Prove Invalsi a scuola: servono o sono fonte di stress?

Fin dal 2008, anno di nascita dell’istituto Invalsi, il dibattito sulla loto utilità non si è mai fermato. Ci sono genitori e insegnanti che addirittura preferiscono la via dello sciopero. Ne parliamo con Barbara Tozzi, pedagogista e docente di scuole primarie

di GUIDO GUIDI GUERRERA
31 maggio 2024

Compiti e prove Invalsi (foto di repertorio)

Non si placa la bufera nel sistema scolastico a causa delle ‘famigerate’ prove Invalsi invise a un gran numero di docenti, studenti e loro famiglie, preoccupate soprattutto del possibile stress cui possono essere sottoposti gli allievi più piccoli. Infatti dal 2008, anno di nascita dell’istituto Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), le polemiche su questa modalità di giudizio del grado di apprendimento degli alunni, dalla seconda elementare alla seconda delle superiori, lungi dall’essersi sopite sono divampate nel tempo con sempre più forza. Un dibattito acceso che anche recentemente ha visto contrapporsi a questo tipo di verifica genitori e insegnanti, che hanno in molti casi preferito la via dello sciopero piuttosto che aderire alle direttive Invalsi, i cui finanziamenti hanno raggiunto i 5 milioni di euro.

La preoccupazione principale è che l’eccessivo peso attribuito a questo tipo di test generi negli studenti ansia da prestazione e da competizione, come sottolineato con chiarezza nel testo di Angelique del Rey ‘La Tirannia della Valutazione’. “Una scuola che da formativa rischia di diventare sempre più sommativa.” Questo è il pericolo ravvisato principalmente dalla docente di scuole primarie Barbara Tozzi. Un’insegnante di lungo corso, laureata in pedagogia e un master sui disturbi specifici dell'apprendimento. Barbara, con alle spalle 25 anni di insegnamento, proviene dal mondo dell’associazionismo nel quale si è occupata di salute mentale, disabilità, educazione all’affettività ed all’alimentazione. Per molti anni ha svolto incarichi di responsabilità nel suo Istituto in qualità di fiduciaria, collaboratrice del dirigente, funzione strumentale sui DSA e referente per il proprio plesso scolastico a Prato riguardo agli alunni stranieri, e relativi rapporti con enti ed associazioni esterne.

Barbara Tozzi, che valore hanno per lei i test Invalsi?

“Per comprendere il valore delle prove Invalsi occorre esaminarle in modo attento e non come una qualsiasi verifica che periodicamente viene svolta nelle nostre classi. Le prove, soprattutto quelle di italiano e di matematica, sono volte a indagare la capacità logica e di ragionamento di bambine e bambini, evitando il nozionismo tipico della valutazione sommativa. Le risposte che si cercano sono quindi sempre inferenziali, da rintracciare nei testi dopo un lavoro di decodifica e di ricerca accurata.”

Insegnare ai bambini delle primarie è di per sé un impegno e implica responsabilità: rispettare determinati protocolli è a suo giudizio fondamentale per una corretta didattica?

“Sicuramente uno dei guai della scuola è rappresentato dagli innumerevoli impegni burocratici che spesso demotivano l’agire quotidiano e in un certo senso rallentano la nostra azione docente, mentre solo di rado forniscono spunti per una nuova didattica. Anni fa ho partecipato ad un aggiornamento Invalsi nel corso del quale la relatrice non mancò di evidenziare come l’istituto avesse un ruolo di ricerca e di promozione ma non di verifica di abilità scolastiche. Le Invalsi quindi non valutano gli alunni e le alunne, ma il sistema scolastico e il suo svilupparsi nelle classi.”

La maestra Barbara Tozzi
La maestra Barbara Tozzi

Che atteggiamento hanno i bambini della sua scuola nei confronti di simili prove?

“Molto dipende da come sono presentate: personalmente preferisco non caricare troppo gli alunni di aspettative, per non creare inutili ansie. Ormai le prove sono diventate una norma e tutti sanno che ci sono. Noi insegnanti diciamo loro che il Ministero valuterà soprattutto le maestre, perché i voti li daranno a noi anche se saranno loro a sbagliare. Questo in genere li rilassa e li fa divertire molto.”

E i genitori vedono la cosa con favore?

“Anche qui vale quanto detto sopra. I genitori chiedono, si informano e in base a quello che viene detto loro si fanno delle opinioni. In questa direzione vengono organizzati dei sussidi in grado di abituare gli alunni alle prove e che i genitori possono sempre controllare. Può capitare, ed è capitato, che qualche genitore nei giorni dedicati alle prove non mandi a scuola i propri figli per paura di eventuali situazioni stressanti. In realtà nei giorni successivi la prima cosa spesso raccontata da bambine e bambini è che è stato tutto molto facile.”

Molti tra i suoi colleghi e una cospicua parte di genitori temono che i piccoli studenti siano costretti a sopportare uno stress da prova che potrebbe nuocere loro. Qual è il suo punto di vista?

“Personalmente ricordo bene quando si facevano gli esami di quinta elementare: una situazione che, almeno in teoria, era molto più stressante. Sono ovviamente al corrente del disagio generale e di quei colleghi che scioperano nel giorno delle prove, cosa più che legittima. Tuttavia nei miei lunghi anni di insegnamento non ho riscontrato situazioni come quelle raccontate, forse perché considero quei test alla stregua di una specie di fotografia di classe in grado di fornire un numero di dati da analizzare assieme.”

In che modo si muove il ministero dell’istruzione in punto di privacy e quali misure vengono adottate per non discriminare alunni portatori di deficit o che provengono da altri paesi e sono in attesa di integrazione?

“Le prove sono “anonime” nel senso che non riportano il nome e cognome degli alunni, ma un codice meccanografico. Per quanto riguarda soggetti con ‘Bisogni Educativi Speciali’, se si è in possesso di una certificazione o una diagnosi è possibile procedere in vari modi. Nei casi di una diagnosi di disabilità si può fare ricorso a un PEI, cioè un piano educativo individualizzato, grazie al quale i docenti di classe possono decidere di predisporre specifici adattamenti oppure optare per dispensare gli alunni da una o più prove.”

Per concludere, cosa serve davvero perché la scuola ricominci a funzionare davvero?

“Stabilità, formazione ed investimenti seri. Non è possibile che ad ogni cambio di governo torni tutto in discussione. Le Indicazioni Nazionali sono e restano un documento fondamentale per la scuola a partire dal primo ciclo: mentre adesso si parla di rivederle in un'ottica che spaventa molti docenti, considerando anche il fatto che la commissione incaricata è composta solo da professori universitari. Si è fatta quindi pressante la richiesta al ministro di prevedere contributi da parte di tutte le componenti del sistema scolastico. Staremo a vedere. Per ora attendiamo l'ordinanza in grado di modificare nuovamente il sistema di valutazione in vigore da qualche anno. Innanzitutto sembra indispensabile, a mio giudizio, reintrodurre una valutazione formativa e non sommativa , così come dovremmo attenderci da una scuola efficiente e veramente aggiornata.”