Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

Claudia Durastanti: “Missitalia è un destino che manchiamo sempre”

A cinque anni dal romanzo finalista al Premio Strega, arriva il nuovo attesissimo libro dell’autrice: “‘La straniera’ rendeva il privato in qualche modo universale. In ‘Missitalia’, invece, c’è un movimento opposto”

di SERENA VOTANO -
17 marzo 2024
Claudia Durastanti

Claudia Durastanti

Le donne di Claudia Durastanti sono selvagge, streghe, libere, temerarie. In “Missitalia” – titolo che incorpora quel “miss” che in inglese significa (anche) mancanza – l’autrice racconta la storia del Sud Italia che ferocemente mantiene in sé magia e disincanto.

Missitalia” è suddiviso in tre parti, ciascuna con personaggi e voci diverse. Nella prima – ‘Le anguille’ – siamo nel 1864, il periodo dopo l’Unità d’Italia, tra i calanchi lucani. Amalia Spada cresce in una comunità matriarcale, lei che madre non è, in un rifugio per ragazze selvatiche e uomini dalla forza mozzata, creature diseredate e ribelli in cerca di una nuova vita.

Nella seconda parte – ‘Acqua sporca o detesto i sopravvissuti’ –, ambientata a Roma nel 1951, una giovane antropologa di nome Ada entra a far parte di una spedizione verso il Sud, nella Basilicata, e poi senza premeditazione diventa una spia “inconcludente”.

Nella terza parte – ‘Siamo stati felici nel futuro’ –, cento anni più tardi, la Lucania è diventata la base per la colonizzazione della Luna: da qui partono le navicelle dell’Agenzia Spaziale Mediterranea dirette al Mondo Nuovo. In questo insediamento “astrocapitalista”, si trova A, una donna. Nel suo presente, la voglia di conciliarsi con l’idea della fine.

Il romanzo "Missitalia"
Il romanzo "Missitalia"

A cinque anni dal romanzo autobiografico “La straniera” (finalista al Premio Strega 2019, edito da La Nave di Teseo), la famiglia lascia spazio alla comunità in particolar modo femminile. L’autrice spiega: “Volevo tornare anche un racconto corale dell’esperienza  dell'adolescenza femminile, riconnettendomi a quelli che poi sono stati i romanzi della mia infanzia e gioventù, ‘Piccole donne’ e ‘Le vergini suicide’. Si sente che durante la scrittura stavo lavorando con ‘La tartaruga’ su Carla Lonzi. Nei romanzi degli ultimi anni un po’ la dimensione corale tra donne – mi viene in mente Evaristo, Fleur Jaeggy con I beati anni del castigo – o sono dimensioni lavorative, o sono collegi, o sono conventi. Ci sono sempre queste dimensioni di clausura”.

“Missitalia” (edito da La Nave di Teseo) è un viaggio immaginifico, accompagnati da donne fortissime, per interpretare il nostro tempo, l’umanità e la sua capacità di costruire un futuro in grado di rinnegare se stesso, un domani da continuare a inventare, vivendolo ogni giorno. Se pensiamo alla Storia che conosciamo, che ci viene insegnata tra i banchi di scuola, c’è sempre qualcosa di non detto, che l’uomo nasconde o sceglie di dimenticare. Ma la Terra trattiene e suoi segreti e i fantasmi di chi l’ha attraversata, e come questo romanzo, lascia la possibilità di immaginare un destino diverso.

Claudia Durastanti gioca con la lingua, con lo spazio e il tempo, esplora un Sud perturbante e magnetico fatto di donne magiche e sfuggenti. Passato, presente e futuro sono uniti da corrispondenze invisibili, dentro un Meridione che diventa Terra e visto da lontano rivela una natura ancestrale che ha ancora qualcosa da raccontare. Il romanzo attraversa duecento anni di storia ricercando la verità, ma su cosa?

L’intervista con l’autrice

“Ho scelto di confrontarmi con zone che hanno temperature molto diverse. Il primo era un momento molto caldo dal punto di vista storiografico, per la formazione dell'immaginario di una nazione. Volevo raccontare un modo di stare al Sud, di sentirsi al Sud, di appartenere al Sud. Senza fare di questa appartenenza un’arma. Va specificato che non è un romanzo sulla Lucania ma sulla Val d’Agri, una zona che si trova in questa posizione particolare perché da un lato desertica, ‘calanchica’, e invece dall’altro diventa quasi montanara, più tenebrosa.

