Pari trattamento indipendentemente dal genere, con la possibilità di partecipare a ogni attività (che sia lavorativa, sociale o di qualsiasi altro genere) senza alcun ostacolo che si basi su una discriminazione. Quando si parla di parità tra i sessi spesso lo si fa per denunciare l’assenza di questo equilibrio, le diseguaglianze ai danni, nel 99% dei casi, delle donne.
Ma c'è chi, in azienda, l'ha realizzata non solo a parole, ma anche con i fatti. Stiamo parlando di Paramount Global Italia, leader globale nel settore dei media e dell'intrattenimento e uno dei primi player del settore, che ha ottenuto questa preziosa certificazione. Assegnata da Bureau Veritas Italia, in conformità alla prassi UNI/PdR 125:2022, questo riconoscimento sancisce l'impegno della media company nella promozione di una cultura inclusiva, che considera diversità, equità e inclusione pilastri fondamentali del proprio percorso aziendale.
La certificazione non è però un qualcosa che si ottiene da un giorno all'altro, piuttosto il risultato di anni di dedizione e investimenti in iniziative di Diversity & Inclusion (D&I) canalizzati in un percorso strutturato che ha coinvolto l'intero ecosistema Paramount Italia ed articolato in sei aree fondamentali. In primis l’azienda promuove l'equilibrio tra vita privata e vita professionale, favorendo una cultura organizzativa inclusiva e flessibile. Sostiene la genitorialità, attraverso specifiche politiche, e l'equità salariale, contando su una rappresentanza equilibrata nei ruoli di vertice e negli organi decisionali.
Infine, si impegna in modo consistente nel garantire parità di genere nei processi di reclutamento e nelle opportunità di carriera, ad integrare la dimensione di genere nelle attività di ricerca e nei programmi formativi, e a contrastare la violenza di genere, incluse le molestie sessuali. Di questo lungo percorso e della difficoltà nel rendere un prodotto mediale dove tutti possono rispecchiarsi senza rimanere esclusi, ce ne parla Francesca Vismara, senior director HR, Italy, Middle East, Spain & Portugal, che a Luce! ha svelato anche i prossimi obiettivi dell'azienda.
La Certificazione di Parità di Genere
Siete uno dei primi player del proprio settore a ottenere la Certificazione di Parità di Genere in Italia. Quanto è stato difficile il percorso?
“Noi l’abbiamo vista come un'opportunità che andava a metterci in gioco rispetto a quello che già era il nostro impegno, in modo particolare sulla parità di genere, ma anche nella Diversity & Inclusion in generale, che è uno dei cardini di priorità che l'azienda ha a livello globale. Il nostro impegno italiano non è un'iniziativa semplicemente locale, ma si pone sulla scia di quello che è l'impegno dell'azienda (sia internamente che esternamente) rispetto a determinate tematiche.
Volevamo fare un passo in più che potesse mettere in luce tutte le emozioni e tutte le attività che abbiamo messo in atto in questi anni. In che modo? Mettendo a sistema le iniziative preesistenti in un framework riconoscibile e replicabile. Volevamo influenzare positivamente tutto il mercato e far vedere quanto concretamente, non solo a progetti e a comunicati, il nostro impegno sia costante e duraturo. E poterlo condividere in modo concreto, con un processo riconosciuto, ci sembrava un buon punto di partenza perché noi siamo sempre in discussione. Non pensiamo che ci sia un punto d'arrivo”.
Veniamo adesso ai vostri canali e alle vostre piattaforme streaming. Quanto è complicato, al giorno d'oggi, rendere un prodotto dove tutti possono rispecchiarsi senza rimanere esclusi?
“Sicuramente al momento abbiamo molte più possibilità di farlo, perché i canali sono variegati, ci sono tantissime opportunità. Al giorno d'oggi siamo facilitati nell’essere promotori. Poi è chiaro che ci vuole uno sforzo, ci vuole una condivisione di quelli che sono gli obiettivi anche nei vertici aziendali. Tutti devono avere chiaro in che direzione vogliamo andare e come vogliamo farlo. Le principali sfide? La necessità di mettere in dubbio dogmi passati, superare le barriere culturali, ma anche riuscire a creare una formula inclusiva valida per un pubblico globale.
Come abbiamo fatto? Abbiamo coinvolto team eterogenei che ci garantissero una pluralità di visioni e sensibilità, ma abbiamo anche creato dei contenuti autentici e inclusivi che rispecchiassero la realtà di chi li fruisce.
