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Home » Lifestyle » Andrea Pinna e il coraggio di affrontare il bipolarismo: “Perché una malattia fisica va curata e una mentale no?”

Andrea Pinna e il coraggio di affrontare il bipolarismo: “Perché una malattia fisica va curata e una mentale no?”

Dai disturbi psichiatrici ai diritti dei gay. L'influencer racconta le sue battaglie a Luce!: "Avere un disagio psichico non è una passeggiata. Una malattia va curata, altrimenti si finisce molto male"

Geraldina Fiechter
26 Giugno 2022
andrea pinna

andrea pinna

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“Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. Ma se “né bello né ricco” – come dice lui – è diventato uno degli influencer più originali del web, poi scrittore, conduttore di programmi Tv e di viaggi per il mondo, fra cui quelli di un Pechino Express (2015) in cui ha brillato e vinto, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e si è fatto curare. Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. Era rimasto senza lavoro ed era caduto in depressione. Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che più tardi gli verrà diagnosticato come bipolarismo. Chi demonizza i social a priori, sappia che per lui sono stati la salvezza. Ha affrontato il mostro scrivendo, prendendosi in giro, trovando le parole di cui molti, oltre a lui, sentivano il bisogno. E il suo blog, LePerlediPinna, è diventato il luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

Andrea Pinna, 35 anni, ha vinto Pechino Express nel 2015

Come è diventato un personaggio pubblico?

“È una storia triste. Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Dodici anni fa Facebook era diverso: tutto cuoricini e frasi leggere.

“Appunto, e io con le mie frasi irriverenti sembravo Robespierre. Ho aperto una pagina chiamandola LePerlediPinna e scrivevo come un matto. Anche venti o trenta frasi al giorno. Aforismi. Frasi pungenti sulla crisi dei valori”.

Tipo?

“Cose di cui oggi mi vergogno tipo: ‘Tutti senza credito ma tutti con l’iPhone’. Avevo 23 anni”.

E cosa è successo?

“Che in pochissimo tempo sono passato a 23mila follower. In pratica sono diventato un influencer prima ancora che se ne sentisse parlare, allora c’erano solo i blogger. A quel punto mi hanno consigliato di fare magliette con le mie frasi. Ne feci 5, due negozi li mise in vendita, fino a che un’azienda molto grande mi ha chiesto di darle a loro. E ho venduto 200mila T-shirt in 26 paesi”.

Andrea Pinna è diventato influencer quando ancora questa parola non veniva usata: “Prima tutti dicevano blogger”

La frase che ha venduto di più?

“Vorrei tornare a quando ti incontrai la prima volta e andarmene”.

E con “trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare” cosa intendeva?

“Perché esser se stessi se puoi essere migliore? Questa fissazione di essere se stessi va dosata, bisogna vedere che se-stesso sei”.

E a quel punto?

“Sono andato a stare a Milano, poco dopo Mondadori mi ha chiesto di scrivere un libro e mi hanno chiamato per il reality Pechino Express, che ho vinto. La Tv mi ha aiutato a passare da personaggio (di Facebook) a persona, Andrea Pinna”.

Era anche il momento giusto. Ora sarebbe più difficile.

“In parte è vero, ma ora c’è una percezione diversa di questo mondo. Mia mamma ha passato 7 anni a dire che scrivevo barzellette e mia nonna non ha mai capito che lavoro facessi, è morta prima di saperlo. Ora almeno ho una dignità, quando dico che faccio l’influencer i giornalisti non mi lanciano più le pietre”.

Sono passati soli 12 anni ed è cambiato il mondo, in effetti, e lei non è più un ragazzino. Riesce a stare al passo dei giovanissimi che hanno invaso i social?

“Mi sento un dinosauro. Su TikTok i ragazzini fanno cose incredibili, a volte penso che avrei bisogno dell’accompagnamento”.

Una delle battaglie per le quali combatte da anni Andrea Pinna è quella per i diritti delle persone gay

Lei non è ancora su TikTok?

“No, sto pensando a un progetto, devo trovare un modo che mi corrisponda”.

La velocità che richiede questo lavoro non le mette ansia?

“All’inizio sì, tutti i miei compagni di scuola erano magistrati o professionisti e io mi sentivo un pagliaccio. Ma ora non mi deprimo più, caso mai penso a come mi sono salvato le altre volte. Ti faccio un esempio: quando sono arrivate le storie su Instagram ero disperato, perché se c’è una cosa che non mi piace è la mia faccia. Dopo un anno di sciopero, è arrivata un’offerta di lavoro, dovevo fare un viaggio raccontandolo con le storie. E ho pensato: come faccio visto che tutti si mettono su Instagram per dire come sono belli e ricchi e io non sono né ricco né bello?”.

