Il modello Ronald e l’accoglienza di famiglie con bambini in cura: “Costruiamo comunità”

L’intervista alla direttrice della Fondazione Maria Chiara Roti non lascia spazio a dubbi: il terzo settore si conferma pilastro della società e al centro anche del grande tema della cura (in senso esteso)

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
15 agosto 2024
Maria Chiara Roti, direttrice generale Fondazione Ronald Italia

Maria Chiara Roti, direttrice generale Fondazione Ronald Italia

Quando si parla di sanità e salute, troppo spesso lo si fa al singolare, mettendo al centro il paziente, la patologia e il percorso di cura o terapia che dovrà affrontare. Un’abitudine ormai consolidata nelle corsie degli ospedali e che di certo non si avvicina al concetto di “cura” che, al contrario, dovrebbe ragionare esclusivamente al plurale, tenendo in considerazione il quadro clinico del paziente in funzione anche del nucleo familiare in cui vive. Tale ragionamento vale ancor di più se i pazienti sono bambini. Essere catapultati in una struttura sanitaria lontana da casa per curare una patologia oncologica piuttosto che le gravi conseguenze di un trauma rappresenta per grandi e piccini un trauma che, a oggi, il sistema sanitario nazionale pare non essere in grado di gestire mettendo in campo le necessarie misure di sostegno. A colmare questo gap corre in soccorso delle famiglie ancora una volta il terzo settore, quello che - a ben vedere - rappresenta un pilastro imprescindibile di un sistema sociale sovente distratto e affaccendato più a fare di conto che ad ascoltare i bisogni di chi le comunità le vive. Esempio di questo straordinario esercizio sociale è la Fondazione Ronald Italia, giunta al suo venticinquesimo anno di attività, braccio operativo italiano dell’organizzazione internazionale Ronald McDonald House Charities con sede a Chicago, che celebra nel 2024 il cinquantesimo anniversario.

Comunità e famiglia: l’impegno di Fondazione Ronald Italia  

prima Casa Ronald del Mondo
Fondazione Ronald in visita alla prima Casa Ronald del Mondo, aperta a Philadelphia 50 anni fa (Instagram)

Con la direttrice Maria Chiara Roti, abbiamo fatto luce su cosa significhi davvero prendersi cura delle famiglie con bambini gravemente malati e sul perché è così importante stare alla larga dalla disumanizzazione del concetto di cura. “Al centro del nostro sforzo quotidiano a sostegno delle famiglie dei bambini costretti a dover fare fronte a percorsi di cura ci sono due parole: comunità e famiglia. Il nostro è un percorso che ha l’obiettivo di umanizzare le cure e renderle sostenibili anche emotivamente. Quando le famiglie vengono catapultate in realtà ospedaliere spesso lontane dalle loro abitazioni si sentono perdute, hanno la sensazione di essere sole in balìa di eventi che non possono governare e, talvolta, neanche comprendere nel profondo. Il loro punto di riferimento diventa il medico che, però, dovendo esercitare il proprio ruolo, non può certo farsi carico della gestione della loro quotidianità. La nostra mission consiste, quindi, nel farci carico dei destini di queste famiglie, prendendole per mano e cercando di alleviare, per quanto possibile, il dolore che stanno provando”.

Le case Ronald per le famiglie con bambini malati gravi

Roti ha spiegato che, con la malattia, i ritmi di vita delle famiglie vengono letteralmente stravolti. Le vecchie abitudini sono soppiantate da nuove routine funzionali esclusivamente alla gestione del percorso di cura, molto spesso a discapito della professione e di sé. Un vuoto sociale, nell’opinione della Fondazione Ronald Italia, che deve essere colmato provando a donare stabilità e qualche certezza quotidiana. Le case Ronald nascono con questo preciso intento e aprono quotidianamente le loro porte per fare in modo che genitori, fratelli e sorelle di bambini con gravi patologie possano, nonostante la sofferenza, restare in connessione con la propria vita. Nelle case Ronald è possibile lavorare in smart-working in luoghi accoglienti e confortevoli, ma anche dedicare il proprio tempo alla socialità, allo svago e ad attività culturali. “I numeri parlano chiaro: il modello delle case Ronald ha permesso una diminuzione delle richieste di accesso alla 104, dei periodi di assenza dal posto di lavoro e della perdita dello stesso, dando prova che, attraverso percorsi di welfare sociale applicato, è davvero possibile coniugare le cure alla quotidiana esistenza delle famiglie dei piccoli pazienti”.

Milano, Brescia, Firenze, Bologna, Roma: sono le città in cui la Fondazione, in sinergia con gli ospedali, opera, attraversando le corsie in punta di piedi, ma con la determinazione di chi sa che, grazie a quei passi, sarà possibile permettere a molte famiglie di sentirsi più sicure e determinate a guardare al futuro.

Foto statua di Bruno Lucchi presente a Casa Ronald Bologna
Foto statua di Bruno Lucchi presente a Casa Ronald Bologna

“Le iniziative che la fondazione Ronald mette in campo sono moltissime. Tra le tante, mi piace ricordare – ha raccontato Roti – anche quelle artistiche, che hanno il compito di scuotere cuori e menti e far capire che nessuno è solo. Nella casa Ronald di Bologna, ad esempio, abbiamo installato una scultura intitolata ‘L’attesa’. Si tratta di un’opera di Bruno Lucchi che ha il chiaro compito di donare un luogo fisico per la riflessione profonda e che, nel corso del tempo, ha saputo diventare punto di riferimento per le ospiti e gli ospiti, dimostrando come anche attraverso il linguaggio dell’arte sia possibile innescare meccanismi positivi e rigenerativi”.

