Premio Bellisario, Lella Golfo: “Non esistono traguardi a cui le donne non possano aspirare”

Nel giorno della 36esima edizione del premio che dà lustro alle donne che ogni giorno rompono soffitti di cristallo, abbiamo intervistato la presidente della Fondazione Bellisario, Lella Golfo, madre della prima norma italiana sulle quote di genere

di TERESA SCARCELLA
14 giugno 2024
Lella Golfo

Lella Golfo

Erano gli anni ‘50. Erano veramente altri tempi. La parità di genere era solo un miraggio e le aspettative delle donne dovevano, per società, essere limitate. Marisa Bellisario, però, aveva un’idea diversa delle sue potenzialità e di quelle delle altre donne, aveva un’idea diversa della società e fece di tutto per metterla in pratica. 

Presidente della Olivetti Corporation of America, poi ad dell’Italtel, prima donna alla guida di un’azienda pubblica. Nell’86 vince il Premio di manager dell’anno. Due anni prima, invece, entra a far parte della Commissione Nazionale per la parità tra uomo e donna e in quegli anni pubblica un documento in cui invita a studiare, ricercare, innovare perché “la tecnologia è il migliore alleato che la donna abbia mai avuto”. Un manifesto di quella che sarà poi la sua battaglia personale, ma in un’ottica collettiva, per il raggiungimento della parità e la tutela delle donne sul lavoro. 

Il suo impegno, oggi, muove la Fondazione a lei intitolata e presieduta da Lella Golfo, giornalista, Commendatore e Cavaliere della Repubblica, nonché ex parlamentare e prima firmataria nel 2011 delle “quote di genere”. 

Maria Isabella Bellisario
Maria Isabella Bellisario

Dal 1989 esiste il Premio Bellisario, un riconoscimento che ogni anno viene assegnato alle donne che si distinguono nella professione, nel management, nella scienza, nell’economia, nel sociale, nella cultura e nell’informazione, nello spettacolo e nello sport, sia a livello nazionale che internazionale. La Mela d’Oro, simbolo femminile per antonomasia.

Come nasce il premio Marisa Bellisario?

“Nasce dalla grande commozione per la scomparsa improvvisa di quella che per tante donne era un’icona di parità, la prima grande manager italiana Marisa Bellisario. Si figuri che io l’avevo solo incrociata una volta, non la conoscevo personalmente ma volevo che la sua storia di coraggio, determinazione, ambizione non fosse dimenticata. Che potesse contaminare il presente e il futuro. Così è stato, anzi dopo 35 anni di impegno e duro lavoro, dopo oltre 600 Mele d’Oro assegnate a donne eccellenti, la stessa Fondazione nata in suo nome è diventata un esempio e un modello. Oggi il termine role model è quasi inflazionato, ai tempi non esisteva e invece io ero convinta che valorizzare e dare visibilità a storia di eccellenza fosse fondamentale per proseguire nel cammino di parità. L’anno scorso, alla presenza del Presidente Mattarella, abbiamo festeggiato i 35 anni del Premio, chiamando a raccolta tutte le Mele d’Oro del passato: un’emozione e al contempo una grande gratificazione. Eravamo un manipolo di pioniere, le donne ai vertici erano mosche bianche e grazie anche al nostro lavoro oggi selezionare le migliori è diventato estremamente complicato tante sono ormai le donne che espugnano nuovi fortini maschili. Abbiamo fatto tantissima strada”.

Il premio si intitola “Donne che fanno la differenza”. Cosa significa fare la differenza? Rispetto a cosa? E come si può fare la differenza ognuno di noi nel nostro piccolo?

“Fare la differenza significa incidere in modo positivo e significativo sulla realtà che ci circonda. E significa anche averci creduto, in sè stesse e nelle proprie potenzialità, ed essere dei modelli. Fanno la differenza donne che si sono imposte in settori maschili, per esempio, che hanno scalato vette impensabili fino a poco tempo fa, penso a Samantha Cristoforetti, a Fabiola Gianotti, alla prima Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Ma anche ragazze laureatesi con 110 e lode in materie STEM, sportive che hanno dedicato la loro vita a un sogno, imprenditrici che valorizzano il lavoro femminile. E ancora donne impegnate per la pace, come il Premio Nobel e Premio Bellisario Nadia Murad. Donne che sono “arrivate” dove volevano e che sono icone di parità e ambizione, inclusione e giustizia sociale”.