E cosa ha inventato?

“Mi sono detto: ok, farò le storie, ma a modo mio. E ho fatto un crash test: ogni mattina, appena sveglio, mi facevo una storia senza neanche lavarmi la faccia. Come dire: vi offro il peggio di me così dopo sarà una passeggiata. E quelle storie sono state il mio più grande successo, proprio perché ero il contrario di quello che facevano tutti”.

Quindi la verità paga anche sui social?

“Paga l’unicità, l’autenticità, e io ne faccio il mio cavallo di battaglia. Esempio: io sono sardo, ho la casa al mare ma odio il mare. Tutti gli anni faccio uno sproloquio contro quelli che vanno al mare (e in Sardegna mi considerano un sociofobico). Ma alla fine questo mi umanizza, mi caratterizza. Siamo in tanti a farci concorrenza e tutti po’ matti , bisogna cercare la propria unicità”.

Andrea Pinna soffre di bipolarismo: “È una malattia che viene diagnosticata con le analisi del sangue, che devo fare ogni tre mesi”

Ha scelto due battaglie, quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra  quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E ha cominciato dicendo con molta franchezza che è bipolare. Come lo spiegherebbe? 

“È una malattia che viene diagnosticata con le analisi del sangue, che devo fare ogni tre mesi. Ma prima di capirlo, il percorso è stato lungo. Ci sono persone predisposte, ma non è detto che si manifesti”.

Come si è manifestata?

“Con una depressione. A un certo punto del percorso sono stato ricoverato 3 settimane in una splendida clinica in Toscana e lì ho cominciato la cura per trovare il dosaggio giusto delle medicine. Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. E voglio dirlo: se non avessi avuto i miei risparmi, non ne sarei uscito. Purtroppo la medicina pubblica sottovaluta le prestazioni psichiatriche, molte medicine e terapie se le devono pagare i privati, e se chiedi una visita te la danno dopo 3 mesi. Nel frattempo sei crepato o hai fatto molti danni”.

È una malattia ereditaria?

“Avevo una zia bipolare, ma l’ho scoperto dopo, a quei tempi qualunque disturbo dell’umore veniva definito esaurimento nervoso. Ma se sei predisposto, non è detto che la malattia si manifesti. Può restare sotto traccia e non esplodere mai”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da A. Andrea Pinna (@leperledipinna)

Cosa l’ha convinto a parlarne pubblicamente?

“Il bisogno di far capire la verità, avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi, a capire quando il farmaco non va bene, saper dire agli amici scusate, questa settimana ‘sono in down’ e non esco, non offendetevi se non vengo a un compleanno. È una malattia e va curata, altrimenti si finisce male, molto male. Deve passare il messaggio che, così come devi prendere l’insulina se sei diabetico, ugualmente devi prendere la medicina se hai una malattia psichiatrica”.

E la sua insulina qual è?

“Il litio, che purtroppo si deve prendere a vita, altrimenti si sta peggio di quando si è cominciato”.

Cosa fa nelle dirette Instagram di “psicoterapinna”?

“Visto che non sono un professionista, racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

I dati ci dicono che i ragazzi giovani non stanno tanto bene. Ha anche lei questa percezione?

“Sì, ma i depressi c’erano anche con gli antichi egizi. Certo, il Covid non li ha aiutati. Ma se dovessi dire qual è il loro problema più grande, secondo il mio punto di vista, è la libertà che può trasformarsi in una gabbia. Un tempo era facile scegliere se fare il percorso per avvocato o elettricista o altro, ora puoi essere tutti e nessuno, e spesso vuoi essere qualcosa per cui non hai le doti:  una piccola tragedia. La libertà è una bella cosa se però la sai gestire”.

Secondo Andrea Pinna il problema più grande per i giovani “è la libertà che può trasformarsi in una gabbia”

Sua madre era severa?

“Se io avessi detto a mia madre voglio fare il cantante, lei mi avrebbe detto ‘Andrea, forse è meglio se fai altro’. E mi diceva anche: ‘Figlio mio, per me sei bello ma non sei un modello, però hai altre doti che nessuno ha e che sono molto meglio della bellezza’. Non si può continuare a dire a chiunque che è il più bello del mondo anche quando non è vero, e la frase ‘insegui i tuoi sogni’ può essere una trappola”.

Meglio dire: ‘Insegui i sogni che riesci a raggiungere’?

