Daniele Regolo: "La vera inclusione? Capire che ciascuno ha la propria formula dell'unicità"

Velista, esperto di Diversity & Inclusion in azienda e ora anche autore di un libro ("piccolo saggio") che presenta il 24 gennaio a Milano

di EDOARDO MARTINI -
23 gennaio 2024
Negli ultimi anni sono è sempre più forte l'attenzione riguardo alle tematiche della diversità, equità e inclusione. Ma è ancora difficile racchiudere in una definizione univoca quest'ultimo concetto. Cosa si intende, infatti, con questo termine? A cercarla sul dizionario, la parola inclusione indica letteralmente "l'atto di includere, cioè di inserire un elemento in un gruppo". In ambito sociale, essere inclusi significa soprattutto sentirsi accolti: appartenere a un insieme di persone, a una società, godere pienamente di tutti i diritti e delle opportunità che questa appartenenza comporta. Per dirla con le parole del filosofo Jürgen Habermas: "Inclusione non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell'altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche, e soprattutto, a coloro che sono reciprocamente estranei o che estranei vogliono rimanere".

Chi è Daniele Regolo

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Regolo presenta il nuovo libro "La formula dell'unicità"

Ma c'è un'altra definizione di questa importante parola. Qui entra in gioco Daniele Regolo, founder di Jobmetoo (una piattaforma per il recruitment di persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette), esperto nei temi di Diversity & Inclusion, velista e papà, con il suo libro "La formula dell'unicità – Un nuovo percorso verso l'inclusione". L'autore, con disabilità uditiva fin dalla primissima infanzia, presenterà il volume mercoledì 24 gennaio, alle ore 18.30 alla Mondadori Duomo di Milano, con lo scopo di ridefinire l'approccio a questi temi. E proprio lo scrittore, anche se a lui non piacerà essere chiamato così, tra una regata e l'altra, ha deciso di raccontare a Luce! qualcosa in più sul libro svelando anche i suoi prossimi obiettivi.

Partiamo subito dal suo "piccolo saggio", come lo ha definito. Come mai lo ha intitolato così? "Innanzitutto tengo a dire che, anche se si vede il mio nome, c'è un grande gioco di squadra dietro. Il titolo è frutto del lavoro di colleghi e colleghe che mi hanno dato ispirazione e un supporto in ogni modo. È un titolo che nasconde un ossimoro, perché quando uno in chimica immagina una formula immagina un qualcosa che sia replicabile, invece l'unicità non lo è.

Quindi ci piaceva molto giocare su questo per creare una sorta di effetto sorpresa. A riprova del fatto che ognuno ha la propria formula e per questo dobbiamo avere un grande rispetto di quella che compone ciascuno di noi. Tutto il resto viene dopo".

Non ha l'ambizione di essere uno scrittore: quindi cosa significa per lei la scrittura? "Penso che si debba essere intellettualmente onesti nella vita. Non mi sento uno scrittore però ammetto che la scrittura è un modo per raggiungere le persone. Persone da azienda verso cui il libro è principalmente diretto, ma non solo perché questi temi toccano tutti. Ecco cosa è la scrittura per me: un modo per raggiungere le persone.

Io ho fatto quello che ho ritenuto corretto fare, poi quello che sarà il seguito si vedrà. Ma il motivo di partenza è una sincera volontà di raggiungere le persone".

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Il founder di Jobmetoo dice di aver subito discriminazione e bullismo, ma che in certa misura gli sono serviti per crescere

Avendo scoperto la sordità durante la primissima infanzia, ha mai subito bullismo o forme di discriminazione? "Sì, sia discriminazione in sé ('non senti quindi non farai mai queste cose'), sia qualche episodio di bullismo nello sport. Fortunatamente sono stati episodi contenuti. Anzi, quando nella parte sull'inclusione dico che non è legata nel suo progresso direttamente al tempo che passa, intendo dire anche questo.

Io le gite a scuole le ho fatte tutte, oggi si leggono notizie aberranti, gli atti di bullismo raggiungono delle vette di violenza inaudita. Tutti episodi che, in una dose fisiologica giusta, mi hanno addirittura aiutato".

Mi ha colpito soprattutto la frase "Devi riconoscere la diversità perché siamo uguali e non devi riconoscere la diversità perché siamo diversi". Una volta capito ciò, questo assunto può essere un modo per abbattere qualsiasi tipo di barriera? "L'intento è proprio questo. Noi abbiamo un'uguaglianza di partenza innegabile. Ci siamo ritrovati tutti in questo mondo e siamo tutti ugualissimi in questo. Poi ciascuno ha la sua 'fioritura'. In questi anni, soprattutto in azienda, ho capito che quando si parla di questi temi c'è sempre un po’ d'ansia di dover essere attenti, corretti, si ha molta paura di sbagliare.

Non è che se sono una persona con disabilità allora mi devi dare una pacca sulla spalla così facciamo pari. Posso stare benissimo antipatico a qualcuno. Non c'è niente di strano. Tu occupati, come azienda e come società, di fare in modo che io non abbia barriere. Poi la partita la gioco io e quella è la vera parità. Noi dobbiamo rimuovere le barriere sociali, fisiche e culturali che impediscono a ciascuno di raggiungere la sua posizione".

"Essere messi nelle condizioni di partecipare al gioco del mondo": per lei è questa la miglior definizione di inclusione. Ma a che punto siamo? "Dobbiamo ancora arrivarci. Ed qui che dobbiamo fare cultura. La cultura è la base di tutto quello che facciamo di concreto. Se vogliamo raggiungere dei cambiamenti non dobbiamo mai stancarci di lavorare sulla cultura".

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L'uomo sulla LIS: "L'ho imparata, l'ho anche utilizzata ma ora l'ho persa perché come ogni lingua va coltivata" (Instagram)

Visto che ci avviciniamo a Sanremo e che anche le persone sorde vogliono seguire questo spettacolo, potrebbero farlo grazie ai sottotitoli? Perché come sappiamo non tutti usano la Lingua dei segni (LIS)... "Anche qui parliamo di accessibilità. Nello specifico della sordità ci sono diversi modi di comunicare e capire. Facciamo un esempio: ad un convegno ci può essere sia la LIS sia la sottotitolazione.

Io inizialmente sono cresciuto leggendo soltanto il labiale delle persone, poi ho imparato ad usare la LIS, l'ho utilizzata ma ora l'ho persa perché come ogni lingua va coltivata e capisco di più i sottotitoli. L'importante è che lo spettacolo sia accessibile a tutti, poi ognuno sceglierà la propria modalità".

Quali sono i suoi prossimi obiettivi? "Sicuramente continuare a fare quello che sto facendo perché penso che gli obiettivi dipendano molto da vivere bene il presente. Io mi trovo in una realtà aziendale che mi fa crescere molto. Spero di essere utile ai miei colleghi come loro lo sono con me. Poi che ci sia una crescita lavorativa, un altro ruolo, un altro libro, una regata in più, quello viene dopo".