Come funziona il percorso di assegnazione delle strutture

L’accoglienza nelle case Ronald ha un preciso iter e non avviene attraverso contatto diretto. Sono infatti le strutture sanitarie con cui la fondazione ha attivato collaborazioni a indirizzare i nuclei nelle residenze. Una volta effettuato il percorso di assegnazione, alle famiglie non resta altro da fare che presentarsi alla casa di riferimento e affidarsi alle operatrici e agli operatori che, dipendentemente dalle specifiche circostanze, si occuperanno di farsi carico della loro richiesta di accoglienza. Un accordo tra pubblico e privato sociale che dimostra ancora una volta – qualora ce ne fosse stato bisogno – quanto in Italia il terzo settore sia strategico per la tenuta delle comunità sociali a ogni livello. Le strutture delle case Ronald variano da città a città e, ciascuna con la propria soggettività, rappresentano ormai un anello imprescindibile nella catena delle cure. A mutare, però, sono solo le location e il numero delle stanze. Immutato è invece il modello Ronald che, non solo si conferma vincente, ma ambisce a crescere come sta accadendo a Milano con la costruzione di una struttura (1000 metri quadrati con 22 stanze da letto) interamente dedicata a pazienti e genitori in cura presso l’ospedale policlinico di Milano e l’ospedale dei bambini “Vittore Buzzi”.

Modello Ronald, Roti: “La nostra una responsabilità e un onore”

La direttrice Roti non ha dubbi nel dirsi orgogliosa del percorso fino a oggi camminato: “La nostra è una grande responsabilità e, allo stesso tempo, rappresenta un enorme onore. Accogliere le famiglie e donare loro stabilità nel dolore è per noi un motore potente e prezioso oltre che uno stimolo a fare sempre di più.” Tra le esperienze che la direttrice ricorda con affetto c’è la recente accoglienza di famiglie ucraine fuggite dalla guerra che ancora oggi devasta i loro territori, quella di persone che, dall’Afghanistan, hanno raggiunto l’Italia nella speranza di salvarsi dal regime talebano e la storia di una madre che ha perso il bambino di pochi mesi e che, ancora oggi, è in contatto con la Fondazione e partecipa alle sue attività. Momenti toccanti, quelli raccontati dalla direttrice, che fanno ben capire quanto l’operato della Fondazione sia trasversale e possa, nel prossimo futuro, continuare ad allargare il proprio raggio d’azione sempre con il chiaro obiettivo di tendere la mano a chi non deve essere lasciato solo. “Quello che facciamo –  ha tenuto a precisare Maria Chiara Roti – non è solidarietà. Piuttosto, costruiamo comunità e facciamo in modo che alcuni dei nuclei sociali a rischio non si disgreghino al cospetto di un evento tragico come la malattia di un figlio. La proposta di legge a prima firma Bordonali va esattamente in questa direzione e ha lo scopo di togliere dal centro della scena il paziente in quanto tale e di sostituirlo positivamente con il proprio nucleo familiare, ragionando su possibili soluzioni legislative attraverso cui permettere allo Stato di farsi carico, anche con risorse economiche, di percorsi di sostegno familiare”. 

I progetti in corso e in divenire

A giudicare dai progetti in cantiere, la strada è ormai tracciata. Nel prossimo periodo, l’idea è di sbarcare a Genova e Napoli e di approdare all’interno del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, nel tentativo di esportare il modello Ronald in tutto lo Stivale. Un’attività che viene costantemente svolta attraverso percorsi formativi e informativi che sentono forte l’obbligo morale e materiale di far capire che farsi carico delle famiglie significa prendersi cura dei singoli e della società tutta.

Progetto “Fratelli d’A-Mare”
Progetto “Fratelli d’A-Mare”

In questa direzione è andata anche “Fratelli d’A-Mare”, l’iniziativa che ha visto dieci tra ragazzi affetti da gravi patologie ospitati presso le strutture di Fondazione Ronald McDonald Italia e rispettivi fratelli (o siblings, termine che in ambito medico indica i fratelli e le sorelle sani di bambini con malattie croniche o invalidanti), salpare da La Spezia alla volta di un’esperienza di vita comune su Nave Italia. Un viaggio di cinque giorni da La Spezia a Civitavecchia su un mezzo d’eccezione: un veliero con armo classico a “brigantino goletta”, che, con i suoi 61 metri di lunghezza e i suoi 1.300 metri quadri di superficie velica, è uno dei brigantini a vela più grandi ancora in attività. L’obiettivo è stato di favorire il rafforzamento della relazione e il ripristino di un legame positivo tra fratelli all’insegna dell’inclusione, della complicità e dell’avventura, lontano da un contesto di tensione. “La nostra – ha concluso Roti – è una buona pratica che ci auguriamo possa fare cultura. L’Italia ha bisogno di rimettere al centro le famiglie con bambini in cura a partire proprio dal modello “Family Centered Care” che pone al centro del percorso di cura di un bambino malato tutta la famiglia. Dal 1999 ad oggi, nel corso della sua attività in Italia, Fondazione Ronald ha supportato più di 54.000 bambini e famiglie, offrendo oltre 290.000 pernottamenti. L’auspicio è che, grazie alle sinergie con le istituzioni, il nostro percorso possa continuare a crescere e a rappresentare un punto di riferimento sempre più radicato.” Ancora una volta, l’Italia racconta storie di inclusione e lo fa dando valore e sostanza alla parola cura, nella piena convinzione che nessuno mai possa salvarsi da solo.