Il regista esule Rasoulof sfila a Cannes con le foto degli attori bloccati in Iran. “Nelle prigioni iraniane cose tremende”

Missagh Zareh e Soheila Golestani, i due protagonisti de “Il seme del fico sacro”, non potevano lasciare il Paese per andare a Cannes, alla presentazione del film. Il regista li ha portati con sé in foto, attirando l’attenzione sulla linea repressiva del regime

24 maggio 2024
FRANCE CANNES FILM FESTIVAL 2024

FRANCE CANNES FILM FESTIVAL 2024

La protesta sul red carpet continua. Questa volta ad attirare l’attenzione su di sé e su una determinata battaglia politica, sociale è stato il regista Mohammad Rasoulof che al festival di Cannes ha sfilato con le immagini degli attori che non posso lasciare l'Iran.

Per Il seme del fico sacro, in anteprima mondiale oggi a Cannes, Rasoulof, fuggito dal suo paese in Europa dopo una condanna a otto anni di carcere e a fustigazione per collusione contro la sicurezza nazionale, ha fatto la Montee des Marches al Grand Theatre Lumiere tenendo in mano le immagini dei suoi attori che non hanno potuto accompagnare il film, né lasciare il paese: Missagh Zareh e Soheila Golestani, i due protagonisti principali. Con Rasoulof, che attira così l'attenzione internazionale sul regime del suo paese, non senza ulteriori pericoli per sé stesso, c'era Golshifteh Farahani, l'attrice iraniana naturalizzata francese.

"Non volevo tornare in prigione. Ci sono già andato. Sono stato in isolamento per quaranta giorni in una stanza grande come un divano. Poi in celle appena più grandi. Nessuna tortura fisica - evitano con le persone che hanno accesso ai media -, ma altre cose tremende le fanno, come non lasciarti andare in bagno per ore, il che significa che non osi più mangiare né bere...”.

Ha raccontato Rasoulof a Le Monde i motivi della sua fuga dall'Iran dove era stato condannato a otto anni, "Poi - dice ancora il regista a Le Monde - ho conosciuto anche le prigioni dove sei quasi libero di circolare. Ho visto cose allucinanti lì. Ladri a cui erano state tagliate le dita perché è la pena prevista dalla legge islamica. Subito dopo mandano i condannati in ospedale per farle trapiantare. Perché, se l'Islam ha detto che devono essere tagliate, non ha detto però che non possano essere incollate. Sono rimandati in prigione con i loro trapianti. Alcuni interventi riescono, altri, no. Sono tutti lì con i loro cerotti...”