Se nel Medioevo si diceva “la gatta", declinata sempre al femminile anche se si trattava di un maschio, un motivo c'era. Sì, per quanto oggi possa sembrare insolito, nel XII e nel XIII secolo era cosa normale dire "il cane", "il coniglio", "il cavallo" ma anche, appunto, "la gatta", di qualunque sesso fosse. Ma come mai? La ragione oggi ci fa inorridire.
Il gatto? No, nel Medioevo erano tutte femmine
Nel Medioevo il gatto era generalmente associato alla donna in chiave negativa a causa del retaggio ancora forte del passato pagano, in cui molte religioni abbinavano questo animale a una dea. Accadeva nell'antico Egitto, per esempio: la dea Bastet aveva il corpo di donna e la testa di gatta. Simboleggiava la fecondità, la bellezza, la luce. Inoltre, molte sacerdotesse di altre divinità amavano circondarsi di gatti. Lo stesso accade con la divinità norrena Freya, nei cui riti di adorazione compariva spesso il gatto: il gatto norvegese delle foreste, peraltro bellissimo.
E forse l'inquadramento di questo animale nel mirino dei pregiudizi medievali arriva proprio da qui, cioè dalla paura e dell'avversità che prima in Inghilterra e poi nel Continente si avevano nei confronti dei vichinghi. Razziatori, violenti, pagani: avevano proprio tutti i connotati per essere considerati nemici della Chiesa alle soglie dell'anno Mille. Per di più, andavano in giro venerando una dea che si accompagnava a un gatto. L'equazione fu immediata.
Il pericolo è donna ed è “gatta”
Dunque, il pericolo è donna. La Chiesa misogina e sessuofobica di allora associava notoriamente la donna alla tentazione, e da qui al demonio. Il passo è breve ai danni del gatto (ops, della "gatta"!), che aveva poi un elemento in più a suo svantaggio: a differenza del cane, il piccolo felino è animale per sua natura "indipendente", può cavarsela senza un padrone, può campare per conto suo. Brutta cosa, questa, per la società maschilista e patriarcale del Medioevo, che non contemplava il fatto che una "femmina" - di qualsiasi natura, specie, genere - potesse essere non dipendente dall'uomo. Anche se si trattava di animali.
Pregiudizio e superstizione fecero sì, insomma, che il gatto a quei tempi non godesse di buona stampa. Anzi, venne il tempo in cui, essendo associato alla donna, finì per seguire le terribili sorti di quante erano accusate di stregoneria, cioè finivano sul rogo. Anche se, a onor del vero, va precisato che nel Seicento, all'epoca di Galileo e di Newton, si bruciarono molte più fattucchiere di quante se ne uccisero nel Medioevo. E va aggiunto pure l'enorme balzo indietro fatto dall'Inghilterra vittoriana dell'800 nei confronti delle donne, altro che Medioevo!
Fake news e superstizione
Altra inesattezza è che Papa Gregorio IX, nella sua bolla datata 1233 ("Vox in rama") avesse scritto di eliminare tutti i gatti in quanto creature del demonio. Basta cercare il testo su internet per rendersi conto che si tratta di una balla colossale. Una fake new davvero incredibile e dannosa nei confronti sia della verità che del buon senso. Nella bolla si fa soltanto un piccolo riferimento a una setta eretica i cui adepti, durante un rito collegiale, avrebbero baciato a turno un gatto sotto la coda. Ma mai e poi mai Papa Gregorio IX scrisse di uccidere i gatti.
Pregiudizi, insomma. False verità condizionate dalla superstizione, dalla scarsa cultura, forse anche dalla cattiveria tipicamente umana.
Un altro bell'assist per la difesa del gatto arriva dal fatto che dopo il 1347, con l'arrivo della peste che falcidiò più di un terzo della popolazione europea, il gatto fu visto invece come amico dell'uomo perché dava la caccia ai topi portatori del morbo.
E in tanti affreschi in chiese e palazzi compaiono gatti in tranquille scene di vita quotidiana in mezzo a uomini, donne e bambini.
E ancora. Santa Caterina da Siena, vissuta fra il 1347 e il 1380, osservando la penitenza del rifiuto del cibo fin da adolescente, si toglieva le polpette dal piatto per darle ai gatti che gironzolavano serenamente per la casa. E di Caterina tutto si può dire fuorché fosse un'indemoniata...