Posto fisso? I giovani dicono: "No grazie"

Sempre meno giovani nella pubblica amministrazione. Concorsi quasi deserti e rinunce che fioccano: il posto fisso non attrae più

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
16 novembre 2023
Quo Vado-zalone

Quo Vado-zalone

Avete presente tutte le peripezie che Checco Zalone affronta in Quo Vado pur di mantenersi stretto il posto fisso? Non sono altro che la parodia di tempi ormai lontani, andati, che evidentemente non appartengono alle nuove generazioni. E non è solo una questione prettamente mentale, di diverso approccio al lavoro che indubbiamente è cambiato, ma ci sono anche tanti altri fattori che allontanano sempre di più i giovani da questo mito. Proviamo a capire il perché.

Le statistiche Eurostat sono impietose: nel 2022, in Italia, 1,67 milioni di giovani (quasi 1 giovane su 5) tra 15 e 29 anni è un NEET, cioè una persona che non studia, non lavora e non è inserita in un percorso di formazione. Eppure, nonostante la campagna di assunzioni promossa, nel 2021 l’età media del personale della pubblica amministrazione ha toccato quota 50,7 anni. Nel 2001, era di 44,2 anni.

La campagna sul posto fisso

Pochissimi giovani tra gli impiegati pubblici

Gli impiegati pubblici con meno di 30 anni sono solo il 4,8%, di cui con contratto stabile il 3,6%. Enti locali, scuola e Ministeri fanalino di coda: solo 2 giovani con meno di 30 anni ogni 100 impiegati risultano assunti stabilmente. Nei Ministeri, lo 0,7% degli impiegati ha meno di 30 anni, il 29,3% supera i 60 anni.

Nella scuola, la faccenda si fa ancora più complessa: il rapporto è di 0,3% under 30 contro il 22,8% over 60. Sempre meno anche i candidati ai concorsi e il numero delle rinunce risulta in aumento. Da inizio 2021 a giugno 2022, hanno partecipato ai concorsi appena 40 candidati per ogni posto a bando, un quinto rispetto ai 200 del biennio precedente. Mediamente, poi, 2 vincitori su 10 hanno rinunciato al posto, con punte del 50% di rinunce per quelli a tempo determinato.

Lavoro al nord, il caro affitti spaventa

Fenomeno da attenzionare è quello Nord-Sud: molte persone non accettano lavori al Nord, dove l’affitto erode - quando va bene - il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto. Una disaffezione nei confronti della pubblica amministrazione che desta più di qualche sospetto e che va nettamente in controtendenza con la filosofia zaloniana del sogno del posto fisso purché sia.

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Molte persone non accettano lavori al Nord per il fattore economico: l’affitto erode - quando va bene - il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto

Privato Vs pubblico: lo stipendio conta

Tra le cause di questa emorragia, gli stipendi del settore privato che crescono più in fretta di quelli pubblici. Un fattore economico niente affatto irrilevante che, però, pare non essere la sola ragione di un fenomeno che ha tutta l’aria di essere destinato a non arrestare la propria corsa. La fotografia della pubblica amministrazione segnala infatti la crescita del lavoro a tempo determinato. Su 100 contratti a tempo indeterminato ce ne sono 15 a tempo determinato, una condizione che indubbiamente non agevola la costruzione di un qualsivoglia futuro.

Una situazione complessa, se proiettata al prossimo futuro. Entro il 2033, oltre 1 milione di dipendenti pubblici andranno in pensione. Come se non bastasse, i tempi moderni richiedono professionalità tecniche avanzate di cui spesso la pubblica amministrazione non dispone. La sintesi è presto fatta: per la tenuta del sistema serve il famigerato ricambio generazionale.

La meritocrazia: una chimera

Rimettere insieme i pezzi non sarà certo facile. Stipendi e flessibilità dovranno essere fari delle proposte lavorative. Menzione a parte per la meritocrazia: sempre più giovani non ripongono fiducia nei concorsi pubblici, ritenendoli inadeguati a valutare preparazione e competenze e, spesso, ostaggio di dinamiche poco trasparenti.

Servirà poi garantire ai giovani dipendenti pubblici formazione continua, opportunità di crescita e un contesto lavorativo vivace e stimolante. Un’impresa titanica per un apparato pubblico ingessato, quasi ottocentesco nel funzionamento, abituato a dinamiche assai diverse da quelle contemporanee. A ben vedere, pare però non esserci alternativa. Il coltissimo equivoco resta sempre attuale: “Essere o non essere?”.