Ho fatto coming out molto dopo rispetto al raggiungimento della mia consapevolezza. Era il 2019 quando l’ho detto ai miei amici e alla mia famiglia, avevo 21 anni. Mi sono preso il mio tempo, nonostante sapessi che per molti di loro non sarebbe stato un problema, ma avevo una paura tremenda di non essere più considerato come prima. E invece quello è stato il momento in cui mi sono sentito veramente vivo, finalmente libero.
Non è stato semplice, ho avuto qualche difficoltà e ci sono stati momenti in cui ho ricevuto un outing che, devo dire, mi ha fatto molto comodo. Con alcuni la cosa è diventata “normale”, con altri si evita semplicemente di parlarne, non mi sento giudicato e alla fin fine, forse, va bene così.
La mia è una famiglia di origine contadina. Una di quelle cresciute con l’idea che essere gay è strano. Storia di periferia come tante altre, dove l'omosessualità, se c'è, è tollerata, difficilmente condannata. Non sono mancate le ironie e le battute sboccate che hanno accompagnato anche la mia infanzia; ricordo che a catechismo mi capitava spesso di assistere ad una normalizzazione dell’omofobia, ad una narrazione banalizzante di un fenomeno che banale non è mai stato. E sempre nel mondo cattolico mi sono dovuto imbattere anche con un mio grande amico, al quale sono vicino tutt'ora. Ecco con lui, forse, è stato il mio coming out più difficile.
Ricordo ancora quel giorno. Lo avevo detto quasi a tutti e da tempo mi chiedevo: come posso dirglielo? Intorno a un tavolo, in una circostanza conviviale, ho pensato fosse il modo più giusto. Così ci diamo appuntamento in un ristorante brasiliano e mi faccio accompagnare da un’amica in comune. Mi serviva una spalla. Avevo l'ansia perché conoscevo il suo pensiero, le idee dei suoi genitori, ovvero: che “i gay sono di moda”, che “l’omosessualità è una scelta”, “che “esiste una lobby gay dello star system” etc…
Se avessi aspettato il momento giusto probabilmente sarei arrivato a fine cena senza dire nulla e la mia amica lo sapeva, così ci ha pensato lei a togliermi dall’imbarazzo (se così si può dire) lanciandomi subito il segnale concordato. Neppure il tempo di sederci che lei dice: “vado in bagno”. Spiazzato, penso e dico alta voce: “No, non così”. Ma ormai è tardi, lei è già scomparsa tra i tavoli. Così trovo il coraggio e senza troppi giri di parole gli dico: “Sono gay”. Lui rimane impietrito e per cinque minuti di fila mi chiede: "Stai scherzando?". Quando la nostra amica torna al tavolo, lui è ancora lì che ripete quella domanda, come un disco rotto, salvo poi sbloccarsi.
Oggi posso dire senza alcun dubbio che la nostra amicizia non è cambiata affatto. Certo, lui è rimasto delle sue idee, anche se non sono più quelle retrograde di un tempo, e capita di discutere su certi temi, ma so di poter contare su di lui.
Se mi guardo indietro, non so come ho fatto a resistere per tanti anni, senza parlarne, senza dirlo a nessuno. Tornassi indietro non aspetterei così tanto, ma col senno di poi, si sa, è tutto più facile..