complessità.
  2. In secondo luogo, le aziende che hanno una forte cultura di diversità e inclusione dimostrano una maggiore capacità (+20%) d’innovazione, dal momento che le differenze di pensiero, molto presenti in team di composizione variegata, sono una fondamentale fonte di creatività.
  3. Terzo beneficio è la maggiore capacità dei gruppi misti di prevenire e gestire i rischi, che si riducono del 30%.
  4. Quarto elemento, la crescita dei risultati per quel che riguarda l’attrazione, il coinvolgimento e la fidelizzazione dei giovani (l’83% dei quali cerca in azienda un ambiente dove esprimere la propria unicità).
  5. Altro importante elemento da considerare come beneficio per le aziende inclusive è l’aumento della fidelizzazione del cliente di marchi che promuovono la diversità, scelti con convinzione anche per questo da 3 clienti su 4.
  6. Ultimo, ma non per questo meno importante: flussi di cassa per dipendente raddoppiati e in alcuni casi triplicati nell’arco di tre anni per aziende con una leadership eterogenea.
 

Il caso Deliveroo: non investi sui diritti? La Borsa ti boccia

Il 30 marzo Deliveroo si è quotata in Borsa, registrando un record negativo con picchi quasi catastrofici, al punto che qualcuno l'ha già soprannominata "Flopperoo". I motivi della Flopperoo sono diversi, ma alla base c'è la sostanziale sfiducia degli investitori  nel modello societario dell'azienda in termini di sostenibilità ambientale, sociale e aziendale. Aviva Investors e Aberdeen Standard considerano "eticamente e socialmente non accettabile" il modello rider di Deliveroo. E la richiesta che arriva dal mondo finanziario è quella che ci siano "chiari segnali dell’azienda in nome di diritti e benessere dei lavoratori". Il caso Deliveroo è emblematico di un sostanziale cambio di passo del mondo economico e finanziario sull'attenzione e la sensibilità rispetto ai temi legati ai diritti dei lavoratori e al benessere dei dipendenti. Del resto, questo stretto legame tra inclusione e crescita dei ricavi è stato recentemente confermato anche dall’edizione 2020 del Diversity Brand Index (sviluppato da Diversity e Focus Management, che lavorano congiuntamente dal 2017 per affrontare la diversità a 360 gradi, osservata attraverso la prospettiva dei brand e delle percezioni di consumatrici e consumatori), dal quale emerge che, confrontando due ipotetiche aziende simili tra loro, una che investe su diversità e inclusione e una percepita come non inclusiva, il gap tra la crescita dei ricavi delle due imprese può superare il 23% (contro il 20% e il 16,7% delle due edizioni precedenti), naturalmente a favore dell’azienda più inclusiva. Un brand che investe sulla D&I in una prospettiva marketing oriented può, quindi, ottenere una crescita dei ricavi nettamente maggiore rispetto a un brand percepito come non inclusivo. E’ importante evidenziare che il tema dell’inclusione si sviluppa su due piani differenti, ma paralleli: quello del cambiamento all’interno delle aziende, volto tendenzialmente all’aumento della produttività tramite un ambiente di lavoro più sano e di conseguenza un dipendente più felice, e quello del cambiamento all’esterno delle aziende, rivolto al consumatore finale e finalizzato, da un lato, all’aumento dei ricavi, grazie all’incremento di fiducia, fedeltà al marchio e passaparola positivo nei confronti del brand.  

Il ruolo delle Pmi e l’evoluzione del concetto di inclusione

Le multinazionali, che sono presenti su tanti mercati e lavorano su questo tema da diversi anni ormai, hanno maturato una cultura di impresa aperta alla diversità e sono pronte ed organizzate per gestirla al meglio. In un paese come il nostro, a svolgere un ruolo chiave in tal senso devono essere le piccole e medie imprese, che rappresentano di fatto il vero tessuto produttivo italiano. Queste imprese, però, sono meno connesse a quello che è il percorso culturale di un’impresa globale e quindi sono anche difficilmente raggiungibili da programmi di inclusione in quanto spesso queste imprese fanno poca formazione e faticano a comprendere l’importanza di intraprendere queste evoluzioni culturali che invece possono rivelarsi decisamente interessanti per il loro stesso sviluppo. Quello che però sta accadendo negli ultimi anni è un’evoluzione di questa realtà; la piccola media impresa comprende che è necessario fare un lavoro su questi temi e molte aziende medio-piccole ora stanno affrontando un percorso evolutivo che vede anche le associazioni di industriali motivate allo sviluppo di discorsi sull’inclusione. È indubbio che un po’ dappertutto le pmi rappresentano la grande sfida e diventano il cuore di un discorso sull’inclusione, proprio perché sono quelle che riescono a mobilitare e coinvolgere davvero la popolazione, soprattutto in territori che non sono le grandi città, come Milano o Roma. Sappiamo che in alcune realtà questi temi sono molto discussi, ci sono eventi, convegni, ecc.; esistono intere regioni d’Italia, però, in cui di questi argomenti si sa, e si parla, molto poco. L’opportunità per il management, imprenditori e lavoratori, è bassissima proprio perché non esiste una discussione espressamente dedicata alla diversity. Bisogna poi mobilitare anche i professionisti, tutti coloro che sul territorio agiscono e svolgono un ruolo culturale, che è importante considerare in un Paese come l’Italia.  