“Io dico sempre: insegui i tuoi sogni ma con i piedi per terra. Cioè prova a capire in cosa sei bravo, perché fare quello in cui non sei bravo diventa un incubo, altro che sogno. Questa filosofia americana del ‘diventa chi vuoi’ non mi sembra molto d’aiuto”.

Quindi la campagna contro il body shaming le sembra eccessiva?

“Dico solo questo: ma come mai c’è il body shaming e non il brain shaming? Io posso dire a uno che è cretino ma non posso dirgli che è brutto? A me se mi dicono sei brutto dico pazienza, se mi dicono sei cretino mi incavolo”.

Che consigli darebbe ai ragazzi che si affacciano nel suo mondo?

“Primo: non credere a tutto quello che scrivono sui social, sia che ti dicano che sei una schifezza sia che ti dicano che sei chissà chi. Secondo: la sindrome della star sta colpendo una marea di gente, molti miei colleghi sono convinti di essere Nicole Kidman e non lo sono affatto. Quindi tutti un po’ meno: i social mi seguono? Bene, sono contento, speriamo che mi seguano per tanto tempo ma non è detto, è facile farsi seguire per un anno, arrivare a 10 anni è ben più difficile. E infine: umiltà, che vedo poco”.

Prossimi obiettivi?

“Scrivere un altro libro e riprendere con i party e i viaggi insieme ai miei follower. Sono 500mila, ma molto affezionati. Mi sento un po’ appesantito, vorrei tornare a quella leggerezza che i due lockdown a Milano mi hanno fatto un po’ perdere”.

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  • Serena Williams, una delle più grandi atlete di tutti i tempi e 23 volte campionessa del Grande Slam, ha annunciato che si ritirerà dal tennis professionistico al termine i prossimi US Open dopo una carriera leggendaria. 

“Non mi mai piaciuta la parola ritiro, forse la parola migliore per descrivere quello che sto facendo è evoluzione. Sono qui per dirvi che sto evolvendo dal tennis verso altre cose che sono importate per me. Nell’ultimo anno, io e mio marito Alexis, abbiamo cercato di avere un altro figlio. Sicuramente non voglio essere di nuovo mamma dividendomi con la carriera di atleta. Ho bisogno di essere con entrambi i piedi nel tennis oppure fuori.”

Serena è diventata professionista all’età di 14 anni nel 1995 ed è stata un fenomeno adolescenziale, vincendo il suo primo titolo del Grande Slam all’età di 17 anni.

“Lo odio. Odio dover essere a questo bivio. Continuo a dirmi: vorrei che fosse facile per me, ma non lo è. Sono lacerata: non voglio che finisca, ma allo stesso tempo sono pronta per il futuro. Arriva un momento nella vita in cui dobbiamo decidere di muoverci in una direzione diversa. Quel momento è sempre difficile quando ami qualcosa così tanto. Mio Dio, mi piace il tennis. Ma ora il conto alla rovescia è iniziato. Devo concentrarmi sull’essere mamma."

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanazione #serenawilliams #family #tennis
  • Gianni Reinetti, di 85 anni, insieme al compagno Franco Perrello, morto nel gennaio 2017, sono stati la prima coppia a unirsi civilmente a Torino nel 2016, poco tempo dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà sulle unioni civili.

Se l’unione civile era durata soltanto cinque mesi, la loro vita insieme era invece stata lunga 52 anni, un legame fortissimo che li aveva spinti a battersi per i diritti civili e a chiedere il riconoscimento della loro unione non appena la legge lo aveva concesso. La sindaca Chiara Appendino aveva adottato una procedura d’urgenza e la cerimonia si era svolta in forma privata, riservata ai soli invitati. 

“È stato faticoso, ma alla fine ce l’abbiamo fatta ed è stato molto emozionante. Non siamo mai stati così felici e non ci aspettavamo così tante telecamere.”

Franco e Gianni, nella loro lunga vita, hanno portato avanti piccole e grandi battaglie. “Speriamo che la nostra storia sia di esempio alle nuove generazioni. È stato faticoso, ma alla fine ce l’abbiamo fatta ed è stato molto emozionante. Un percorso difficile, ma felicissimo”, aveva detto Franco il giorno del sì. “Voglio dire a tutti i ragazzi, eterosessuali e omosessuali, di credere nei loro amori e avere il coraggio di non tradirli.”

La storia della coppia è diventata un documentario, nel 2019, dal titolo ‘Franco e Gianni – Una storia di Torino’, di Angelo D’Agostino e Marta Lombardelli. Il documentario raccoglie la testimonianza di Gianni Reinetti che ripercorre gli oltre 50 anni della sua storia d’amore con Franco fino al momento della loro unione civile.

