di Costanza Chirdo
"Dopo Parigi ho ricevuto molti messaggi. Mi rendo conto di quante persone soffrano per il solo fatto di essere in una situazione come la mia. Non mi sento coraggiosa, ho solo preso l’unica strada possibile per poter essere felice". Valentina Petrillo, atleta paralimpica, quest’anno ha partecipato, per la prima volta, alle Paralimpiadi di Parigi. Diagnosticata con la sindrome di Stargardt a 14 anni, che la rende ipovedente, non ha mai abbandonato la passione per l’atletica. È la prima atleta trans ad aver partecipato alle Paralimpiadi.
Com’è stata l’esperienza di Parigi?
"Bellissima. Era il sogno che avevo dall’età di 7 anni, quando mi sono innamorata dell’atletica leggera vedendo Pietro Mennea vincere a Mosca. Anche io volevo vestire quella maglia, ma volevo farlo come donna e questo me lo sono portata dietro per tutta la vita. Come maschio non volevo espormi: era un po’ come correre con il freno a mano. Realizzare questo sogno a 50 anni vuol dire tanto. La mia corsa ha dei valori che vanno oltre quelli sportivi".
Ci sono state polemiche per la sua, ma non solo, partecipazione nella categoria femminile. Che ne pensa?
"Quando c’è una novità è sempre difficile digerirla. Ci mancano tante informazioni sull’argomento, quindi viviamo in una situazione stereotipata e una persona transgender, un ex uomo che gareggia con le donne, fa scalpore. Io mi carico addosso questo fardello e sono consapevole che senza la giusta informazione si fa fatica ad accettare e capire. Attacchi e insulti mi lasciano amarezza, vorrei che si parlasse di me per motivi sportivi".
La sua ultima gara maschile è stata nel 2018. Poi ha iniziato la terapia ormonale. Le andrebbe di raccontarci?
"L’ho iniziata nel 2019. Dopo un mese ho avuto un aumento di peso di 10 chili, stanchezza generale, più freddo ed erano calati i valori dei globuli rossi. Dopo tre mesi ho avuto un calo delle prestazioni, non sono più tornata ai livelli di prima. Ma meglio una donna più lenta e felice, che un uomo più veloce e triste".
Parliamo di IA. Che idea si è fatta?
"Secondo me non bisogna averne paura e usare accorgimenti. Ad esempio, per le persone con disabilità la computer vision è sicuramente un aiuto. Il problema è su una possibile interpretazione del pensiero umano, perché rischia di appiattirlo, mentre ognuno è unico e irripetibile".
I sistemi di riconoscimento facciale IA non sembrano riconoscere le identità trans e non binarie...
"Non lo sapevo, ma non stento a crederlo. Rientriamo in quei casi di unicità. Sono nata maschio e ora sono una donna. L’IA non lo capisce".
Quanto è importante per lei un linguaggio inclusivo?
"Credo sia fondamentale per il rispetto delle persone. Il deadname, il nome che avevo prima della transizione, è un qualcosa che non bisogna utilizzare, al limite deve essere una mia scelta. Purtroppo in ambito giornalistico succede spesso, perché fa più notizia. È importante che queste questioni vengano trattate con sensibilità e senza clichè".