di Teresa Scarcella
Dal suo ’seminterrato’ sono passati centinaia di ospiti. Tutti entrati come personaggi, sono usciti come persone. Durante l’intervista lui, armato solo di microfono, li ha spogliati delle vesti pubbliche per far emergere gli aspetti più intimi. Stiamo parlando ovviamente di Gianluca Gazzoli e del suo podcast ’Passa dal Bsmt’.
Come nasce il podcast?
"Da un’esigenza, dalla voglia di raccontare storie, scoprirle, chiacchierare con le persone. A me era sempre piaciuta come idea, ma non riuscivo a trovare gli spazi giusti nei media tradizionali. Avevo già sperimentato qualcosa nel 2018 con un altro format e avevo notato un certo interesse, ma ero appena arrivato, non avevo le risorse per portarlo avanti e ho ricevuto vari no. Così mi sono rimboccato le maniche e ho trovato un posto, una base operativa. All’inizio c’era solo il tavolo e una telecamera, la accendevo da solo e montavo io stesso le puntate. Ho iniziato invitando persone che già conoscevo e che sapevo che si sarebbero fidate di me. Poi pian piano siamo cresciuti e oggi è la somma di tutto quello che ho fatto in precedenza, di tutte le mie esperienze. Non mi aspettavo nulla quando ho iniziato, ma fin da subito ho capito che poteva funzionare".
In una puntata parla di questo percorso non sempre facile. Si percepisce, dalle sue parole, quel senso di frustrazione che colpisce tutti all’inizio di qualcosa. Quando ha capito di avercela fatta? Quando ha tirato un sospiro di sollievo?
"Nella maggior parte dei percorsi non ci sono dei momenti veri e propri, non c’è un cambiamento repentino, ma una crescita lenta e costante. Nella mia vita in generale ho avuto alcuni momenti in cui ho realizzato e pensato: “dai ci siamo“. Quando ho iniziato a lavorare a Radio Deejay per esempio. Nel podcast, questa sensazione l’ho provata quando ho iniziato a vedere il riconoscimento degli ospiti, di personaggi con una lunga carriera alle spalle, lì ho capito che stavo facendo qualcosa di bello".
Le sue interviste sono molto spontane e intime. Le è mai capitato di trovare un muro, ospiti più ostici?
"Alcune sono state più complicate e sono contento che me ne sono accorto solo io nella maggior parte dei casi. Quella con Paola Egonu, per esempio. Gli sportivi non sono abituati a chiacchierare. Lei in particolare è un pochino più ermetica, passano secondi prima che risponda a una domanda. Ma sono molto orgoglioso della puntata con lei, nessuno era riuscito a fare un’intervista come quella e mi piace credere che le abbia portato bene visto il successo alle Olimpiadi".
Le è mai capitato invece di ricredersi rispetto a chi aveva davanti?
"Ogni volta scopro lati nuovi, a volte l’intervista supera le aspettative. Stefano De Martino, ad esempio, mi ha sorpreso ulteriormente con una profondità che non emerge sempre; o Gianluca Grignani, che ha dimostrato una grande sensibilità".
Il suo nuovo libro si intitola "Anche quando nessuno ci crede. La rivincita degli underdog". Si sente un po’ underdog?
"Lo sono sempre stato e lo sarò per sempre. Quando parti dalle ultime file, ti ci sentirai sempre. Nei posti arrivo in punta di piedi perché ho paura di dare fastidio o di dire qualcosa di sbagliato. Forse è autoprotezione, nessuno mi ha mai steso il tappeto rosso e quindi ancora adesso entro dalla porta di servizio".
Che rapporto ha con i social e con la tecnologia?
"Noi, a differenza dei nostri genitori, abbiamo una risorsa potente che, se usata nel modo giusto, può fare grandi cose. Credo molto nella convidisione positiva. Questo mezzo ha dato la possibilità a me stesso di emergere quando il resto mi ignorava. Ma bisogna educare le persone a utilizzarlo e nel mio piccolo cerco di farlo".
Sente la responsabilità?
"Non si può pensare di non averla oggi".
Verso l’intelligenza artificiale che sentimento prova: curiosità o spavento?
"La paura accomuna tante persone e in una puntata affronto proprio questo tema. Io per mia attitudine credo che anche l’IA possa essere una svolta per tutti. Già ora ognuno di noi banalmente la usa. Bisogna capire cosa diventerà. Se usata nel modo giusto ci aiuterà a fare quello che già facciamo, senza sostituirci".
È quel “modo giusto“ che forse spaventa...
"Come sempre siamo noi il limite di tutta la questione".