Non sono mancati i messaggi d’addio. “Buon viaggio Gianni, abbraccia forte Franco da parte mia”. Così così l’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, in un post su Facebook saluta Gianni, seguita da Marco Giusta, ex assessore ai Diritti della giunta Appendino, oggi coordinatore del Torino Pride: “Buon viaggio Gianni voglio ringraziarti per la tua disponibilità e generosità a esserci e a fare la differenza per le nuove generazioni. La città dei diritti non dimenticherà te e Franco”.

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanaione #giannireinetti #unionicivili #torinopride
  • Francesca Feramis ha una voce delicata come un sussurro, ma anche due occhi penetranti e fieri come quelli di una leonessa. Si muove piano, sa che al minimo gesto improvviso le sue ossa potrebbero spezzarsi. Letteralmente. 

“Ho il collagene che non funziona ma nessun medico è ancora riuscito a spiegarmi perché. Oggi ho 32 anni, sono malata da sempre, eppure la diagnosi ancora non c’è.”

La sua condizione potrebbe essere comunque assimilabile a una osteogenesi imperfetta, ma le caratteristiche sintomatiche che Feramis presenta sono diverse da quelle ascrivibili alle patologie conosciute. 

“Dicevano che non avrei superato lo stress della crescita. La vita non mi ha regalato niente. Ho dovuto superare molti tipi di barriere, soprattutto psicologiche. La società, le persone in generale si vergognano della gente come me, la diversità fa paura. Sui social cerco di spingere le persone a capire che i corpi umani sono tutti diversi tra loro per natura. Se non rientri negli standard non sei sbagliato.”

L’intervista completa a cura di Caterina Ceccuti è disponibile sul sito ✍

#lucenews #lucelanazione #francescaferramis #disabilityinclusion
  • Si possono ereditare 4 miliardi e rifiutarli? 

A quanto pare nel mondo di oggi è successo anche questo. È la storia della 29enne Marlene Engelhorn, austriaca e discendente di Friedrich Engelhorn, che ha fondato il colosso della chimica Basf. 

“Questa non è una questione di volontà, ma di correttezza. Non ho fatto nulla per ricevere questa eredità.”

Sua nonna figura al 687esimo posto nella classifica delle persone più ricche del mondo stilata dalla rivista Forbes e l’eredità rifiutata rappresenta il 90% di quanto le spetta. Ma a Marlene poco importa: non è questo a fare la felicità. Anzi.