C’è qualcosa in cui lei vorrebbe ancora fare la differenza?

“Tante, tantissime, quanti sono ancora i gap nel nostro Paese. Soprattutto vorrei che si sovvertisse quell’ordine culturale, simbolico, economico che ci considera subordinate, deboli, in qualche modo inferiori. Bisogna trasformare in profondità i rapporti di potere tra i generi, scardinare un sistema che delegittima le donne a livello politico, economico, sociale. Un impegno cui è chiamata la politica, certamente, le istituzioni ma cui siamo chiamate tutte, tutti noi sin dall’educazione dei nostri figli. La cultura si cambia con il linguaggio, con l’educazione ma anche e soprattutto con i fatti, con la realtà quotidiana, con il vissuto. Quello di una società in cui il lavoro di una donna è importante, dignitoso, remunerato quanto quello di un uomo”.

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Il premio è arrivato alla 36esima edizione. Com’è cambiato il contesto in questi anni e come sono cambiati i profili delle donne premiate, se sono cambiate.

“In questi 36 anni, il contesto sociale ed economico è cambiato tanto. Abbiamo premiato donne in ambiti impensabili nell’89 e ogni anno ci sono tante “prime donne”, tante che espugnano roccaforti maschili: la prima Presidente della Corte Costituzionale, la prima Presidente del Senato, le tante inviate di guerra. Oggi, l’eccellenza femminile si manifesta in ogni campo. Tuttavia, ciò che accomuna tutte le vincitrici è la loro capacità di essere innovatrici, di superare barriere e di rappresentare modelli di ispirazione per le nuove generazioni. E la determinazione. In questo senso, penso di aver raggiunto quello che era l’obiettivo che ha originato il Premio: dire alle donne che non esistono obiettivi e traguardi a cui le donne non possano aspirare e che siano loro preclusi, non ci sono ambiti in cui non possiamo eccellere. E il mio più grande orgoglio, la più grande soddisfazione è lo sguardo delle ragazze che oggi sono qui con noi e delle giovani donne che incontro ogni giorno. La loro intraprendenza e determinazione, la loro pretesa di spazio e di voce è quel segnale di speranza che dobbiamo continuare a sostenere, alimentare, incoraggiare. Sono loro il futuro per cui stiamo lavorando e, ne sono certa, non ci deluderanno".

Tra le nuove generazioni di ragazze c’è maggior consapevolezza del proprio talento e quindi, di conseguenza, anche dei limiti che questa società impone loro?

“Sì, c’è sicuramente una maggiore consapevolezza del proprio talento tra le nuove generazioni. Le ragazze di oggi sono più informate, hanno più strumenti a disposizione e sono più determinate nel perseguire i propri obiettivi. Tuttavia, sono anche consapevoli delle sfide che ancora esistono e delle barriere che devono affrontare. Questa consapevolezza è un’arma potente perché permette loro di lottare con maggiore determinazione e di non accettare compromessi che limitino il loro potenziale”.

Oggi più che in passato si parla di parità di genere, in ogni ambito. Secondo lei rischia di diventare solo uno slogan o vede reale impegno di tutti?

