Raccontare di sé, della propria esperienza di malato, per dare agli altri fiducia e coraggio. Sara Delpero e Davide Cirincione sono due dei protagonisti di una storia a lieto fine che deve servire da insegnamento: da ragazzini hanno subito il trapianto renale per una malattia cronica che colpisce 30mila bambini in Italia e 4 milioni di adulti. Le loro testimonianze, unite a quelle di esperti e di operatori nel sociale attraverso associazioni dedicate ai malati renali, sono state raccolte in un volume curato da Bruno Damini ed edito da Minerva: “Il mondo dei fagioli ribelli”. Il titolo si riferisce a una delle fondamentali regole che queste persone devono seguire per tutta la loro vita: una giusta, corretta e sana alimentazione.
Sara Delpero ha 24 anni ed è di Vermiglio, un paesino trentino della Val di Sole. “Non dovevo nascere – ci racconta -: durante un’ecografia di routine a mia madre dissero che c’erano problemi e la gravidanza non poteva andare avanti consigliandole l’aborto. Lei non demorse, si rivolse a strutture più grandi e infine arrivò a Milano dove dopo un consulto le dissero che non avrebbero chiuso la gravidanza ma solo avrebbe dovuto essere seguita da centri importanti anche al momento della nascita. Un’ulteriore criticità emerse un mese prima del parto e dovette correre a Trento per partorire con un cesareo”. La bimba nasce ma dopo pochi giorni la devono portare alla nefrologia pediatrica di Padova: i suoi reni non funzionano. “Non ho ricordi diretti, ma solo racconti – dice Sara -. So di un anno di dialisi, di problemi con il sondino gastrico per l’alimentazione in modo che potessi raggiungere il peso necessario per sopportare il trapianto. Una via crucis che la mia famiglia ha sopportato con grande forza, portandomi due volte la settimana a Padova facendo ogni volta 240 chilometri. Ma finalmente arriva la chiamata e il 29 settembre 2005 mi operano”.
E da allora ogni 29 settembre la ragazza festeggia una sorta di suo compleanno, quello della rinascita. La convalescenza di Sara, che aveva 5 anni, pone subito di fronte alla “tortura unica” dell’alimentazione, uno stress perché mamma Caterina deve insegnare alla figlia come e cosa mangiare. “I miei genitori – dice la ragazza – hanno gioito vedendomi mangiare un tramezzino con maionese e prosciutto e poi appassionarmi all’alimentazione e anche alla cucina, cosa che non si aspettavano. Io devo mangiare sano, le restrizioni ci sono ma ciò non mi impedisce di uscire a cena con gli amici. Devo però stare attenta alle proteine e al sale e a non abbuffarmi”.
Sara si è da pochi giorni laureata in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione e il campo scelto non è casuale: “Si tratta del modo migliore per aiutare le persone, per mandare messaggi d’amore: se faccio bene agli altri sto bene anch’io. Volevo fare l’infermiera, dare quello che avevo ricevuto, ma con la mia patologia di soggetto immunodepresso e quindi più fragile non ho potuto. Ma penso che la psicologia sia comunque il veicolo migliore per arrivare a chi ha bisogno”. Cosa che ha fatto partecipando al crowfunding di Fabio Mirabelli ed esercitando con il volontariato proprio nel reparto in cui è stata salvata. La collaborazione con “Il sogno di Stefano”, l’associazione di Marisa Coccato alla quale Sara è molto vicina, “mi è servita perché senza non sarei stata in questo libro”. Un messaggio, dunque, psicologico e pratico. “L’importante per noi trapiantati – afferma Sara Delpero – è seguire una alimentazione corretta che però non deve essere un mantra solo per un soggetto nefropatico ma per tutti. Se ognuno segue la piramide alimentare fa del bene al proprio fisico e anche all’ambiente”.
E di fronte alla malattia, riflette: “Aprire le ali e lasciarsi volare è difficile, ma bisogna dimostrare al mondo che siamo come gli altri: io non sono la mia malattia, ma una come le altre”. Ma è tutto rose e fiori? Sara guarda il lato buono e ottimista, ma confessa “che non sempre il mondo è buono: non è facile stare accanto a una persona che ha alle spalle un vissuto di sofferenza e ha regole diverse dalle tue, ma quando trovi sensibilità e ascolto ti arricchisci. Semmai è stato più difficile nell’adolescenza: basta una mela marcia per rovinare tutto”.
La storia di Davide
Anche Davide Cirincione vive con un rene nuovo dal 2005, esattamente dal 13 aprile. Ha 28 anni, studia anch’egli psicologia - “sicuramente il mio percorso di vita ha influito sulla scelta” - e intanto lavora in una casa di riposo di Bologna all’accoglienza e in amministrazione. Fa volontariato e conduce una vita “normale” della quale dà però una propria visione. “Il concetto di normalità – ci spiega con vigore - va analizzato bene: sta nella quotidianità di ognuno di noi, in quello che pensiamo di fare ogni giorno. E’ chiaro che si tratta di un approccio diverso con un organo improprio”. Parla di un processo di crescita personale passo passo dopo il trapianto perché prima era “una dipendenza dalla dialisi e una narrazione ospedaliera”.
Per quanto riguarda il cibo Davide è chiaro: “Devo stare attento a tante cose, proteine soprattutto, ma è stata bella la riscoperta dei gusti, la riconquista di una regolarità alimentare che è poi la mission della nostra associazione: posso mangiare la mia lasagna con proprietà diverse ma con grande condivisione”. La vita sociale di Davide non è in discussione: “Il rapporto con gli altri nasce da come ti senti con te stesso, in questo focalizzo bene il lavoro che faccio dentro di me. Posso essere più stanco in alcuni momenti, d’altra parte la nostra non è la malattia di un giorno. Ma ho trovato molta comprensione nelle persone, forse solo alle medie qualcuno mi guardava con occhi diversi. Adesso so che bisogna avere una buona concezione del proprio limite”.
Oltre a Sara e Davide partecipano al libro di Bruno Damini la Rete per le malatie renali in età pediatrica, la Società di nefrologia pediatrica e i dottori Andrea Pasini, Licia Peruzzi, Enrico Vidal, Caterina Righetto, Enrico Eugenio Verrina, Fabio Paglialonga, Laura Massella, Mario Giordano, Dorella Scarponi, Maria Giulia Regazzi, Elena Stagni.