Poi ho scelto di ambientare la seconda parte negli anni ’50 perché il romanzo italiano contemporaneo dedica molte lettere d’amore agli anni ’60-70. Per me rappresentavano una sorta di zona d'ombra, perché proprio non riuscivo a trovare tanti riferimenti contemporanei dedicati a quegli anni. In origine era nato come un romanzo sul rapporto fra Cesare Pavese e Fernanda Pivano, avevo quest’ossessione di raccontare un rapporto d’intimità lavorativa che non precipita ma in una convenzionale storia d’amore o in una relazione erotica-sentimentale. Quindi la seconda parte è caratterizzata da un confronto col maschile, legata all’ispirazione e non al rapporto di coppia. Ho voluto immaginare dei personaggi che non hanno nostalgia di niente mentre la città si ricostruisce.

Nella terza parte volevo immaginare il futuro a breve termine, storicizzandolo. Un’idea che mi è rimasta da ‘La straniera’, romanzo in cui volevo aggiungere un capitolo al futuro, ero convinta che in un memoir o un’autobiografia ci dovesse essere un capitolo di ‘te’ al futuro. Quando si scrive un romanzo, che in qualche modo è ispirato alla storia a fatti reali, puoi scegliere due strade: o studi, leggi, ti informi, poi traduci, rovesci quello che hai letto; oppure immagini, scrivi, hai una speculazione fantastica e poi cerchi delle prove per vedere se quello che hai scritto rispecchia la realtà.”

L'autrice con il nuovo romanzo "Missitalia"
L'autrice con il nuovo romanzo "Missitalia"

Perché Missitalia?

“La parola ‘Miss’, dall’inglese, è una di quelle parole più usate nelle canzoni, nella letteratura, legata al senso di mancanza; in italiano è legata al concetto di signorina, di ragazza giovane non ancora sposata, ed è una parola che sta sparendo. Una parola vecchia che dentro di sé è anche un verbo. Mi interessava quest’idea di sentire la mancanza di qualcosa e di non raggiungerlo, di fallirlo proprio come bersaglio. ‘To miss a target’, non lo colpisci mai. Mi sembrava non solo descrittiva dell’approccio di queste ragazze, ma forse un po’ di tutti i personaggi che sono all’interno del libro.”

‘La straniera’ era autobiografico, ‘Missitalia’ è un romanzo corale in cui alterna la prima e la terza persona, a cosa è dovuta questa scelta?

“Parte una e parte tre, le parti in terza persona, sono quelle in cui il tasso di invenzione, se vogliamo, è maggiore. Nella parte due volevo raccontare una prospettiva femminile intima, un po’ più ravvicinata. È la parte che si appoggia su più romanzi, su più storie, su personaggi esistiti che come fantasmi si muovono tra le pagine: De Martino, Pavese, Pivano, Pasolini, Scotellaro, Mattei. Ho scelto la prima persona perché dovevo avere il controllo, tenere le redini di questa storia. Le scelta delle persone è legata esplicitamente a dei modelli di romanzo. La letteratura, o il tentativo di fare letteratura, procede per legami inconsci.”

Quali?

“Ho scoperto tardivamente Elsa Morante e Anna Maria Ortese, e secondo me quando le leggi tardi, e non nel periodo della formazione, cambia il rapporto con i loro mondi, come li hanno costruiti e frequentati. E quindi nella prima parte si sente forse che ho fatto delle letture tardive de ‘Il porto di Toledo’ di Anna Maria Ortese, e in particolare ‘Menzogna e sortilegio’ di Elsa Morante, romanzo che mi ha dato un coraggio in più a livello di trasfigurazione letteraria, di costruzione. Nella terza parte mi accompagna nella scrittura ‘Love-lies-bleeding’, di DeLillo, una sorta di compendio delle sue ossessioni: c’è la malattia, c’è il rifugiarsi nel deserto da parte del protagonista che sta morendo, c’è questo accompagnarlo verso la fine.

Volevo rovesciare la prospettiva del racconto in cui le donne vanno a stanare gli uomini che sentono di contenere in sé la fine del mondo. Volevo, in maniera esplicita, un personaggio femminile guardato da questa prospettiva, e alla fine diventa quasi un dialogo a due. Nella seconda parte, invece, sento di avere un debito con un'autrice che non in tutti i romanzi ha scritto di sé, ma ha usato tantissimo la prima persona: Natalia Ginzburg. C’è questo bellissimo libro di conversazioni fra lei e Marino Sinibaldi, ‘È difficile parlare di sé’. Quando lo fai è per resistere a una sorta di invasione.”

E lei in questo romanzo ha parlato di sé?