“Mi arrogo in parte in merito della sempre maggiore rilevanza che viene data al tema della parità! È un lavoro iniziato 36 anni fa e che ha dato i suoi frutti e sicuramente una tappa fondamentale è stata la legge sulle quote di genere. Quando l’ho presentata, nel 2009, il tema delle pari opportunità si era quasi “estinto”, non era nell’agenda né mediatica né politica. Poi quella grande battaglia per le quote ha risvegliato il dibattito e tanto è seguito. Poi c’è il grande impegno che portiamo avanti da anni con le aziende, che passa anche per il Premio dove ci sono due riconoscimenti riservati alle aziende che si sono distinte nel campo della parità di genere, sia con politiche di sviluppo e promozione delle carriere femminili sia con azioni innovative ed efficaci di welfare aziendale. Il primo, riservato alle Piccole e Medie Imprese è il Premio Women Value Company Intesa Sanpaolo, giunto alla sua 8ª edizione e che ha visto la candidatura di oltre 1.400 aziende. Dedicato alle grandi aziende è invece il Premio Azienda Work Life Balance Friendly, giunto alla 7ª edizione. E poi ci sono i premi alla Neolaureate che ogni anno impegnano tre grandi aziende e che servono, su insegnamento di Marisa bellisario, a spingere le ragazze verso discipline STEM e le aziende ad assumerle! Insomma vedo tanto fermento e sono centinaia le ricerche e studi che dimostrano come la parità sia l’unica strada per una crescita sostenibile. Poi certo ci saranno anche, ma sono poche, le aziende che praticano il pinkwhashing ma sono certa che, come è capitato per le quote, anche loro si troveranno “costrette” a percorrere la strada della parità, l’unica possibile”.

Lella Golfo
Lella Golfo

Come giudica in tal senso il lavoro fatto dalla politica in questi anni a tutela delle opportunità delle donne e cosa manca ancora?

“La politica ha fatto passi avanti significativi. Le quote, la trasparenza salariale, la violenza, la nostra legislazione è molto avanti su questo tema. Il punto poi è mettere a terra i provvedimenti e riuscire a incidere realmente. Credo che la priorità per la politica oggi sia restituire alle donne la libertà di scegliere se diventare madri senza che questo incida sul loro lavoro e sulla loro carriera. Oggi, in Italia, dire sì a un figlio significa dire no alla carriera, rinnegare ambizioni e sacrifici di anni di studio per ripiegare, le più fortunate, in un impiego part time. Ci sono 20 punti di differenza nel tasso di occupazione delle donne senza figli e con figli fino a 6 anni. E i salari lordi annuali sono di quasi 6mila euro inferiori per una mamma lavoratrice. Senza contare che solo 15 bambini su 100 hanno un posto in un asilo pubblico. I bonus sono un primo, fondamentale passo ma non bastano. Servono interventi strutturali che agiscano anche sulla leva economica e da anni oramai noi proponiamo una tassazione differenziata sul lavoro femminile. Servono asili, servizi flessibili e una cultura che guardi alla famiglia come a una risorsa e non una voce di bilancio. Serve lavoro, soprattutto al Sud. In 23 anni l’occupazione femminile è cresciuta di 8 punti percentuali e siamo ultimi in Europa per distribuzione equa delle opportunità sul lavoro. Pnrr e certificazione di genere promettono un balzo in avanti ma vediamo già come nei bandi di gara la quota del 30% di posti riservati a giovani e donne abbia trovato mille eccezioni e scappatoie. Il divario salariale nel settore privato è al 16,5%, se si è manager arriva al 23. C’è ora una legge che obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a stilare relazioni sulla parità, ma qualcuno le ha lette? Perché non renderle oggetto di dibattito pubblico? Perché non innescare una sana competizione tra le aziende sul fronte della parità?”

Le quote rosa, sono uno strumento essenziale o una gabbia in cui si rischia di imprigionare le donne?

“Io le ho sempre chiamate quote di genere e quello che sta succedendo nella Pubblica Amministrazione – dove nei concorsi si è arrivati alla “quote blu” - mi dà ragione. E la metafora della “gabbia” come dei “panda” era l’argomento di chi voleva tenere fuori le donne dai posti di comando. Guardi ho sempre definito le quote come l’antibiotico per guarire un Paese malato di maschilismo. Una medicina che sta funzionando se in 12 anni siamo passati solo nei board delle società quotate dal 5 al 43% di donne. Cosa è accaduto dove le quote non ci sono? Le manager restano il 27% del totale, il 19 con un contratto da dirigente. Nelle aziende non quotate, Presidenti e AD non superano il 12%, nelle quotate va ancora peggio, 4 e 2%. Ai vertici della magistratura, negli Atenei, dove le quote non ci sono le donne faticano ad avanzare. Quindi continuo convintamente a sostenere che le quote aiutano non le donne, ma il sistema a essere più meritocratico e a non tenere fuori la metà dei talenti del Paese”.