"La famiglia è la prima forma di cura: con Fondazione Ronald McDonald offriamo luoghi di umanità e normalità a tutti i bambini"

di SOFIA FRANCIONI
2 ottobre 2021

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"Dopo aver lavorato sei anni a Bruxelles come manager finanziaria, prima in una banca americana poi in una francese, all’arrivo del mio secondo figlio, quando ho avuto la possibilità di fermarmi e riflettere sulla mia vita, mi è sembrato imprescindibile scegliere di dedicarmi anima e corpo al sociale e abbandonare la carriera bancaria". Coordinamento di risorse, rapporti con le realtà istituzionali, progettazione e accoglienza: le competenze che la direttrice Maria Chiara Roti impiega ogni giorno sono le stesse che ha affinato da studentessa all’università e da manager nei grandi istituti bancari europei. Solo che a un certo punto della sua vita ha deciso di dedicarle "a tutti i bambini, italiani e del mondo, per permettere loro di accedere alle cure mediche, restando vicini alle loro famiglie". Direttrice della Fondazione Ronald McDonald Italia, Roti si occupa infatti di creare luoghi di umanità e normalità all'interno degli ospedali pediatrici italiani. "Un bambino malato deve spesso curarsi lontano dalla sua città. La nostra Fondazione dà alle famiglie la possibilità di rimanere unite e vicine ai propri bimbi e alle cure ospedaliere necessarie. Perché - chiosa - una famiglia unita è la prima forma di cura".

Una senzatetto seduta su una panchina accanto a Ronald McDonald. Epa photo Afpi/Peter Parks

Dal 1974 in America e dal 1999 in Italia, la Fondazione Ronald McDonald costruisce, acquista o gestisce case vicino agli ospedali pediatrici per accogliere i bambini e le loro rispettive famiglie: o all'esterno, appunto nelle Case Ronald McDonald, o all’interno delle strutture ospedaliere nelle Family Room. "Accogliamo i bambini che si spostano per migrazione sanitaria per rendere la loro esperienza in ospedale il più lieve possibile", andando a volte anche oltre il mandato: "Nella nostra Casa a Roma di recente abbiamo accolto tre famiglie dall’Afghanistan, arrivate tramite la Croce Rossa Internazionale, perché avevano un bambino gravemente malato. Abbiamo dato loro abiti, cibo, sostegno, ascolto e la possibilità di mettersi in contatto con i propri familiari. Dovevamo aprire la porta e, anche grazie al sostegno dei volontari e delle associazioni locali, ce l'abbiamo fatta".

I luoghi "di umanità e normalità" in Italia

Al momento, le Case Ronald attive in Italia sono quattro: Casa Ronald Brescia, Casa Ronald Roma Palidoro, Casa Ronald Roma Bellosguardo e Casa Ronald Firenze. Le Family Room invece sono tre e si trovano a Bologna, Alessandria e Milano. "Collaboriamo con i migliori ospedali pediatrici - spiega la direttrice  - l'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, l'ospedale pediatrico Meyer di Firenze, il Policlinico e il Buzzi di Milano, il Sant'Orsola Malpighi di Bologna, gli Spedali civili di Brescia, l'Azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria e il Niguarda, sempre a Milano". In Italia è difficile costruire da zero le strutture, che spesso, come ci racconta Roti che si occupa proprio di trovare nuovi spazi, sono residenze religiose, comunali e universitarie "dateci in comodato d'uso dagli enti". Mentre la maggior parte dei proventi per ristrutturarle arrivano dalla Fondazione e il resto dalle campagne di raccolta fondi ed eventi. "Tra gli obiettivi a breve termine, stiamo lavorando con l’ospedale Careggi di Firenze per aprire una nuova family room, mentre sul lungo periodo progettiamo di aprire una nuova grande Casa Ronald nelle vicinanze del Buzzi e del Policlinico di Milano".

Maria Chiara Roti: la Fondazione e il volontariato con Croce Rossa Italiana

La direttrice Maria Chiara Roti con una giovane paziente all'interno di una struttura della Fondazione Ronald McDonald

Maria Chiara Roti, che ha sempre avuto come modello suo padre "un medico, un cardiologo, di cui ho sempre stimato la professionalità e la grande umanità", ha un motto che si porta dentro fin da ragazza: "Never give up. Mai arrendersi". Cresciuta con il mito di Nelson Mandela e Maria Teresa di Calcutta, nel corso degli anni ne ha aggiunti altri alla lista: "Gino Strada, Don Mazzi di Exodus e i miei responsabili di Croce Rossa". Oltre al lavoro in Fondazione, che dal 2007 ha accolto nelle sue strutture 45mila persone, Roti continua ad essere una volontaria anche di Croce Rossa Italiana, nel comitato Milano Sud: "Per dare il mio contributo e portare il mio aiuto anche nel posto in cui vivo, nella mia comunità". Per lei, infatti, "non si fa volontariato per sentirsi bravi o a posto con la propria coscienza. Il volontariato non è un residuo del nostro tempo, ma è un atto civile". A tutti i professionisti come lei, che tra lavoro e famiglia non riescono a dedicarsi al terzo settore, dice: "Ognuno di noi può mettere a servizio le proprie competenze. Il fotografo può contribuire alle campagne di comunicazione delle no profit, il traduttore può essere un intermediario fondamentale in alcune associazioni e l'avvocato può offrire consulenze legali gratuitamente. Sono tante le forme in cui si può tendere una mano, e tutto e tutti servono sempre".

Alleviare il dolore con la bellezza e la vicinanza

Il primo ottobre la direttrice ha partecipato all’incontro "Family-Centered Care", organizzato dall'associazione ospedali pediatrici italiani (Aopi) e Fondazione Ronald McDonald a Firenze, per parlare dell'accoglienza delle famiglie all'interno delle strutture ospedaliere. "In questo momento c'è un dialogo molto aperto con gli ospedali italiani, che stanno andando verso due direzioni: la deospedalizzazione dei pazienti, che significa far rimanere i bambini meno tempo possibile all'interno delle strutture, e l'umanizzazione delle cure. Fondazione Ronald accoglie questi input costruendo luoghi dove le famiglie e i bambini possono stare bene, alleviando con la bellezza e la funzionalità degli spazi il senso di dolore, di paura e fatica che provano dalla prima diagnosi e per tutto il percorso di cura - conclude Roti -. Al posto di lunghi corridoi e colori da ospedale, cerchiamo di dare loro spazi vivi, allegri, che i piccoli pazienti e le loro famiglie possono condividere con altre famiglie per farsi coraggio insieme e confortarsi, grazie anche alla presenza del nostro staff e dei nostri volontari (150 in totale, ndr) che rappresentano un sostegno fondamentale nel percorso di cura".