Pietro Morello al Festival di Luce: “Siate folli, siate ciechi, siate bambini”

Il noto musicista, operatore umanitario e influencer fa cantare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio sulle note di "Imagine" e racconta la magia di guardare il mondo con gli occhi che i bambini sanno usare, anche quando sono chiusi in un reparto terminale di ospedale o confinati in una zona di guerra

di CATERINA CECCUTI
20 ottobre 2024

Pietro Morello sul palco del Festival di Luce!

Ore 15. Il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio - a Firenze - è gremito di persone di tutte le età, principalmente giovani. Pietro Morello è il primo ospite del pomeriggio al Festival di Luce!

È atteso e applaudito quando si guadagna il palco attraversando la platea. I capelli sparati verso il cielo, l’abbigliamento rilassato, quasi giocoso. A presentarlo ed a rivolgergli alcune domande è Cristina Privitera, vicedirettrice di QN La Nazione.

Morello è musicista, operatore umanitario e creator; classe 1999, torinese. Ha conquistato milioni di follower grazie al suo impegno umanitario, raccontato con entusiasmo e la meraviglia negli occhi, quella di un bambino.

E proprio dei bambini è innamorato. Della loro capacità di vedere e affrontare la vita. Della loro capacità di sognare e di insegnare a farlo agli adulti predisposti ad ascoltarlo.

Per questo morello, nel corso degli ultimi anni, ha dedicato la sua vita alla cura e al sostegno dei bambini che popolano i reparti ospedalieri e le zone di guerra. E poi lui sa suonare, suona tutto e fa suonare tutto: strumenti, oggetti, persone.

“Da quale aspetto di te vorresti cominciare a parlarci? – gli domanda Cristina Privitera – Sei così giovane, hai solo 25 anni, eppure sei già musicista, operatore umanitario, creator…”

“Mi mettono ansia tutte queste parole – risponde -. Devo rispettare tutti questi ruoli? Diciamo che tutto parte come operatore sanitario; anche la musica è partita da lì, con l’esperienza che i bambini ti regalano. Loro si portano la musica dentro e la trasmettono. Poi, con i social, le cose sono esplose e oggi mi seguono 3 milioni e 700.000 follower.

Sei un divulgatore…

“Mi piace molto questa parola. Il mio obiettivo è usare i social non solo come strumento di condivisione alla portata di tutti, ma anche per passare un messaggio, come la storia della musica ed altri concetti concreti.”

Perché dedichi il tuo tempo ai bambini e alle missioni?

“Sono figlio d’arte in questo: i miei genitori sono pedagogisti e mia sorella è una maestra. Io però sono un po’ uscito dagli schemi viaggiando, unendo infanzia, musica, e viaggi ai contesti ospedalieri. Il tutto condito da tanta voglia di condividere.”

È vero che volevi fare l’inventore da piccolo?

“Sì, lo dicevo, ma senza specificare cosa volevo inventare. Avevo visto il film “Il giro del mondo in ottanta giorni”, in cui il protagonista inventava tante cose, ed io volevo fare come lui.”

Parliamo dell’intelligenza artificiale, il tema che il Festival ha scelto quest’anno. Tu sei giovane, quali rischi e benefici vedi nel suo utilizzo?

“L’IA è un tema che va diviso in due grandi macro aspetti: da una parte rappresenta ciò che abbiamo già tra le mani e che avremo nel futuro; dall’altra l’importanza di insegnare come utilizzare questo grande potenziale, perché senza le corrette istruzioni potrebbe diventare uno strumento di controllo. Dobbiamo impegnarci perché venga usato come strumento di prevenzione delle guerre e di progettazione di nuove tecnologie che salvino la vita, piuttosto che distruggerla.”

Ripartirai a breve con il tuo tour?

“Sì, a novembre. Torneremo in teatro con “Non è un concerto", lo spettacolo in cui racconto esperienze di vita vissute tra note musicali, missioni umanitarie e attività negli ospedali con i bambini, tutte accomunate da un unico fil rouge: la felicità. È uno spettacolo nato da tanta voglia di stare a contatto col pubblico e di vivere gli spazi del teatro. L’anno scorso riportare le persone a teatro è stata un'emozione incredibile, ecco perché ripartiamo toccando tante città d’Italia.”

Cristina Privitera scende dal palco e Morello resta solo con il pubblico. “Vorrei portarvi a trovare una bambina, Sara – esordisce -. Domando sempre a tanti bimbi “Cosa vuoi fare da grande?”, perché noi adulti ci scordiamo di porci questa domanda. Ma quando un bambino si trova in un reparto terminale di ospedale o in una zona di guerra cosa può risponderti? Bene, Sara mi ha risposto “Voglio fare il medico per inventare un macchinario che mi faccia dormire la notte, perché così non riesco a dormire. Ma se non lo farò io chi lo farà? Mentre stavo cercando risposte razionali ad una domanda così meravigliosamente bambina, Matteo, di appena sette anni, risposto al posto mio: “Lo faccio io”. E non importa se lui lo farà davvero o no, il suo essere bambino lo ha portato a dire una cosa così bella. Ho dimenticato di specificare che Sara era completamente cieca per colpa della malattia, e che accanto a sé aveva campioncini di tanti profumi diversi. Mi diceva “Ascolta il profumo, sa di pepe, di ragazza vestita di bianco che si scalda davanti a un falò”.

Io questa immagine non riuscivo a vederla con i miei occhi di adulto, ma ho cercato di generare in me questa sinestesia tornando bambino, usando la vista di Sara.

E alla fine ho percepito la ragazza vestita di bianco che si scalda accanto a un falò. Lei ha fatto nascere dei brani e delle musiche che vorrei farvi percepire. Vorrei che non le sentiste con le orecchie, ma che percepiste soltanto la sinestesia. Siate ciechi, siate bambini per un attimo. Cercate di capire perché alcune note di questo brano hanno senso di esistere.”

Poi Morello si siede al piano, esegue il brano “Filosofia” e la sua musica inizia a raccontare. Come la maggior parte del pubblico, anche io che ero seduta a fianco del palco chiudo gli occhi e mi lascio trasportare da quello che si vede dietro la musica, oltre la musica.

Onde rifratte nella schiuma del bagno asciuga, i piedi scalzi di Sara e di tutti i bambini chiusi nel reparto d’ospedale insieme a lei che si muovono piano nell’acqua, le loro mani intrecciate, i loro corpi piccoli che avanzano verso il futuro, inondati dalla luce e da tutto l’amore che esiste, quello che non si vede, che si può solo sentire. E la musica lo racconta con sfumature infinite.

“Io mi sono innamorato dell’infanzia – conclude Morello -, del valore che può portare in un contesto in cui voglio rompere le barriere. Quante volte il bimbo dice la cosa sbagliata al momento sbagliato… Un bambino in ospedale una volta mi ha chiesto “Cosa c’è dopo, rivedrò la mia mamma? Come è fatto il dopo?” Io non ho saputo rispondere a parole, ma cerco sempre un ponte differente per poter raggiungere una risposta. Ora chiedo al pubblico di alzarsi in piedi e fare un esperimento insieme a me. Vi propongo un gioco che faccio con i bambini, per insegnargli la musica. Siate folli e stupidi per un attimo: cantate.”

Morello fa cantare il pubblico, dividendolo in due gruppi: con le dita della mano destra dirige ora una ora l’altra parte della platea, con quelle della mano sinistra segna il tempo. Poi canta Imagine di John Lennon, mentre il coro di tutta la sala fa la musica di sottofondo e sogna insieme a lui.