Con l’inizio del 2025, ci troviamo di fronte all’ennesimo enigma che sembra caratterizzare le società contemporanee d’Occidente: più crescono le tutele del welfare, meno figli vengono messi in cantiere. Un fenomeno che ci invita a riflettere su questioni fondamentali legate al rapporto tra politiche sociali, libertà individuale e il futuro delle nostre comunità, cercando di stare il più possibile alla larga da facili schematismi e sommarie valutazioni.
Ma iniziamo dal principio: il welfare, nato per garantire dignità e sicurezza ai cittadini, dovrebbe - almeno in teoria - favorire la genitorialità, riducendo il peso economico e organizzativo della cura dei figli. Il punto è che la realtà pare muoversi in direzione ostinata e contraria. I dati dimostrano che nei Paesi con sistemi di protezione sociale più sviluppati, i tassi di natalità continuano a scendere. Un cortocircuito sociale su cui vale la pena riflettere per provare a fare chiarezza sull’oggi e tentare di comprendere perché una maggiore sicurezza economica e sociale non si traduca in un aumento del desiderio di avere figli.
Una possibile spiegazione risiede probabilmente nella complessità delle scelte individuali. Nei contesti in cui il welfare offre maggiori opportunità di autorealizzazione, le persone tendono a privilegiare percorsi personali e professionali rispetto alla genitorialità. Le donne, in particolare, beneficiando di una maggiore libertà di scelta rispetto al passato, spesso si trovano a scegliere tra ambizioni lavorative, aspettative sociali e desiderio di maternità.
Trovare una chiave per bilanciare queste dimensioni è una sfida contemporanea a cui, per il momento, i governi e le società sembrano non aver trovato soluzione. C’è anche da dire che, pur essendo vero che politiche più inclusive, come congedi parentali estesi o incentivi economici, sono necessarie, è altrettanto vero che non bastano. Il cambiamento, infatti, deve essere principalmente e sostanzialmente culturale.
La genitorialità deve essere pienamente condivisa (in ogni sua forma), implicando un cambiamento nel mondo del lavoro e una vera ridefinizione dei ruoli. Un altro tema fondamentale per affrontare con consapevolezza il dibattito ruota attorno al concetto di relativismo: guardare solo all’Italia o all’Occidente rischia di ridurre il problema a una prospettiva troppo ristretta. Nel mondo, i tassi di natalità variano enormemente e sono spesso legati a fattori economici, educativi e culturali. In molti Paesi in via di sviluppo, ad esempio, il problema non è la scarsità di nascite, ma il suo contrario: la mancanza di risorse per garantire un futuro dignitoso ai figli.
Affrontare la questione demografica nel 2025 richiede quindi uno sguardo globale e una capacità di connettere dinamiche locali e internazionali, mettendo da parte nazionalismi di sorta e ideologie dalla prospettiva limitatissima. L’augurio per il 2025, pertanto, è che questo nuovo anno sia un’occasione per ripensare non solo alle politiche, ma al nostro approccio culturale al futuro, a partire dal rapporto con la genitorialità, in una società che ha l’obbligo di diventare sempre più equa e lungimirante. Il futuro si costruisce attraverso una visione culturale capace di mettere al centro le persone, le loro aspirazioni e la libertà di scegliere. Ogni riflessione si trasformi in azione, per un domani all’altezza delle aspettative del presente.