Ha il sorriso ad illuminare il suo volto di giovane donna, quasi ideale biglietto da visita. Una promessa di ottimismo, nonostante tutto. Nonostante il fatto che Eva Calafiura, siciliana di nascita ma veneziana di adozione, porti ancora addosso, come lei stessa afferma, le cicatrici a causa dell’alluvione catastrofica che per ben due volte ha colpito la sua Messina e in modo particolare il borgo dove è nata e vissuta per tanti anni: Giampilieri.
Chi ha memoria ricorderà che il piccolo centro era stato già messo a dura prova nel 2007 a causa di un consistente dissesto idrogeologico; al quale due anni dopo ha fatto seguito l’ancora più devastante tragedia che è costata la vita di tante persone. “Tutto gestito con superficialità se non con indifferenza dagli organi di stampa locali e dall’amministrazione pubblica” afferma Calafuria che oggi, oltre ad essere una professionista, svolge una intensa attività di volontariato nella Protezione Civile di Venezia, che proprio di recente ha ospitato l’EU Modex 2024 con simulazioni di scenari di estrema emergenza.
Per Eva Calafiura essere caposquadra della Protezione Civile è un impegno serio, un segno d’amore verso il prossimo che mette subito dopo quello per la sua famiglia e principalmente per le sue figlie. Ecco perché spiega nei suoi post sui social come non si possa banalizzare tutto, cosa che spesso capita di vedere nelle fiction televisive. Così non esita a puntare il dito contro la serie Sempre al Tuo Fianco: “Questo è un ‘telefilm’ come li chiamava la nonna – scrive Eva –, non è la realtà. No, no e no. Il sistema di Protezione Civile, quello vero è quello organizzato… ed è una cosa assolutamente diversa. Il nostro modello di Protezione Civile è fatto di persone: tante e incredibili. Di ruoli: chiari e definiti. Di competenze: molte e diversificate. Ed è all’insegna della cooperazione e del rispetto da parte di tutti gli operatori. Che non sono supereroi e ‘faccio tutto io’”.
Per la sua ‘seconda famiglia’ la nostra volontaria è disposta a tutto, ad esporsi in prima linea, a difendere con passione le sue idee e i territori che la vedono all’opera. Con il sorriso dell’ottimista, ma con la consapevolezza realistica di una donna determinata che conosce bene il valore della responsabilità che comporta la sua attività. Di quante vite in pericolo possano essere messe in sicurezza grazie a ogni suo gesto di dedizione.
In un suo post commentato da molti utenti lei spiega con una punta di indignazione la differenza radicale tra le fiction trasmesse in televisione e la cruda realtà. Vuole raccontarci meglio questo suo punto di vista?
“Non posso che dissociarmi da quanto visto nella serie televisiva. Ciò che viene rappresentato è assolutamente ben altro rispetto a come viviamo nella quotidianità il volontariato. Impossibile evitare di notare all’interno della fiction iperboli insostenibili. Faccio un esempio: sulla bocca del cratere di un vulcano con pericolo di eruzione non è possibile andarci da soli perché nei casi di emergenza viene sempre attivata una squadra abilitata. Quindi va sottolineato che nel nostro ambiente le prime donne non esistono e inoltre ben poco spazio possono avere gli intrighi sentimentali stile ‘Beautiful’.
Detto questo, adoro Ambra Angiolini già dai tempi di ‘Non è la Rai’ e la vedrei perfino benissimo nella vita reale proprio nei panni di una brava volontaria: tanto lei che gli altri attori sono assolutamente bravi, ma è la scrittura della fiction che non riesco a mandar giù. Una storia ingannevole e lontana dall’offrire un giusto spaccato dell’impegno di un volontario, facendone al contrario una caricatura da soap opera. E’ un’immagine distorta che non premia il valore di noi donne, disposte sempre a metterci in gioco e per questo consapevoli di meritare decisamente molto di più”.
Cosa l'ha spinta a diventare volontaria della protezione civile?
“Il volontariato è un valore che porti dentro dalla nascita a mio avviso, o lo hai o non lo hai. Per essere volontari non serve portare necessariamente una divisa: poter donare il proprio tempo al prossimo riempie l'anima di gioia, nonostante spesso le condizioni siano avverse”.
Quali sono i requisiti principali per ricoprire quel ruolo?
“Umiltà, empatia, voglia di fare senza aspettarsi nulla in cambio, perché il nostro più grande ‘stipendio’ è un sorriso e un grazie. Ovviamente per poter diventare un volontario di protezione civile bisogna superare un periodo di prova di circa 6 mesi e, dopo l'entrata ufficiale nel gruppo o associazione, sostenere un corso base che segue le direttive del D.Lgs 81. Essere così pronti a prestare assistenza, naturalmente senza mai dimenticare l'importanza che ha la propria salute, la vita personale, il proprio lavoro e la famiglia”.
Si è mai sentita messa in discussione per la sua mansione, un tempo prevalentemente appannaggio del sesso maschile?
“Certamente! Sono caposquadra e il fatto stesso che da donna ricopra questo ruolo non ha mancato di far storcere il naso a molti colleghi. Però quando si lavora in una equipe compatta, com’è fortunatamente la mia, l’essenziale è farlo con lo spirito giusto di inclusione. Ogni compito deve essere funzionale al completamento del lavoro di gruppo affinché tutti possano avere nel contempo qualcosa da insegnare ed imparare”.
Sono passati 15 anni esatti dall’alluvione che si è abbattuta su Giampilieri, il suo borgo messinese di origine. In che modo è stata segnata da quell’evento e a che punto siamo?
“Ci sarebbe davvero da fare silenzio come segno di rispetto dei tanti amici che quel maledetto 1°ottobre hanno perso la vita. Un disastro evitabile, visti gli esiti devastanti della prima alluvione del 2007: purtroppo tanti nostri accorati appelli sono stati presi sottogamba. Perfino la stampa locale da noi sensibilizzata perché si conoscesse la drammaticità degli eventi, ha deciso di sottovalutare il nostro grido di aiuto, etichettandoci come ‘uccellacci del malaugurio’. Cronache di calamità annunciate che hanno fatto sì che tante altre Giampilieri si ripetessero in Italia. Quello che ricordo di quel tragico 2009 è il senso di terribile impotenza: avevo una bambina di appena un anno, vivevo a Venezia e non potevo raggiungere il mio paese troppo lontano. Per tutta la notte sono rimasta in contatto con la gente di Giampilieri, finché non ho saputo che casa mia era stata travolta dalla frana. Un evento terribile che ha prodotto in me cicatrici ancora ben evidenti”.
La sua esperienza lavorativa desta molto interesse sui social. Può servire da modello emulativo?
“Il volontariato è per me un’attività che definirei ‘il mio secondo amore’ perché il primo è rappresentato dalle mie figlie. Il mio invito rivolto a tutte le persone attratte da questa avventura è quello di conoscere attraverso le tante onlus cosa significhi poter dare il proprio contributo a chi ha bisogno. Secondo me è un ruolo capace di riempire l'anima: non a caso svolgo incarichi di volontariato anche in altre onlus, tutte diventate un po’ parte integrante della mia famiglia.”