Da "Non è mai troppo tardi” al “Grande Fratello”: cambia il pubblico, cambia la televisione

Negli anni ‘60 era uno strumento educativo, non solo di intrattenimento. In quell’epoca tanti italiani hanno imparato a leggere e scrivere. Sessant’anni dopo com’è cambiato il ruolo?

di RICCARDO JANNELLO -
17 settembre 2024
Progetto senza titolo - 1

La televisione negli ultimi 60 anni

Gli anni del boom in Italia coinvolsero anche l’educazione. Fra il 1960 e il 1968 almeno un milione e mezzo di adulti analfabeti riuscirono a imparare a leggere e scrivere e a conseguire così la licenza elementare grazie a un progetto televisivo trasmesso sul Programma Nazionale della Rai, l’unico allora esistente. Il titolo era “Non è mai troppo tardi” (copiato in 72 paesi!) ed è tuttora l’emblema di quello che dovrebbe essere il servizio pubblico: dare a tutti opportunità di crescita, inclusione, discernimento. Insegnare, insomma, le basi del sapere e del vivere sociale.

Quale sia ora il ruolo della televisione è ben più difficile da capire, soprattutto per la proliferazione di programmi che offrono (e hanno offerto) tutto e il contrario di tutto, dalle lezioni di Piero Angela a “Temptation Island” e “Grande Fratello”, dai talk di attualità (molto gridati, purtroppo) alle televendite. Con ascolti frammentati e critiche sempre più feroci sui social.

All’epoca di Alberto Manzi

A guidare quella trasmissione fu un “maestro”, pedagogista, scrittore e alla fine anche politico di nome Alberto Manzi. Nato a Roma nel 1924 (il 3 novembre saranno i cento anni da celebrare adeguatamente), morì a Pitigliano (Grosseto) nel 1997 appena compiuti i 73 anni: si era trasferito in Maremma con la seconda moglie e aveva messo a disposizione della gente le sue capacità per diventare il sindaco del Comune toscano con la stessa dedizione con cui aveva insegnato a leggere e scrivere agli italiani. La sua classica lavagna nera e il suo gessetto bianco sono diventati icona di un’Italia che forse bene come lui non ha più parlato. Chi è cresciuto con lui sa che la lingua italiana era corretta, semplice, scevra di qualsiasi influenza dialettale (anche se il dialetto in qualche modo andrebbe riscoperto e studiato nelle sue migliori versioni letterarie), insomma: universale.

E chi la imparava – anche senza alcuna istruzione precedente in quel mondo in transizione nel quale l’Italia rurale era ancora preponderante – non la dimenticava. Ma perché Manzi è ancora di moda e soprattutto ce ne vorrebbero altri cento in tv? Perché, purtroppo, la televisione di oggi – a parte qualche raro caso (un esempio è “Splendida cornice”) – ha abiurato la funzione didattica e pedagogica per riscoprirsi urlata, becera, svestita e nella quale la cultura ha poca fortuna.

La televisione oggi

Non si può negare che ora ci sia nel linguaggio televisivo e in molte immagini più diseducazione che educazione. Il gossip sembra averla fatta da padrone, anche dove non dovrebbe, e il linguaggio non è più quello che tutti vorremmo ascoltare. Certo, ci sono i canali dedicati per chi non vuole sentire strafalcioni e avere notizie che aprono la mente senza dovere saltabeccare fra un programma cosiddetto di “intrattenimento” e l’altro, ma la tv generalista ha abdicato al compiacimento, al nazional-popolare andando però ben oltre la lezione di Pippo Baudo: non può essere la nicchia a conquistare la totalità degli ascolti, ma lo share non può fagocitare tutto il resto per seguire le voglie di chi è affamato solo di gossip.

Per giocare un pochino e per cominciare a ricordare Manzi che il destino ci ha donato cento anni fa (e per rimanere alla lingua italiana), chissà come si sentirebbe ora il maestro di “Non è mai troppo tardi”, campione dell’esatta pronuncia delle parole e del rispetto ossequioso degli accenti, ad ascoltare chi propone spot stravolgendo la Treccani.

D’altronde è cambiato il pubblico: negli anni Sessanta si dovevano formare gli italiani e quindi la mia generazione stava attenta a quello che veniva proposto per imparare, per essere guidati verso una conoscenza superiore, per avere una mente aperta e pronta alle emozioni seguendo, ad esempio, “David Copperfield” alla Tv dei Ragazzi. Adesso, dopo avere abdicato agli ascolti e alla proliferazione della pubblicità, va bene tutto, anche stravolgere le regole più semplici della grammatica. Ma forse hanno ragione loro perché lo share li premia. Quindi parlare peggio di Manzi è ormai naturale, ci rendiamo conto, ed è poco rispetto ai problemi del mondo che ci circonda, ma anche dalle quisquilie, come diceva Totò, dipende il nostro futuro. E per dirla con il Maestro: “Siate sempre padroni del vostro senso critico e niente potrà farvi sottomettere”. Neppure gli accenti sbagliati.