Junior (superficiali) vs Senior (retrogradi): quando gli stereotipi minacciano il lavoro

Entro il 2031 un lavoratore su quattro avrà più di 55 anni, ma solo il 4% delle aziende ha attivato programmi per facilitare le relazioni tra le generazioni. Eppure la convivenza in ufficio non solo è possibile ma anche fruttuosa

di MAURIZIO COSTANZO
20 giugno 2024

Dialogo generazionale sul posto di lavoro (foto di repertorio)

È lo stereotipo la minaccia più grande sul lavoro per la Gen Z e per i lavoratori senior. E naturalmente non fa bene a loro e non fa bene alle aziende. Sia giovani che lavoratori più anziani pagano infatti sul lavoro preconcetti che vogliono gli uni poco disponibili a prendersi responsabilità, con nessuna propensione alla leadership, e gli altri poco creativi e innovativi e senza nessuna capacità di aprirsi alle novità. Uno stereotipo che non fa che accrescere le differenze tra generazioni e le difficoltà di integrazione, impoverendo le aziende.

Eppure la convivenza in ufficio non solo è possibile ma sarebbe anche generativa di maggiore produttività ed efficacia, per entrambe le categorie di lavoratori. I dati dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed, che monitora gli oltre 70.000 partecipanti alla piattaforma Lifeed, rivelano infatti che a causa di questi stereotipi, le imprese “lasciano a casa” il 70% di competenze che le persone allenano ed esprimono nella vita privata e rimane nascosto sul luogo di lavoro.

I dati della ricerca

Secondo i dati analizzati, ad esempio, i lavoratori over 50 sviluppano le proprie competenze di innovazione nell’esperienza genitoriale e nella gestione del percorso scolastico dei propri figli (7 partecipanti su 10). Anche il caregiving e l’essere figlio prendendosi cura di un genitore durante una malattia, rappresenta per il 56% dei più anziani una vera e propria palestra di competenze di innovazione, come la flessibilità e la gestione del rischio.

I giovani, d’altra parte, hanno sviluppato competenze di leadership durante diverse transizioni di vita, tra cui la nascita di un figlio (vissuta da circa 6 partecipanti alla ricerca su 10) e la malattia o la perdita di un genitore (vissuta da 1 partecipante su 4). Ma tutto ciò resta fuori da quelle aziende che si limitano a vedere il ruolo professionale e non quelli privati delle loro risorse.

“Si pensa che i giovani non abbiamo capacità di leadership e i lavoratori senior non sappiano essere creativi ed innovativi. Questo è il preconcetto che tiene bloccate le competenze soft che le persone allenano nella vita privata: competenze di leadership come il problem solving, il lavoro di squadra e l’attitudine a motivare, si allenano su un campo di calcetto, nell’organizzare le vacanze con gli amici, nel progettare un matrimonio o un trasloco. Tutte cose che i giovani fanno quotidianamente, semplicemente vivendo. Allo stesso modo, incastrare le agende di medici e genitori anziani, occuparsi dei pomeriggi dei figli, avere un hobby per i lavoratori più anziani rappresentano palestre di creatività e innovazione enormi. Dai dati emerge un potenziale di competenze complementari tra le generazioni" afferma Martina Borsato, responsabile Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed.

La prospettiva

Entro il 2031 i lavoratori con più di 55 anni supereranno un quarto dell’intera forza lavoro nei Paesi del G7, è quindi indispensabile abbattere gli stereotipi legati all’età che interferiscono con l’espressione del pieno potenziale di queste persone. Lavoratori senior e giovani, infatti, sono più simili di quanto si immagini, con competenze uniche e complementari che devono essere integrate sul lavoro. È questo il cuore pulsante dell'age diversity, un tesoro ancora largamente sottovalutato dalle aziende.

“In un mondo del lavoro sempre più dinamico – spiega Chiara Bacilieri, responsabile Innovazione di Lifeed  – la diversità generazionale diventa un motore di innovazione fondamentale per la crescita delle imprese. Favorire lo scambio di conoscenze e prospettive tra generazioni non è solo una scelta strategica, ma una competenza aziendale imprescindibile per mantenere alto il coinvolgimento delle persone, gestire i cambiamenti e rimanere competitive. Per valorizzare l’enorme potenziale dell’age diversity, ci sono alcune buone pratiche: percorsi di formazione che coinvolgano sia i giovani che i senior per apprendere reciprocamente, abilitare i giovani a condividere nuove metodologie di lavoro e nuovi modelli di leadership, mentre i senior trasmettono le strategie acquisite nel corso della loro carriera. Il dialogo tra generazioni è una priorità per il successo delle aziende, ma anche per il progresso sociale. Il futuro è multigenerazionale”.