La leadership del futuro: identikit di un capo inclusivo

Le imprese parlano attraverso i loro modelli organizzativi e sostengono un valore quando decidono di investire economicamente in azioni, operazioni e strutture organizzative che poi permettono l’implementazione di queste strategie. Le organizzazioni che vogliono lavorare su diversity e inclusion hanno bisogno di una figura che sia responsabile di questi processi, che sostenga e faciliti l’elaborazione di una strategia di inclusione e che sia in qualche modo leader di un processo di cambiamento culturale. Un leader, all’interno di un’azienda, per essere inclusivo e promuovere la diversità, deve mettere in atto alcuni comportamenti specifici, come ad esempio: assegnare obiettivi sfidanti a persone che non corrispondono al prototipo della persona a cui quel tipo di lavoro è sempre stato affidato; favorire la flessibilità e l’agilità nella gestione degli orari e dell’agenda del gruppo; sostenere e premiare la capacità di adattamento delle persone ad ambienti complessi e sempre diversi, creando un ambiente di lavoro psicologicamente sicuro; promuovere all’interno della propria squadra l’uso di un linguaggio rispettoso di tutte le persone e delle loro caratteristiche individuali; infine, deve essere in grado di prevenire e gestire eventuali incidenti relativi a dipendenti e clienti dovuti a pregiudizi che possono generare anche controversie legali o crisi reputazionali. Le nuove generazioni sono più motivate alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, perché credono fortemente nel valore della diversità di pensiero e quindi entrano nel mondo del lavoro in qualche modo dando per scontata la capacità dei datori di lavoro di valorizzare le persone.  

La grande sfida? Valorizzare il team e i giovani. Senza pregiudizi

L’età, secondo alcune ricerche, è considerata il fattore più grave di discriminazione in Italia e quello senz’altro più sentito; le persone sopra i 50 anni in Italia pensano di non poter esprimere più nelle imprese lo stesso valore che potevano esprimere prima, perché sentono che, se non si dà tutto entro i 50 e non si è fatta carriera, poi diventa molto difficile esprimere il proprio talento. L’allungamento della vita lavorativa e l’aumento dell’anzianità media nella forza lavoro confermano il peso sempre più rilevante della popolazione over 50, che resterà operativa professionalmente molto più a lungo delle generazioni precedenti: ciò renderà necessario l’utilizzo di strategie ad hoc per valorizzare e motivare questo cluster di lavoratori. A tal proposito, l’inclusione globale è una visione che valorizza l’unicità di ogni persona e riconosce nei fatti il valore determinante del talento umano come fattore insostituibile di successo, anche economico, per le aziende. Nelle selezioni,non sono più ricercate persone con uno specifico profilo standard ma si valuta sempre di più l’unicità delle persone per generare diversità cognitiva. Sappiamo che l’inclusione delle diversità produce valore in termini di innovazione, creatività, valore economico tangibile e quindi ha un impatto sul valore azionario, sul flusso di cassa; senz’altro produce un valore in termini reali, quindi cresce l’engagement delle persone nelle organizzazioni. Sappiamo che la capacità di essere centrati sul cliente cresce nella misura in cui lavoriamo proprio su questi temi; quindi, oltre alle questioni etiche e quelle di sostenibilità, esistono tantissimi vantaggi che ormai sono noti. Occorre identificare le barriere che impediscono alle imprese di essere inclusive; c’è consapevolezza del fatto che l’inclusione è un valore, forse non sempre si è consapevoli del lavoro che va fatto sul piano culturale per rimuovere le barriere che impediscono la creazione di una cultura inclusiva. Il tempo e gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione possono cambiare le cose.