La tragica morte di Mahsa Amini, la ragazza curda uccisa nel corso di cosiddette ‘lezioni di moralità’, ha aperto un terribile vaso di Pandora nel cuore devastato di Saghar Khaleghpour, iraniana di origini ma nata a Milano. Mostrando grande coraggio ed esponendosi senza paura, la giovane donna ha da sempre voluto denunciare i crimini del governo degli Ayatollah, tentando di sensibilizzare in ogni modo possibile l’opinione pubblica con gli strumenti offerti dai social media.
Adesso, con l’aiuto di Lelio Bonaccorso, uno dei più famosi illustratori del nostro panorama fumettistico, Saghar si rivela autrice della graphic novel “La mia seconda generazione" (Ed. Feltrinelli) in cui racconta di sé, del proprio vissuto in Italia e del suo innegabile senso di appartenenza alla sua Persia, meravigliosa e al tempo stesso così devastata dalla furia di un regime cieco in tutta la sua medievale crudeltà. Così in questo suo primo lavoro, magnificamente illustrato dalla matita sapiente di Bonaccorso, l’autrice rende omaggio alla sfortunata ventiduenne torturata a morte perché una ciocca di capelli le era sfuggita dal velo obbligatorio, inanellando ricordi personali in un percorso interiore che guardano verso quella terra tanto amata e al contempo temuta. E lei, appartenente a quella ‘seconda generazione’ che ha imparato a osservare il mondo con gli occhi di una donna libera, cerca risposte difficili a quesiti il più delle volte assurdi perché privi di autentica logica, se non quella del potere. Le sue idee hanno trovato sempre un’alleata nella madre, convinta come lei che le cose cambieranno, perché qualcosa sta già cambiando: entrambe schierate contro lo scetticismo del papà molto meno ottimista sul futuro dell’Iran.
Parole e disegni fanno intuire in modo compiuto il mondo di Saghar fondendosi in modo efficace in questo testo per destare trasalimento e indignazione, pietà e rabbia. Gli stessi sentimenti che gli autori devono aver provato con tale intensità e autenticità da farli entrare nel cerchio empatico di una condivisione collettiva, specialmente quando vengono toccate le delicate corde della condizione delle donne, preoccupante non solo nelle regioni dominate dall’Islam. Saghar racconta senza mezzi termini la cruda realtà del suo Paese, ma come per benefico processo catartico a tratti la nostalgia dei ricordi si tinge di poesia e mitiga in qualche misura l’orrore che non potrà mai essere, in nome di nessun Dio, né assolto, né perdonato.
L’intervista
Chi è Saghar?
“Mi chiamo Saghar e sono un'italiana di seconda generazione con origini persiane. Sono l'autrice di una graphic novel autobiografica che si intitola, appunto ‘La Mia Seconda Generazione’ ed è il primo libro che ho scritto.”
Cosa l’ha spinta a scrivere questa sua graphic novel?
"Scrivo da molti anni sul web le mie impressioni, parlo di quello che vedo e di quello che spesso mi fa soffrire. Stavo già scrivendo da lungo tempo la cronaca di quello che succede in Iran con degli approfondimenti per chi non conosce bene la cultura persiana moderna. Mettendo assieme le idee, io e Lelio Bonaccorso abbiamo pensato di creare un progetto narrativo e grafic: così è nata la graphic novel che dal mese di luglio sarà in vendita in tutte le librerie".
E’ soprattutto un omaggio a Mahsa, una ragazza come lei che ha perso la vita…
“In primis parlo della mia storia e poi in memoria di Mahsa e di tutti coloro che hanno perso la vita per la libertà. L'interruzione della sua vita da parte delle forze iraniane ha cambiato in modo irreparabile le vite di molte persone. Sicuramente Mahsa ha fatto riflettere tutti noi a lungo, una riflessione che parte della condizione della donna alla lotta ai totalitarismi. Ho grandissimo rispetto per lei e per tutte le donne che continuano ad essere vittime della crudeltà del regime. Da parte mia ho cercato di far capire come nel mondo d'oggi molte cose siano connesse tra di loro. Eventi che ci sembrano lontanissimi possono incidere anche sulle nostre esistenze in occidente.”
Quali riflessi la tragedia di Mahsa Amini ha avuto sulle sue vicende personali?
“Dalla morte di Mahsa Amini c'è stata una mobilitazione internazionale di persone, sono state organizzate tantissime manifestazioni a cui anche io ho partecipato. Sicuramente la sua morte ha fatto esplodere qualcosa nelle coscienze delle persone. Non è facile parlare in un regime, ma in Iran i giovani sono stati molto coraggiosi e hanno abbattuto il muro del silenzio portando tutti noi a un nuovo livello di consapevolezza. Prima di quel momento la maggior parte delle persone non parlava davanti a tragedie del genere, oggi anche gli iraniani all'estero criticano a volto scoperto il regime e questo ha inciso molto sulle mie vicende personali.”
