Può apparire sorprendente leggere un testo, frutto di oltre un decennio di studi, e accorgersi di quanto contemporaneo sia Dante Alighieri nell’affrontare temi di grande discussione, come il patriarcato o le differenze di genere. La “rivelazione” la dobbiamo a Claudia Di Fonzo, docente di Diritto e letteratura presso l’Università di Trento, autrice di innumerevoli studi sulle “conseguenze” dell’azione dantesca nel tempo.
In particolare la studiosa abruzzese di nascita, e fiorentina d’adozione, ha da poco dato alle stampe il suo libro dal titolo ‘Albedo iustitiae. Il peccato ermafrodito e altre questioni di diritto e letteratura’ (Edizioni dell’orso). Seguendo la traccia del “Dantismo giuridico” – corrente di esperti di diritto che nel XIV secolo hanno studiato e commentato Dante da un punto di vista giuridico – Di Fonzo ha dedicato il volume ai complessi rapporti esistenti tra il diritto, la teologia e la letteratura durante il Medioevo, indagando principalmente intorno alla concezione della giustizia nella letteratura italiana del primo Trecento.
Il patriarcato sette secoli fa
Per esempio la studiosa fa riferimento alla “pena del sacco” (o “mazzeratura”) – che prevedeva la chiusura del condannato per parricidio in un sacco chiuso e con delle bestie, e il lancio in mare in attesa che affondasse – che la studiosa individua anche in alcuni testi di letteratura del Trecento. Secondo la studiosa, questo genere di pena veniva anche utilizzato dai tiranni per liberarsi dei nemici, mentre in un altro testo Boccaccio afferma che la stessa la pena viene comminata alle donne adultere, ma che in realtà così non dovrebbe essere perché l’ingiustizia è altrove, legata magari a un padre o a un marito “tiranno” che vessa la donna.
Insomma sette secoli fa la letteratura aveva già posto l’accento dell’uso stravolto del potere di padri e mariti, una consuetudine purtroppo giunta sino ai nostri giorni.
La parità di genere ai tempi di Dante
Un altro tema che troviamo nel libro di Claudia Di Fonzo riguarda la parità di genere partendo proprio da Dante che ha affrontato il tema dell’adulterio (in “Paolo e Francesca”), la sodomia (nei versi dedicati a Brunetto Latini) e poi ha pensato ai lussuriosi collocandoli nel Purgatorio della Divina Commedia, stesso luogo in cui si trovano gli ermafroditi, ovvero i bisessuali, un termine coniato proprio dall’Alighieri per indicare coloro che potevano amare sia le donne, sia gli uomini. Ma perché la questione assumeva rilevanza giuridica?
"Per esempio di fronte ai testamenti o comunque a questioni che necessitano di una specifica maschile per avere efficacia – spiega Di Fonzo – occorrerà stabilire in modo medico chi dei due sessi prevale nella persona ritenuta ermafrodita. Allora si faceva un vero e proprio accertamento: se prevaleva il sesso maschile per esempio l’eredità passava, altrimenti no, poiché le donne non ne avevano diritto”.
Per i medievali, quindi la questione aveva connotazioni sia fisiche, sia di diritto, prima civile e poi canonico. Dante fa suo il termine di ermafrodito, cita Ovidio (autore della favola che lo tiene a battesimo), ma collocando questa categoria di anime sulla cima del Purgatorio, poco prima del Paradiso terrestre. Ciò accade perché il Sommo Poeta "recupera la tradizione platonica dell’uomo perfetto che si divide e dà origine all’amore – conclude la studiosa – verso il sesso opposto, ma anche verso lo stesso sesso. Quindi Dante colloca i poeti in Purgatorio tra gli ermafroditi, perché allude al mito platonico dell’uomo originario in cui le unità maschile e femminile tendono a ricongiungersi”.