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanazione #marleneengelhorn #basf #eredità
“Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. Ma se “né bello né ricco” - come dice lui - è diventato uno degli influencer più originali del web, poi scrittore, conduttore di programmi Tv e di viaggi per il mondo, fra cui quelli di un Pechino Express (2015) in cui ha brillato e vinto, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e si è fatto curare. Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. Era rimasto senza lavoro ed era caduto in depressione. Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che più tardi gli verrà diagnosticato come bipolarismo. Chi demonizza i social a priori, sappia che per lui sono stati la salvezza. Ha affrontato il mostro scrivendo, prendendosi in giro, trovando le parole di cui molti, oltre a lui, sentivano il bisogno. E il suo blog, LePerlediPinna, è diventato il luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.
Andrea Pinna, 35 anni, ha vinto Pechino Express nel 2015
Come è diventato un personaggio pubblico? "È una storia triste. Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia". Dodici anni fa Facebook era diverso: tutto cuoricini e frasi leggere. "Appunto, e io con le mie frasi irriverenti sembravo Robespierre. Ho aperto una pagina chiamandola LePerlediPinna e scrivevo come un matto. Anche venti o trenta frasi al giorno. Aforismi. Frasi pungenti sulla crisi dei valori". Tipo? "Cose di cui oggi mi vergogno tipo: 'Tutti senza credito ma tutti con l’iPhone'. Avevo 23 anni". E cosa è successo? "Che in pochissimo tempo sono passato a 23mila follower. In pratica sono diventato un influencer prima ancora che se ne sentisse parlare, allora c’erano solo i blogger. A quel punto mi hanno consigliato di fare magliette con le mie frasi. Ne feci 5, due negozi li mise in vendita, fino a che un’azienda molto grande mi ha chiesto di darle a loro. E ho venduto 200mila T-shirt in 26 paesi".
Andrea Pinna è diventato influencer quando ancora questa parola non veniva usata: "Prima tutti dicevano blogger"
La frase che ha venduto di più? “Vorrei tornare a quando ti incontrai la prima volta e andarmene”. E con “trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare” cosa intendeva? "Perché esser se stessi se puoi essere migliore? Questa fissazione di essere se stessi va dosata, bisogna vedere che se-stesso sei". E a quel punto? "Sono andato a stare a Milano, poco dopo Mondadori mi ha chiesto di scrivere un libro e mi hanno chiamato per il reality Pechino Express, che ho vinto. La Tv mi ha aiutato a passare da personaggio (di Facebook) a persona, Andrea Pinna". Era anche il momento giusto. Ora sarebbe più difficile. "In parte è vero, ma ora c’è una percezione diversa di questo mondo. Mia mamma ha passato 7 anni a dire che scrivevo barzellette e mia nonna non ha mai capito che lavoro facessi, è morta prima di saperlo. Ora almeno ho una dignità, quando dico che faccio l’influencer i giornalisti non mi lanciano più le pietre". Sono passati soli 12 anni ed è cambiato il mondo, in effetti, e lei non è più un ragazzino. Riesce a stare al passo dei giovanissimi che hanno invaso i social? "Mi sento un dinosauro. Su TikTok i ragazzini fanno cose incredibili, a volte penso che avrei bisogno dell’accompagnamento".
Una delle battaglie per le quali combatte da anni Andrea Pinna è quella per i diritti delle persone gay
Lei non è ancora su TikTok? "No, sto pensando a un progetto, devo trovare un modo che mi corrisponda". La velocità che richiede questo lavoro non le mette ansia? "All’inizio sì, tutti i miei compagni di scuola erano magistrati o professionisti e io mi sentivo un pagliaccio. Ma ora non mi deprimo più, caso mai penso a come mi sono salvato le altre volte. Ti faccio un esempio: quando sono arrivate le storie su Instagram ero disperato, perché se c’è una cosa che non mi piace è la mia faccia. Dopo un anno di sciopero, è arrivata un’offerta di lavoro, dovevo fare un viaggio raccontandolo con le storie. E ho pensato: come faccio visto che tutti si mettono su Instagram per dire come sono belli e ricchi e io non sono né ricco né bello?". E cosa ha inventato? "Mi sono detto: ok, farò le storie, ma a modo mio. E ho fatto un crash test: ogni mattina, appena sveglio, mi facevo una storia senza neanche lavarmi la faccia. Come dire: vi offro il peggio di me così dopo sarà una passeggiata. E quelle storie sono state il mio più grande successo, proprio perché ero il contrario di quello che facevano tutti". Quindi la verità paga anche sui social? "Paga l’unicità, l’autenticità, e io ne faccio il mio cavallo di battaglia. Esempio: io sono sardo, ho la casa al mare ma odio il mare. Tutti gli anni faccio uno sproloquio contro quelli che vanno al mare (e in Sardegna mi considerano un sociofobico). Ma alla fine questo mi umanizza, mi caratterizza. Siamo in tanti a farci concorrenza e tutti po’ matti , bisogna cercare la propria unicità".
Andrea Pinna soffre di bipolarismo: "È una malattia che viene diagnosticata con le analisi del sangue, che devo fare ogni tre mesi"
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Un post condiviso da A. Andrea Pinna (@leperledipinna)

Cosa l'ha convinto a parlarne pubblicamente? "Il bisogno di far capire la verità, avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi, a capire quando il farmaco non va bene, saper dire agli amici scusate, questa settimana 'sono in down' e non esco, non offendetevi se non vengo a un compleanno. È una malattia e va curata, altrimenti si finisce male, molto male. Deve passare il messaggio che, così come devi prendere l’insulina se sei diabetico, ugualmente devi prendere la medicina se hai una malattia psichiatrica". E la sua insulina qual è? "Il litio, che purtroppo si deve prendere a vita, altrimenti si sta peggio di quando si è cominciato". Cosa fa nelle dirette Instagram di “psicoterapinna”? "Visto che non sono un professionista, racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere". I dati ci dicono che i ragazzi giovani non stanno tanto bene. Ha anche lei questa percezione? "Sì, ma i depressi c’erano anche con gli antichi egizi. Certo, il Covid non li ha aiutati. Ma se dovessi dire qual è il loro problema più grande, secondo il mio punto di vista, è la libertà che può trasformarsi in una gabbia. Un tempo era facile scegliere se fare il percorso per avvocato o elettricista o altro, ora puoi essere tutti e nessuno, e spesso vuoi essere qualcosa per cui non hai le doti:  una piccola tragedia. La libertà è una bella cosa se però la sai gestire".
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