Facciamo qualche esempio. Abbiamo la piattaforma Pluto Tv dove c’è un canale, Pride Tv, dedicato alla comunità Lgbt+ che gira 24 ore al giorno. Poi abbiamo diverse iniziative interne tipo Content for Change, che si basa sull'idea di lavorare su dei contenuti che devono rappresentare le comunità sottorappresentate. Un'altra iniziativa è No Diversity, No Commission, lanciata nel 2020, dove l'obiettivo è che tutta la condivisione di contenuti rispetti dei parametri di D&I. Ma ce ne sono anche altri come A casa dei Loud dove viene rappresentata una famiglia con due padri. Quindi prodotti dove cerchiamo di rappresentare tutti, compresi quei bambini che non hanno una famiglia, tra virgolette, tradizionale. Vogliamo che tutti possono, attraverso i nostri contenuti, sentirsi rappresentati e non per forza incasellati in qualche standard di correttezza e normalità che non esiste”.
Tutela e inclusività: le differenze tra l'Italia e i Paesi Europei
Quali sono le principali differenze nella tutela e nell'inclusività del lavoratore e dello spettatore tra i paesi Europei e l’Italia?
“Differenze ce ne sono. Il nostro obiettivo come HR è quello di renderci conto della cultura del Paese dove lavoriamo, del suo contesto, della sua storia ma anche di come il gruppo può fare la differenza. A livello dei Paesi che io seguo, le normative locali sono presenti ma non sono totalmente vincolanti. Nel Middle East ad esempio c'è una legge dove è importante garantire che in una stessa posizione siano considerati nello stesso modo uomini e donne. Però è chiaro che bisogna fare i conti con la cultura del momento.
Noi comunque andiamo sempre oltre quella che è la normativa perché non è quello che ci blocca. Il nostro obiettivo è quello di fare dei progetti globali che arrivino in tutti i paesi nel modo corretto. Devo dire che essendo parte di un gruppo c'è tanto stimolo e si tende ad avere dei progetti globali. Faccio un esempio: abbiamo fatto un'iniziativa che riprendeva la visione di una serie chiamata In Bloom che raccontava storie di donne che affrontano delle questioni cruciali come matrimonio infantile, violenza di genere, con l'obiettivo di offrire quest'ultima come momento di spunto e conversazione. E’ chiaro che comunque prima di lanciare un contenuto si parla con i capi dei paesi e si cerca di capire come può essere implementata e cosa ne pensano“.
Cosa direbbe ad una azienda che non investe in iniziative di Diversity & Inclusion?
“Innanzitutto, penso che sia una responsabilità di tutti. Tante persone dicono ‘non investiamo perché non ce ne è bisogno’. In realtà la storia ci insegna che su certe tematiche è importante avere un impegno concreto. Penso che sia responsabilità delle aziende avere una rappresentanza, ma anche una diversità proprio in termini di opportunità di business. Abbiamo fatto da poco un workshop sulla disabilità dove abbiamo parlato di quanto queste persone possono portare valore. Il motivo? Semplicemente perché la diversità porta delle cose che altrimenti non si vedrebbero, a leggere necessità che non si leggerebbero.
Banalmente anche per lo sviluppo di un prodotto. Se tutte le persone che fanno parte di quest'ultimo hanno la stessa cultura, le stesse caratteristiche fisiche, quel prodotto potrebbe non funzionare per uno con caratteristiche diverse. È una questione di opportunità di business, ma è anche una questione etica perché comunque i passi avanti che si sono fatti su quelle tematiche è grazie ad un impegno concreto. E penso anche che i mezzi che abbiamo oggi ci consentono di farlo in modo più facile rispetto al passato dove magari c'era solo la carta stampata e si doveva seguire per forza quel filone”.
Uno sguardo al futuro
Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
“L'obiettivo è quello di continuare a coinvolgere i nostri dipendenti perché pensiamo che tutti devono essere attivi in questo percorso che non è top-down, ma è un percorso che arriva dall’ascolto dell’azienda verso le esigenze. Dobbiamo comunque continuare a lavorare con i nostri ERG locali perché sono un punto di contatto sia con il contesto socio culturale sia con il contesto aziendale interno per capire quali possano essere le priorità. Dobbiamo cercare di far sì che questa iniziativa possa essere da spunto per gli altri paesi. Ma allo stesso tempo continuare con il percorso di inclusività con un focus sulle diversità di orientamento sessuale e credo religioso, che all’apparenza rientrano nella sfera privata e magari meno conosciuta dell’individuo. Infine, creare un ambiente di lavoro aperto e costruttivo per favorire la libera espressione delle diversità”.