Lei è italiana e sostiene di non voler rinnegare le sue radici iraniane…
“Sono nata e cresciuta in Italia e mi sento italiana, ma con un pezzo di cultura in più. Avere delle origini straniere mi ha arricchito: è come se io anziché partire con una sola valigia nel viaggio della vita, ne portassi due con me. Trovo che questo sia un aspetto molto interessante che accomuna tutti i giovani che come nel mio caso hanno dei genitori stranieri.”
La condizione della donna che descrive nel suo libro è solo quella del mondo islamico o chiama in causa situazioni irrisolte anche nel nostro Occidente?
“Non esiste solo il mondo islamico e solo il mondo occidentale, in un mondo come il nostro tutte le cose sono collegate. Esempio: manifestanti iraniani a Londra vengono picchiati perché protestano contro il regime di Teheran. Non è fantascienza, succede vicino a noi. La condizione della donna va migliorata in tutti i Paesi a partire dall’Italia dove i problemi sono molti ed evidenti con donne che tutti i giorni perdono la vita proprio all'interno dei nuclei famigliari, che dovrebbero essere invece sinonimo di protezione.”
Lei parla con i suoi genitori il parsi e l’italiano. Condividete anche le stesse idee?
“Parliamo entrambe le lingue ma non sempre, com’è normale, condividiamo le stesse idee. Sulla situazione iraniana mio padre è molto scettico e pensa che questo regime non andrà mai via spontaneamente. Al contrario, io e mia madre siamo sicure che nessuna repressione per quanto forte potrà fermare il cambiamento che in qualche maniera è già in atto, perché qualcosa è effettivamente già cambiato.”
Le viene mai voglia qualche volta di tornare in Iran?
“Certo, ci tornerei volentieri e anche spesso se non ci fosse una dittatura. Questo regime ha rubato molte cose a tantissime persone. Ad esempio non ho potuto godere della presenza dei miei nonni e nemmeno andare ai loro funerali. Nel libro parlo di mia zia Nadia e di come mi fosse impossibile starle accanto proprio quando, prossima alla morte, ne avrebbe avuto bisogno. Ho sempre vissuto tutto a distanza e questo mi dispiace. Un paese ricco di cultura, di arte e di storia ridotto nelle peggiori condizioni immaginabili e che impedisce nei fatti a milioni di persone residenti all'estero di poter fare ritorno.”
Quale futuro immagina per quel suo Paese di origine?
“Con ingenuità mi auguro ancora che un giorno in Iran possa esserci una solida democrazia. E che più di un secolo di morti per la libertà possa un giorno servire a ripagare un popolo oppresso.”
Bonaccorso: "Mi ha colpito il suo coraggio”
Da parte sua, il fumettista messinese Lelio Bonaccorso sempre sensibile alle tematiche sociali e particolarmente impegnato nel recupero della memoria smarrita della sua città, spiega le ragioni che lo hanno mosso a condividere il dramma di Saghar e di tanti iraniani oppressi dal sistema.
Lelio, lei ha illustrato già diverse graphic novel. In che modo l’ha emozionato il lavoro di Saghar?
“Quello che mi ha colpito di più e mi ha spinto verso questa nuova sfida sono stati i rischi a cui Salghar si è esposta iniziando a pubblicare le storie personali e della sua terra su Instagram, da qui è partita questa nostra collaborazione.”
Qual è ‘la striscia’ che ha illustrato con più partecipazione ma anche con un certo disagio….
“Sicuramente la scena più difficile e dura da rappresentare è stata quella della morte di Mahsa, perché quando stai lavorando sulla realtà cruda tutto diventa fatalmente troppo coinvolgente.”
A un certo punto un suo disegno racconta la distruzione dei libri da parte del regime iraniano. Può esserci amore per la cultura incenerendo il passato?
“I roghi dei libri ricordano sempre momenti assai tristi della nostra storia umana. Credo che pretendere di cancellare il passato sia una delle caratteristiche imprescindibili di qualsiasi regime dittatoriale, la sua aberrante cifra identificativa.”
Nella sua dedica pensa ai tanti giovani che ancora lottano per la libertà in un posto del mondo dove invocarla equivale a rischiare la vita. C’è speranza?
“La speranza c’è e ci deve essere sempre, guai se non fosse così! Nell’eterna lotta tra bene e male dobbiamo confidare in noi e nelle nostre risorse proprio quando stiamo vivendo situazioni instabili. Sperare significa credere, attingendo alla nostra forza interiore, in una sorta di decreto superiore che pur nell’apparente assenza di linearità della nostra esistenza non tarderà a darci la risposta giusta. E’ vero, stiamo vivendo momenti difficili e ci sono situazioni nel mondo che destano grande preoccupazione, ma tutto questo può essere trasformato in fermento e promessa di una nuova forma di progresso, può costituire la spinta necessaria a portarci verso una mondo migliore.”