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Home » Lifestyle » Bold Glamour, il filtro della bellezza “finta” divide TikTok

Bold Glamour, il filtro della bellezza “finta” divide TikTok

Il nuovo effetto fa sparire tutte le imperfezioni con un click. Ma una versione ideale di sé stessi può creare insicurezze e problematiche psicologiche

Barbara Berti
12 Marzo 2023
La modella, influencer e blogger Kay Brooks

La modella, influencer e blogger Kay Brooks

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Nella bufera il nuovo filtro bellezza “finta” di TikTok. Da alcuni giorni sul social cinese (ma anche su Instagram) sta spopolando il filtro “Bold Glamour”, ovvero l’ennesimo filtro bellezza che migliora il viso di chi lo usa, facendo scomparire con un solo click tutte le imperfezioni. Pelle liscia e levigata, niente occhiaie, labbra magnetiche e make-up impeccabile: la realtà aumentata dei filtri permette di cambiare la nostra realtà. Basta munirsi di smartphone. Ma è tutto oro ciò che luccica?

Chiara King, la cantante da 3,5 milioni di follower su TikTok
Chiara King, la cantante da 3,5 milioni di follower su TikTok

Provandolo, è possibile toccare con mano una versione “perfetta” di sé stessi, se con perfezione si intendono gli standard di bellezza eurocentrici ed equalizzati per tutti. Ed è proprio sulla standardizzazione della bellezza che si sta concentrando la polemica social. Il filtro, infatti, ha la capacità di creare una realtà virtuale che non esiste, promuovendo uno standard di bellezza potenzialmente tossico per i giovani utenti della piattaforma, facilmente influenzabili. L’aspetto estremamente liscio e uniforme creato dal filtro può creare insicurezze e problematiche psicologiche in chi lo utilizza, soprattutto quando questi confrontano il loro aspetto naturale con quello creato dal filtro. E’ ormai noto che ciò che vediamo sui social abbia effetti anche sui canoni di bellezza e sull’auto-accettazione: uno studio disponibile nella “National Library of Medicine”, dal titolo “Association Between the Use of Social Media and Photograph Editing Applications, Self-esteem, and Cosmetic Surgery Acceptance”, ha dimostrato che tra i 250 partecipanti, chi utilizzava più di frequente filtri sui social era più aperto all’idea di ricorrere alla chirurgia plastica per migliorare il proprio aspetto.

Ora, con questo nuovo filtro “bellezza finto” c’è il timore che la situazione possa solo peggiorare, contribuendo a diffondere canoni estetici irraggiungibili, perfezionistici e deleteri per il benessere e l’autostima delle persone. Essere continuamente sovraesposti a immagini di visi senza difetti, o addirittura abituarsi a vedere la propria immagine attraverso un filtro che “rende più belli”, può finire per far sentire molti, a telefono spento, delusi e frustrati per il proprio aspetto esteriore.

Inoltre, il filtro “Bold Glamour” utilizza l’intelligenza artificiale per creare l’effetto di bellezza, aprendo un nuovo dibattito sulle conseguenze negative dell’utilizzo della tecnologia per modificare l’aspetto fisico e apparire ciò che non si è: il classico caso di “catfish”.

 

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Su TikTok il dibattito è aperto: da un lato c’è chi sottolinea la precisione e l’efficacia del filtro “Bold Glamour” e lo considera un innocuo passatempo, dall’altro (tanti, per la verità) c’è chi evidenzia i rischi per la salute mentale posti dall’utilizzo di tecnologie di questo tipo. Molti commenti di chi lo ha provato non sono positivi. Un’utente appare stupita mentre fissa il suo viso nella telecamera: si tocca le labbra, le palpebre, le guance, come se si chiedesse se parti del suo viso siano reali. E poi commenta: “Non sono affatto io”. Joanna Kenny, un’ex estetista che ora sfida gli standard di bellezza irrealistici con il suo movimento #poresnotflaws, ha dichiarato che il filtro riesce crea un effetto che non le somiglia per niente, che la faceva sentire “brutta”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Nella bufera il nuovo filtro bellezza “finta” di TikTok. Da alcuni giorni sul social cinese (ma anche su Instagram) sta spopolando il filtro “Bold Glamour”, ovvero l’ennesimo filtro bellezza che migliora il viso di chi lo usa, facendo scomparire con un solo click tutte le imperfezioni. Pelle liscia e levigata, niente occhiaie, labbra magnetiche e make-up impeccabile: la realtà aumentata dei filtri permette di cambiare la nostra realtà. Basta munirsi di smartphone. Ma è tutto oro ciò che luccica?
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Su TikTok il dibattito è aperto: da un lato c'è chi sottolinea la precisione e l'efficacia del filtro "Bold Glamour" e lo considera un innocuo passatempo, dall'altro (tanti, per la verità) c'è chi evidenzia i rischi per la salute mentale posti dall’utilizzo di tecnologie di questo tipo. Molti commenti di chi lo ha provato non sono positivi. Un’utente appare stupita mentre fissa il suo viso nella telecamera: si tocca le labbra, le palpebre, le guance, come se si chiedesse se parti del suo viso siano reali. E poi commenta: “Non sono affatto io”. Joanna Kenny, un’ex estetista che ora sfida gli standard di bellezza irrealistici con il suo movimento #poresnotflaws, ha dichiarato che il filtro riesce crea un effetto che non le somiglia per niente, che la faceva sentire “brutta”.
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