Il coraggio di Rasoulof e il film-denuncia contro il regime iraniano

Premiato a Cannes con un riconoscimento speciale proprio per la forza di ciò che il fim, che prende le mosse dalle proteste dopo la morta di Mahsa Amini, racconta. Ma alcuni media iraniani lo hanno attaccato duramente

di GIOVANNI BOGANI -
27 maggio 2024
TOPSHOT-FRANCE-FILM-FESTIVAL-CANNES

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Lo hanno premiato, a Cannes, con un premio speciale. Qualcosa che mette in evidenza l’eccezionalità della sua vicenda, ma forse – in qualche modo – lo mette “a lato” rispetto agli altri film, come se la giuria presieduta da Greta Gerwig si fosse voluta smarcare da un vero giudizio sul film. L’applauso del Grand Théatre Lumière a quest’uomo coraggioso, che con il suo film punta il dito sulle violenze della Repubblica islamica dell’Iran, non finiva più. Ma non si pensi che fosse solo un applauso “politico”. Il film di Mohammad Rasoulof, regista iraniano esule, è veramente bello.

“Il seme del fico sacro” prende le mosse dalle proteste sorte in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza curda arrestata dalla “polizia morale” iraniana perché non indossava il velo in modo non corretto. Nel film vediamo le proteste, vediamo veri filmati delle violenze della polizia sui manifestanti: e la storia si infila dentro le pieghe – e le piaghe – della società iraniana, con un padre nominato giudice istruttore che si trova a firmare condanne a morte sommari, con due figlie adolescenti che finiscono “interrogate” da un collega del padre, con una loro amica che vede la sua voglia di libertà repressa nel modo più violento. Girato con un naturalismo accurato, minuzioso, il film di Raoulof mette la stessa attenzione nel filmare la preparazione di una cena, con la madre e le due figlie che tagliano la verdura o scolano il riso, così come nel filmare la crescente ossessione del padre, il suo sospettare di tutto e di tutti, simbolo evidente della deriva paranoica del paese.

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La dedica agli attori e colleghi trattenuti in Iran

Rasoulof ha accolto il premio con un discorso molto preciso, e molto duro. “Sono felice per questo premio. Ma il mio pensiero va agli attori e ai membri della troupe che non sono qui con me, trattenuti in Iran sotto la pressione dei servizi segreti della Repubblica islamica. Sono triste per la catastrofe che sta vivendo il mio paese, preso in ostaggio da un regime totalitario. Ci sono artisti condannati a morte in ragione della propria arte: non permettete che la Repubblica islamica tratti così il popolo iraniano!”, ha detto Rasoulof. Lui, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino nel 2020 con “Il male non esiste”, è fuggito due settimane fa dal suo paese amatissimo. Il tribunale della Repubblica islamica lo aveva condannato a otto anni di carcere, alla confisca di tutte le sue proprietà e alla fustigazione. Per non parlare dell’interdizione a realizzare film, la “colpa” primaria di Rasoulof. Lui ha scelto il 13 maggio di attraversare clandestinamente il confine, a piedi, e di “lasciare l’Iran geografico per abbracciare l’Iran nel mondo, l’Iran della cultura e dei cuori”.

Naturalmente, la stampa iraniana si è scatenata contro di lui e anche contro Cannes. “Rassoulof, questo cineasta pro-occidentale i cui film mostrano un Iran affondato nel buio, ha voltato le spalle al suo paese per diventare il beniamino del festival politico/cinematografico di Cannes”, scrive Iran Newspaper, pubblicazione governativa.

FRANCE CANNES FILM FESTIVAL 2024
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La reazione della stampa iraniana

Nel corso della sua carriera, Rasoulof ha realizzato la quasi totalità delle sue opere senza autorizzazione governativa a girare. E ha sempre affrontato soggetti tabù: l’assassinio di intellettuali da parte della polizia segreta (“I manoscritti non bruciano”, 2013), la corruzione (“Un uomo integro”, 2017) o la pena di morte (“Il male non esiste”, 2020, Orso d’oro a Berlino). “Iran Newspaper” si scaglia contro di lui: “In tutti i suoi film ha direttamente o indirettamente umiliato la Repubblica islamica col suo sguardo distruttore”.

E ce n’è anche per Cannes: “I festival come Cannes e gli Oscar sono sostenuti finanziariamente e politicamente dai dirigenti dei loro paesi, e non indirizzano lodi che ai film che servono agli obiettivi di questi ultimi”. E continua: “Rasoulof è stato ingannato dal glamour e dai falsi slogan occidentali ed è diventato il loro portavoce”. Un altro media, Hamshahri, lo accusa di avere “venduto il suo paese all’Occidente”.

Per i media di opposizione, è tutt’altro discorso. “Rasoulof ha deciso di combattere la tirannia attraverso il cinema, dall’Europa”, scrive “Iran International”, un media di opposizione con sede a Londra. Il destino di Rasoulof ricorda quello dell’altro celebre cineasta iraniano, Jafar Panahi: i due amici e colleghi erano stati arrestati già nel 2009, per aver sostenuto il “movimento verde” che contestava Ahmadinejad.

Panahi, Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia e Orso d’argento a Berlino, è stato più volte arrestato. Nel 2010 è stato condannato a sei anni di prigione, gli è stato vietato di dirigere film, e anche di concedere interviste. È stato arrestato di nuovo nel 2022, per essere scarcerato solo nel febbraio 2023.