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Home » Lifestyle » BeReal, tra i giovani spopola il nuovo social senza filtri dove “vince” la verità

BeReal, tra i giovani spopola il nuovo social senza filtri dove “vince” la verità

La novità arriva da Parigi per combattere l'estetica esasperata: massimo una foto al giorno e due minuti per caricarla

Giorgia Borgioli
15 Luglio 2022
Sono sempre più i minori con depressione da social

Sono sempre più i minori con depressione da social

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“In un’epoca in cui tutti vogliamo essere migliori e tutti siamo prigionieri dello sguardo degli altri, darci la possibilità di fare schifo è un atto rivoluzionario”. È un diritto che rivendica con orgoglio la comica romana Michela Giraud che, nel 2021, espose sul palco de ‘Le Iene’ il suo monologo sulla libertà di essere sé stessi.
Quante le volte in cui abbiamo aperto Instagram e ci siamo trovati davanti fisici scolpiti, case e lavori da sogno, e quante le volte in cui ci siamo guardati allo specchio e abbiamo pensato: “perché io no?”.

Certe prigioni, legate soprattutto all’aspetto esteriore, sono recenti e connesse alla nascita dei social media, che hanno contribuito a plasmare una società di mercato costituita da una narrazione dei corpi tossica e ingannevole.
È vero, il primo a istituire un canone di bellezza fu lo scultore greco Policleto di Argo nel V secolo a.C, il quale definì delle misure fisiche ideali, che tutt’oggi vengono considerate tali. Come spesso avviene però, il passo da un principio innocuo a una piaga sociale è estremamente breve e il più delle volte deleterio. E così, avviene che tentiamo di appagare questa ricerca spasmodica di perfezione (che poi, cos’è davvero la perfezione?), verso il mero raggiungimento di consenso.

Sui social tutti cercano la perfezione e l'approvazione
Sui social tutti cercano la perfezione e l’approvazione

È una necessità oramai totalizzante, un bisogno costante che porta a sentirci sempre inadeguati e sbagliati. Non è sempre facile accettare il fatto che esisterà sempre qualcuno più bello e più di successo di noi; l’ostentazione di questa verità pare però essere il primo e l’unico obiettivo dei social, che sembrano volercelo ribadire, giorno dopo giorno, in modo morboso e deleterio.

BeReal è il nuovo social che ci chiede di essere noi stessi
BeReal è il nuovo social che ci chiede di essere noi stessi

Proprio perché quest’urgenza nell’adoperarsi alla perfezione sembra essere sfuggita di mano ai più, nel gennaio 2020 viene fondata a Parigi “BeReal”, un nuovo social media volto a combattere l’estetica esasperata di Instagram e Facebook (e da qualche tempo anche Tik Tok), che propone un nuovo approccio ai nostri mondi virtuali. “No filters. No likes. No followers. No bullshit. No ads. Just your friends. FOR REAL” è ciò che recita la pubblicità della nuova piattaforma social, che tra gennaio e febbraio 2021 è stata scaricata quattro milioni di volte, fino ad arrivare a 6,8 milioni di utenti negli ultimi due anni.

Come funziona BeReal

BeReal funziona al contrario rispetto ai social a cui siamo abituati: l’app invia una notifica all’utente, il quale ha 2 minuti di tempo per caricare un’immagine di ciò che sta facendo in quel preciso momento. A differenza degli altri social, quindi, su BeReal non c’è il tempo né per filtrare, né per ritoccare, né per modificare le foto. L’immagine, come per le stories di Instagram, resta visibile agli amici per 21 ore, dopodiché viene eliminata automaticamente. L’immediatezza della sfida consiste proprio nel mostrarsi per come si è davvero, abbandonando tutti quei filtri dietro cui siamo abituati a nasconderci.

Tra le nuove generazioni spopola il nuovo social BeReal
Tra le nuove generazioni spopola il nuovo social BeReal

BeReal sembra quindi essere il nuovo social preferito dalle nuove generazioni: ma si tratta veramente di un tentativo di eliminare l’ossessione di perfezione estetica, oppure è soltanto l’ennesima strategia di marketing che fa leva sulla fragilità degli individui? Intanto, se proprio non possiamo fare a meno di vivere sui social, almeno proviamo a farlo mostrandoci per quello che siamo veramente.

 

 

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
“In un’epoca in cui tutti vogliamo essere migliori e tutti siamo prigionieri dello sguardo degli altri, darci la possibilità di fare schifo è un atto rivoluzionario”. È un diritto che rivendica con orgoglio la comica romana Michela Giraud che, nel 2021, espose sul palco de ‘Le Iene’ il suo monologo sulla libertà di essere sé stessi. Quante le volte in cui abbiamo aperto Instagram e ci siamo trovati davanti fisici scolpiti, case e lavori da sogno, e quante le volte in cui ci siamo guardati allo specchio e abbiamo pensato: “perché io no?”. Certe prigioni, legate soprattutto all’aspetto esteriore, sono recenti e connesse alla nascita dei social media, che hanno contribuito a plasmare una società di mercato costituita da una narrazione dei corpi tossica e ingannevole. È vero, il primo a istituire un canone di bellezza fu lo scultore greco Policleto di Argo nel V secolo a.C, il quale definì delle misure fisiche ideali, che tutt’oggi vengono considerate tali. Come spesso avviene però, il passo da un principio innocuo a una piaga sociale è estremamente breve e il più delle volte deleterio. E così, avviene che tentiamo di appagare questa ricerca spasmodica di perfezione (che poi, cos’è davvero la perfezione?), verso il mero raggiungimento di consenso.
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