Francesca Ghermandi è una decana – non di età, ci mancherebbe – dell’evento, essendo entrata due volte nell’Albo d’oro di Lucca Comics & Games: nel 1997 con il premio Pantera Miglior Autore e nel 2023 con il Gran Guinigi Miglior disegno (ex aequo) per “I misteri dell’oceano intergalattico”.
Capace di conciliare linguaggi apparentemente molto lontani e diversi tra loro, dal design all’animazione, dai fumetti (scritti e muti) agli oggetti in ceramica, Ghermandi è un’artista poliedrica e sempre alla ricerca di nuove ispirazioni, di nuovi stimoli. Un’autrice straordinaria dallo stile unico, che nel suo universo ha creato un personale universo pop dai distinti contorni dark. In occasione del Festival 2024, oltre ad una mostra a Palazzo Ducale, ha presentato l’edizione integrale di “Pastil” (Eris edizioni), una raccolta delle avventure del visionario personaggio nato dalla matita dell’artista tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila.
Che rapporto ha con l’evento Lucca Comics?
“Un rapporto con Lucca Comics intanto esiste da tantissimo, dacché ho iniziato a fare fumetti: sarà stata la fine degli anni ‘80 ed era da tutt’altra parte, c’era un grande padiglione fuori dalla città. Ci sono tanti episodi, anche divertenti, che mi legano a questo evento. Anche il mio attuale compagno, che fa animazione, fu premiato al Teatro del Giglio ed è stata la prima volta che l’ho visto, per poi conoscerlo in realtà tanti anni dopo. Direi un legame profondo quindi”.
Come ha vissuto questa edizione?
“Quest’anno, oltre alla partecipazione in giuria che per me era una prima volta, i lucchesi hanno allestito anche una mostra incredibile: io ho fornito solo il materiale, poi hanno fatto tutto loro, ed è una cosa bellissima”.
Qual è la cosa più bella di questo tipo di eventi?
“Questi festival sono delle bolge ma il bello è proprio quello che dicevo, la possibilità per noi autori, che siamo topi di biblioteca, di creare rapporti e fare scambi di idee. È fondamentale, questo scambio, come incontrare il proprio pubblico”.
Sognava da bambina di diventare fumettista?
“Conta che a tutti i settori che ho affrontato sono arrivata quasi per caso, anche al fumetto. Ho sempre disegnato fumetti fin da piccolissima, li ‘leggevo’ quando non sapevo nemmeno leggere, ma non ho fatto studi artistici. Studiavo architettura a Firenze dopo il liceo, però ho fatto un corso di fumetto, con insegnanti come Pazienza, i ragazzi di Valvoline, Mattotti e molti altri e questa è stata una cosa casuale che mi ha indirizzata. Ho lasciato l’università e mi sono messa a lavorare”.
E c’è un settore in cui non si è cimentata ma che vorrebbe provare?
“Chissà… Lavoro un po’ come designer nella pubblicità in Giappone, faccio illustrazioni. Ma sono state sempre cose casuali prese per entusiasmo: non pensavo avrei mai lavorato per i quotidiani, e invece l’ho fatto per tanti anni, sono finita persino a illustrare roba di economica. Ma anche quelle sono state belle esplorazioni che mi hanno lasciato tanto. Un ambito che non ho ancora sperimentato potrebbe arrivare, ma ne sto provando tante e tutte concorrono a fare le storie, a creare personaggi. È un mondo che si amplifica”.
Cosa la ispira?
“Non faccio cose sempre uguali o con una stessa tecnica, quindi mi ispira intanto il lavoro stesso nel disegno per le atmosfere. Poi tanti autori, letture, dalla letteratura al cinema. Per ogni lavoro ci sono tante fonti d’ispirazione. Per creare una storia tante volte creo un archivio, mi immergo in un mondo che al momento mi interessa. Nel caso di ‘Pastil’, che esce adesso rieditato, una cosa che mi aveva ispirato era ‘Il piccolo fuggitivo’, un film degli anni ‘50 da un fotografo e racconta di un bimbo che si perde in una grande città. E soprattutto ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’ perché Paola Pallottino, una storica dell’illustrazione e paroliera, da anni mi suggeriva di pensare a un’Alice. Io disegnavo ma non riuscivo a tirare fuori niente perché mi veniva da pensare solo a quella di Walt Disney. Finché dai disegni scartati salta fuori questa bambina con la testa a forma di pastiglia che entra in un buco”.
E come arriva alla versione finale?
“Perché Daniele Brolli, editori di Felix, mi dice: ‘Pensa a qualche paginetta muta’. Ho collegato tante cose, come il disegno a matita che prima scartavo, e per caso ho creato questa avventura. Prima avevo sempre scritto, raccontare senza parole non è facile, ti ci devi immergere: una volta immersa è partito tutto ed è venuta fuori tutta la storia. Sono0 tante cose che concorrono”.
Pastil è diventata un’icona rappresentativa dei suoi fumetti. Che legame ha con questo personaggio?
“Come tanti altri personaggi li vedo come dei bambini, mi sembra di avere quasi un asilo dove tenerli tutti insieme. In tutti i personaggi, quando li racconto mi ci calo. Nel caso di Pastil è una bambina, che in certi casi è anche grande come nel caso di un’altra storia di un libro che non è mai uscito in Italia, oppure l’ho usato anche per una pubblicità. Insomma sono proprio come bambini dell’asilo, scatenati, che saltano da tutte le parti e li devo tenere”.
È diventata lei stessa un modello nel mondo del fumetto e dell’illustrazione: cosa direbbe a una ragazza che vorrebbe lavorare in questi ambiti?
“È una vocazione. Io non lo considero un lavoro ma come i musicisti e i compositori, anche quando il lavoro non c’è bisogna andare avanti e produrre. Chi è già ispirata sa già quello che deve fare. Io non ho più l’età da sapere quali siano le strategie pratiche da scegliere ed è difficile dare consigli pratici in questo mondo tanto grande. Banalmente dico sempre di essere se stesse e non svendersi (nel senso di saper mettere dei paletti quando ad esempio ti trovi a lavorare per la pubblicità o altro), riuscire ad avere tempo per crearsi un immaginario e soprattutto leggere molto, guardare molto e cercare i fumetti che davvero ci colpiscono, perché questi sono i maestri veri, da prendere e digerire per creare uno stile personale. Seguire il proprio istinto, ecco, ed è durissima”.