“Io penso sia un libro molto personale. Le prime volte che ho parlato di questo romanzo avevo anche una sorta di fragilità e tenerezza, e non mi era mai successo con La straniera. Ho passato cinque anni a parlare in varie circostanze del mio vissuto. Non è vero che il trauma è difficile, è molto facile da raccontare. ‘La straniera’ rendeva il privato in qualche modo universale. In ‘Missitalia’, invece, c’è un movimento opposto, un’attenzione verso la comunità, l’ecologia, il senso del tempo, della storia e della magia, che però riflette uno sguardo, un punto di vista molto preciso che è il mio. È un po’ come parlare e raccontare dei libri che ami, dei film che ti sono piaciuti, una parte della propria biografia che non ha nulla a che fare con quello che effettivamente ti è successo, ma che parla comunque di te.”

Claudia Durastanti
Claudia Durastanti

Lei scrive “La salvezza possono permettersela solo i romantici”, e nel suo romanzo si parla spesso di “sopravvissuti”. Chi potremmo definire “salvato” e chi “sopravvissuto”?

“Viene da una frase di Kurt Vonnegut. Quando gli chiesero com’era stata la sua esperienza di confino e lui disse di non fidarsi mai di un sopravvissuto se non sai cosa ha fatto per sopravvivere. Quando Ada si trasforma, non sopravvive, passa dall'ipotesi di essere una studiosa ma magari una centralinista e sogna di diventare stragista, c’è sempre qualcosa che non le riesce veramente. Nella prima parte, invece, restano le romantiche, le rivoluzionarie, le femministe. Amalia, al contrario, è un personaggio che si avvale del diritto di essere contraddittoria in una fase di marginalità. Un’altra cosa importante per me era lavorare sulle classi, sulla povertà. L’ho fatto a livello personale ne ‘La straniera’. In ‘Missitalia’ volevo raccontarlo in ambito collettivo perché c’è sempre stata quest’idea delle classi dominanti, dirigenti, di cosa devono fare le persone della propria povertà materiale, e cioè accontentarsi. E per me è un messaggio profondamente reazionario, che deve suscitare una sovversione nei personaggi rispetto all’aspettativa di quella che è la vita. Quindi, quando i vari personaggi qui, le donne, dicono che vogliono più letti, più cibi, più amanti, liberamente, è un momento di sovversione rispetto alle aspettative di quella che è la loro vita. Probabilmente sopravvive chi si ribella.”

Per quanto riguarda il tema della trasformazione della natura?

“Non è un romanzo che tratta la questione ambientale ed ecologica con una presa diretta, anche perché non ne ho le competenze, ma penso che l’unico modo di affrontare il tema sia quello del buonsenso. Mi sembra che nel dibattito ecologico e ambientale a volte ci vergogniamo di alcune nostre forme di dipendenza verso lo spreco di risorse e cerchiamo di ‘compensare’ adottando alcuni comportamenti, ma quella vergogna della dipendenza da atteggiamenti ‘tossici’, allora, dove la mettiamo? Siamo ossessionati dalla parola tossico nei rapporti interpersonali. Una relazione tossica, la madre tossica, il fidanzato tossico. Tutto questo mentre viviamo in ambienti sempre più tossici, inquinati. Si crea un binario della tossicità parallela, è come se non comunicassero fra di loro, con questa vergogna di dire che c'è una dipendenza dalla tossicità. Io penso che la trasformazione, il cambiamento, arriva nel momento in cui siamo tutti un po’ più disposti a parlare di questo coinvolgimento che abbiamo.”

Nella prima parte c’è molta comunità, le donne vivono quasi in simbiosi, nella seconda parte Ada si stacca dall’idea di famiglia e approda in una comunità formata dalle persone che lavorano con lei. Nella terza rimane A: vive sulla Luna e vorrebbe tornare sulla Terra, perché?

“È una domanda aperta. Il mio è un romanzo-sondaggio sui possibili perché. Io sono tornata in Italia dopo una esperienza di immigrazione molto lunga, volevo confrontarmi con il ‘tornare’. Io sapevo perché ero tornata, ma perché un personaggio di finzione sceglie di farlo? La Luna in cui si trova A è una discarica in cui sono stati rovesciati tutta una serie di sogni, immaginari e aspettative, però la Luna può essere anche la città in cui hai voluto sempre andare a vivere e magari non è stata l’esperienza rivoluzionaria che ti aspettavi. Anche questa terza parte dialoga con Pavese, adesso che ci penso. Si rifà al paese, alla provincia, al fatto che a un certo punto la comunità te la scegli, e perché la seconda volta (quando ci torni) è più importante della prima. E quindi A torna sulla Terra e la sua ‘seconda visione’ è forse più significativa di tutto quello che ha vissuto, che si è lasciata alle spalle. E ci torna rinnovata, nuova, straniera.”