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Michela Murgia, il ritratto della scrittrice attraverso le sue opere

Atteso a breve il libro postumo dedicato alla genitorialità e alla famiglia. L'esordio raccontando il precariato dei call center, la consacrazione con "Accabadora"

di BARBARA BERTI -
12 agosto 2023
Michela Murgia, vita e letteratura legata a un doppio filo (Instagram)

Michela Murgia, vita e letteratura legata a un doppio filo (Instagram)

Michela Murgia, vita e letteratura legata a un doppio filo. La scrittrice sarda, scomparsa il 10 agosto a causa di un tumore al quarto stadio, la si può raccontare anche attraverso i suoi libri. Impegnata su temi sociali e umani, la sua era una voce libera. E lo resterà grazie alle sue opere, perché – come diceva -“il modo in cui chiami le cose è il modo in cui finisci per viverle”.
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La scrittrice Michela Murgia, scomparsa il 10 agosto scorso (Instagram)

Nonostante la malattia ha scritto fino all’ultimo giorno. Il suo nuovo libro, atteso a breve per Rizzoli, sarà dedicato alla genitorialità e alla famiglia, esperienza che lei, madre d'anima, ha vissuto fuori dai canoni della tradizione e ha plasmato in nome della libertà di scegliere chi si ama. Un atto politico, ancora una volta, a suggellare idealmente una vita in cui Michela Murgia, non ha mai rinunciato a prendere posizione per la tutela dei diritti, a far sentire la sua voce contro il potere.
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Nonostante la malattia ha continuato a scrive fino all'ultimo (Instagram)

L’esordio con “Il mondo deve sapere”

Nata a Cabras nel 1972, alle spalle una formazione cattolica, Murgia arriva alla scrittura dopo essersi dedicata a diverse attività: dall'esperienza da venditrice telefonica di aspirapolveri nasce “Il mondo deve sapere” (2006), romanzo tragicomico sul mondo dei call center. Una storia che ispira l'opera teatrale omonima (firmata David Emmer e Teresa Saponangelo) e il film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì (2008).
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Una scena del film di Virzì "Tutta la vita davanti" tratto dal libro di Michela Murgia "Il mondo deve sapere"

La consacrazione di Michela Murgia

Michela Murgia arriva alla consacrazione nel 2009 quando firma il suo capolavoro: “Accabadora”, premio Super Mondello e Campiello. E’ la storia di un'anziana donna che in un villaggio sardo dà di nascosto la morte ai malati gravissimi che gliela chiedono.
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Il libro “Accabadora” è un classico contemporaneo

E’ uno spaccato di una Sardegna viscerale e al contempo lettera d'amore al mondo da lei auspicato: di persone libere, di famiglie allargate, di legami fluidi e non di sangue, di figli e sorelle e fratelli che si scelgono, un universo di persone impegnate a disegnare il destino, a scegliere se vivere o morire. “Accabadora” è un classico contemporaneo, per la potenza della materia (l'eutanasia) e dello stile, declinato in una prosa scevra da compromessi. “Perché invece Tzia Bonaria Urrai si fosse presa in casa la figlia di un'altra a quell'età, davvero non lo capiva nessuno” recita un passo del libro. “I silenzi si allungavano come ombre quando la vecchia e la bambina passavano per le vie insieme, suscitando code di discorsi a mezza voce sugli scanni del vicinato. Bainzu il tabaccaio si beava di scoprire come anche un ricco, invecchiando, avesse bisogno di due mani per farsi pulire il culo” si legge nel libro.
 
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I saggi folgoranti

Scrittrice d'impegno civile, in prima linea per i diritti, Murgia lascia saggi folgoranti. E’ il caso di “L'ho uccisa perché l'amavo (falso!)” con Loredana Lipperini (Laterza), un'indagine sul femminicidio. “Ave Mary. E la chiesa inventò la donna”, è la riflessione su come la Chiesa abbia contribuito a dare un'immagine negativa della donna, additata come peccatrice e subalterna. “Istruzioni per diventare fascisti” (Einaudi), invece, traccia una lucida analisi che invita a respingere i relitti del passato.

La cover del libro “L'ho uccisa perché l'amavo (falso!)” che Michela Murgia ha scritto con Loredana Lipperini

In “Stai zitta” grida rabbia e dolore per tutte le donne che vengono messe a tacere perché, ripete, la parola è arma di potere: “di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”. Un’opera, quindi, che racchiude una speranza per l'avvenire: che nessuno obblighi una donna a tenere la bocca chiusa. Altrettanto tagliente “God Save the Queer, catechismo femminista” (ancora Einaudi). “Vorrei capire, da femminista, se la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece non si possa mostrare addirittura un'alleata” il pensiero di Murgia.
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La cover di "Ave Mary"

“Da cristiana confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede è cosa buona”. scrive.

“Tre ciotole”, l'ultimo libro

L'ultimo libro, uscito a maggio, è lo struggente “Tre ciotole” (Mondadori), un romanzo che si apre sulla diagnosi di cancro e incrocia storie di cambiamento radicale.
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La cover del libro "Tre ciotole"

Nelle prime pagine, appunto, la malattia: “Era una richiesta strana quella di battezzare un tumore. Le risuonarono in testa tutte le parole che conosceva già. Brutto male. Male incurabile. Il maledetto. Il bastardo. Quella cosa”. “Tre Ciotole” è anche una testimonianza e invito a non cercare risposte a ogni costo: “Non capire va bene - affermava Murgia - non capire è a volte la soluzione migliore per stare nelle cose”. [caption id="attachment_95254" align="alignnone" width="821"]michela-murgia-ritratto-opere-libri La scrittrice sarda, scomparsa il 10 agosto a causa di un tumore al quarto stadio, la si può raccontare anche attraverso i suoi libri (Instagram)[/caption]

Il libro postumo e non solo

Oltre all'inedito atteso a brevissimo, restano altri scritti importanti. Il testo a cui stava lavorando è “un libro toccante, sulla famiglia, sull'adozione, sulla figliolanza d'anima, sul fatto che l'individuo non è più forte della collettività, sul superare il sangue come paradigma d'identità” racconta Alessandro Giammei, curatore dell'opera di Murgia e membro della famiglia. Poi restano “un progetto di libro che lei aveva cominciato a curare” racconta Giammei. E, infine, “un ricco patrimonio di file scritti in molti anni”, con quella “lucidità straordinaria” con cui ha dettato, fino alla fine, le ultime pagine.