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Diritti e femminismo intersezionale: le battaglie sociali di Michela Murgia

La famiglia queer, l'amore senza vincoli, la discriminazione di genere, il fine vita: la scrittrice e attivista ha lanciato messaggi di civiltà

di MARIANNA GRAZI -
11 agosto 2023
Michela-Murgia

Michela-Murgia

Michela Murgia, scrittrice 51enne morta il 10 agosto, è stata, fino all'ultimo giorno, una voce libera. Ha portato avanti battaglie per i diritti e le libertà civili e personali, per le donne, per le persone queer, per le famiglie arcobaleno, per chi si batteva per la vita e per la morte. Per tuttə coloro che i propri diritti se li sono vistə calpestare, ignorare, cancellare troppe volte. Per il femminismo intersezionale.

Accogliere l'odio e continuare a lottare

Non si è mai piegata a compromessi, il suo pensiero, la sua intelligenza andavano "Molto veloce, in un paese lentissimo", come ha ricordato lo scrittore Nicola La Gioia nel suo cordoglio su Instagram.
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La scrittrice sarda 51enne era anche un'attivista impegnata in molte battaglie sociali

Una voce spesso fuori dal coro, quella di Murgia, anticipatrice di fenomeni, aspramente critica o autenticamente solidale, compresa, accolta ma anche contestata. Ma l'odio, per lei, non è mai stato un problema:
"Preferiva essere odiata che compatita. Non che l’odio non le pesasse: raccontò di aver vomitato per mesi, non per le cure ma come reazione appunto all’odio che avvertiva su di sé. Però non si sarebbe perdonata il silenzio, il restare zitta e indifferente davanti a quelle che considerava ingiustizie".
Così scrive Aldo Cazzullo, che con la sua magistrale intervista a maggio aveva raccontato la malattia della scrittrice e che oggi la ricorda dopo la scomparsa.

Abitare le contraddizioni

No, chi non era d'accordo con lei, che la pensava in maniera opposta, era accoltə, non respintə. "Abitare la contraddizione è il metodo che include. Negarla o peggio, fare il processo a chi secondo noi la porta, significa togliere forza a tutte, perché nel femminismo in cui ci riconosciamo, senza contraddizione non c’è nessuna. Se dovete scegliere, siate la porta, non la portinaia".
 
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In un lungo video su Instagram a luglio la scrittrice, piegata dalla malattia ma tutt'alto che stanca di lottare, di portare avanti le sue battaglie sociali, era riuscita a parlare di un tema a lei caro, per il quale aveva atteso per anni il momento giusto. "Il tema è la brutta abitudine, molto diffusa nel mondo femminista, di certificare il femminismo altrui". La 51enne, stanca di ricevere continuamente messaggi in cui le vengono segnalati errori o commenti inappropriati da parte di figure di spicco del movimento, ha deciso di affidare ai social il suo messaggio sulla questione, invitando tuttə ad adottare un atteggiamento di maggior comprensione e apertura. Invece di combattere tra di loro, lə femministə, secondo l'autrice di "Stai Zitta", dovrebbero concentrarsi sulla lotta comune contro coloro che promuovono politiche discriminatorie o inique. "Non ho mai dato la patente di femminismo e mai la darò. Riconosco la contraddizione di certe posizioni, ma vedo anche che è irrisolvibile perché è impossibile che non vi siano cortocircuiti interni", prosegue, riconoscendo la molteplicità e varietà di battaglie portate avanti che non devono screditarsi tra di loro.
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Michela Murgia e Chiara Valerio (Instagram)

Murgia, inoltre, sottolinea che l'essere femminista "parte tutto da una ferita personale. Nessuno lo diventa perché non aveva altro da fare". E certo veder aggravare quella ferita da chi invece dovrebbe esserci sorella nella lotta, pur portandone avanti una propria, non è certo il modo migliore per ottenere la vittoria. "Ci sono certe persone che non hanno studiato, che a volte fanno dei pasticci, ma a modo loro raccontano comunque che certe cose le hanno capite. Non perdiamo tempo a squalificare chi lotta - conclude - non costruiamo una portineria del femminismo, perché i nemici sono altri, e fanno le leggi".

Il femminismo intersezionale

Istanze diverse che si intrecciano, solo all'apparenza contraddittorie o lontane fra sé, collegate da fili invisibili che ne fanno una matassa caleidoscopica ma allo stesso tempo ben stretta. Insomma: "Il femminismo intersezionale è fatto di mille femminismi", dichiara Murgia. E lei che è stata probabilmente la prima a parlarne pubblicamente in Italia fino all'ultimo si è spesa perché intersezionalità non diventasse ostilità, ma piuttosto fosse un altro modo per definire una coesione diversificata di intenti a scopo comune.
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Un post di Michela Murgia per annunciare l'uscita di una delle ultime puntate di "Morgana", il podcast con Chiara Tagliaferri, dedicato alle donne che sono diventate "madri per motivi considerati abietti"

"C’è chi fa parte della comunità nera e lotta contro il razzismo, c’è chi si occupa del legame tra sessismo e capitalismo, chi lotta per il riconoscimento di determinate patologie, chi accoglie e difende le donne in transizione, chi canta e così via" La parola 'intersezionale' nasce dal riferimento alla geometria, all'intersezione, ossia il punto in cui due rette si intersecano si chiama intersezione. A differenza degli assi paralleli, che invece 'gerarchizzano' una posizione, un nord e un sud, un privilegiato e un oppresso, per generalizzare. E, ovviamente, gli assi di oppressione sono molteplici, ma la persona che ne fa le spese è protagonista di una lotta di rivendicazione specifica: la donna per l’oppressione di genere, ad esempio, la persona nera contro il razzismo e l'omosessuale per il riconoscimento di diritti legati all’orientamento sessuale… Ma dove si colloca, in un contesto così gerarchizzato, una donna lesbica nera? Ogni persona può essere attraversata da più di un asse di oppressione e quindi trovarsi in un punto di intersezione. La genesi del femminismo intersezionale sta proprio qui: nella consapevolezza di gruppi di femministe nere e/o lesbiche che, alla fine degli anni Settanta, si resero conto di essere vittime di una doppia oppressione, e di essere escluse e discriminate dalle stesse compagne di lotta bianche ed eterosessuali.
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Kimberlé Crenshaw ha coniato il termine intersezionalità

A coniare il termine 'intersezionalità' è stata dall’attivista e giurista statunitense Kimberlé Crenshaw nel 1989 e indica l’intersezione di più identità sociali e le possibili oppressioni e discriminazioni derivanti da esse. In sostanza, come ci ha ricordato la stessa Murgia, è fondamentale riappropriarsi della propria identità, partendo però dall’idea che il nostro vissuto è valido tanto quanto quello altrui. Ed ecco che quindi il femminismo intersezionale diventa la prospettiva politica che abbraccia molteplici lotte, contro tutte le oppressioni possibili, senza imporre una gerarchia fra di esse ma rivendicando le specificità di ciascuna.