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Violenza ostetrica: quando il parto si trasforma in un trauma

In vista della Giornata mondiale della Salute mentale materna, la psicoterapeuta Perris lancia l'allarme: “Tutelare le madri significa tutelare il futuro”

di CATERINA CECCUTI -
3 maggio 2023
L'arrivo di un bambino è indubbiamente la gioia più grande e più attesa da parte di una mamma. Purtroppo, a separare il piccolo dall'abbraccio più significativo della sua esistenza, c'è l'esperienza del parto che, bene o male, rappresenta in tutti i casi un evento alquanto traumatico per una donna. Non parliamo esclusivamente dello sforzo fisico e della sofferenza, ma anche della tempesta ormonale che segue le ore e i giorni immediatamente successivi all'avvenimento. Emozioni grandi, esperienze forti, così forti che, quando non vengono controllate correttamente, possono generare scompensi e disequilibri psicologici che possono avere ricadute anche sulla salute del bambino. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale Materna facciamo luce sulla violenza ostetrica, un tema poco battuto che coinvolge più del 50% delle madri. “Già dalla gravidanza - spiega la psicoterapeuta Valeria Fiorenza Perris, Clinical Director del servizio di psicologia online Unobravo -, la donna si trova a vivere profondi stravolgimenti fisici e psicologici. Per questo, il periodo gravidico e postnatale rappresenta per molte un momento di grande fragilità emotiva in cui, spesso, può verificarsi un’alternanza tra felicità e sentimenti ambivalenti, quali dubbi, incertezze, ansie e, persino, paure. Tali sensazioni possono essere difficili da accettare e, se non elaborate correttamente, divenire fattori di rischio per la salute mentale della donna e avere anche importanti implicazioni sulla coppia, sul feto e sull’intero sistema familiare”.

La psicoterapeuta Valeria Fiorenza Perris, Clinical Director del servizio di psicologia online Unobravo

Violenza ostetrica e benessere psicologico

Sembra esistere infatti una stretta correlazione tra il benessere psicologico della madre e quello del bambino: “Un figlio è sano se anche la sua mamma sta bene. Pertanto, solo proteggendo questa delicata fase di vita della donna e il suo benessere emotivo è possibile tutelare e preservare la salute del bambino. Recenti studi - puntualizza Perris - dimostrano che stress prolungati in gravidanza e nel post parto possono alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno-fetali, e avere conseguenze sia sulla condizione mentale della madre che sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale della nuova vita che ha in grembo. Anche il momento del parto risulta essere determinante. Un’esperienza negativa può, infatti, lasciare un segno profondo nel vissuto personale della neomamma. Inoltre, è comprovato che le donne che subiscono un trauma durante il parto abbiano molte più possibilità di sviluppare una depressione perinatale”. Dottoressa, è vero che dare alla luce un figlio in Italia è un evento sempre più meccanico e medicalizzato? “Purtroppo sì. L’Italia ha una percentuale di mortalità e morbilità materna e neonatale tra le più basse in Europa. Però, siamo anche uno dei Paesi al mondo con il più alto tasso di tagli cesarei e di medicalizzazione del percorso nascita. Nel 1985, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato una lista di raccomandazioni sulle modalità di assistenza al travaglio, al parto e al post partum, poi aggiornata nel 2018. Nel documento sono indicate in modo preciso e puntuale le pratiche ritenute appropriate ed efficaci e quelle, invece, sconsigliate, perché intrusive e potenzialmente persino dannose. Ciò nonostante, sono ancora moltissime le strutture sanitarie, nel nostro Paese e nel mondo, che non si attengono alle esortazioni dell’Oms e che, basandosi su protocolli interni spesso obsoleti, mettono in atto un’assistenza standardizzata, meccanica, aggressiva e irrispettosa delle volontà e dei diritti delle madri. È essenziale invece che, per ogni parto, sia garantito un livello appropriato di assistenza ostetrica e cure attente ai bisogni fisici e psichici della mamma e del suo neonato. Dare alla luce un figlio è un’esperienza unica e intensa. Proprio per questo, a nessuna madre dovrebbe essere negato il diritto di vivere un momento tanto importante secondo il proprio modo di essere e di sentire. È fondamentale promuovere una cultura della nascita più consapevole, rispettosa e pensata per le esigenze di ciascuna donna. Infatti, se, da un lato, la medicalizzazione e i protocolli sanitari hanno contribuito a ridurre l’incidenza di complicanze - assolutamente auspicabile soprattutto in presenza di fattori di rischio - dall’altro, iscrivere il parto all’interno di una routine standardizzata rischia di svuotare un evento tanto straordinario della sua unicità e del suo senso più profondo”. Violenza ostetrica: cos’è e come si manifesta? “La ONG Save the Children la definisce come 'un insieme di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l'eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso'. La violenza ostetrica costituisce, quindi, una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e un grave rischio per l’integrità fisica e mentale della donna. Benché tali circostanze possano presentarsi durante tutto l’arco della vita femminile, è comprovato che esse si verifichino con maggior frequenza e intensità durante il percorso nascita, che riguarda le fasi della gravidanza, del parto e del puerperio”.
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Una bimba appena nata nella sua culla

Violenza ostetrica come violazione dei diritti umani e violenza di genere... “Nel 2019, la violenza ostetrica è stata scelta da Dubravka Šimonovic, relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne, come tema dell’anno. Il rapporto redatto dalla Šimonovic, a cui hanno contribuito oltre 120 Paesi con dati, materiali e resoconti, rappresenta ad oggi il documento più approfondito ed esaustivo sull’argomento, inoltre inquadra per la prima volta il fenomeno nell’ambito della violenza di genere. La violenza ostetrica affonda infatti le sue radici nella cultura patriarcale, tuttora ancora dominante nella nostra società e da cui non è esente neppure il campo medico. Si basa su degli stereotipi di genere che portano a non prendere seriamente le donne, al punto da escluderle persino dal processo decisionale che riguarda il loro corpo e il momento del parto. Questo retaggio culturale può portare il personale sanitario a praticare interventi invasivi e spesso non necessari sulla madre, senza che le venga chiesto il consenso”. Dottoressa, può farci alcuni esempi? “Tra le pratiche da tempo non raccomandate dall’Oms perché considerate non necessarie e capaci di generare disagio o sofferenza troviamo il clistere e la depilazione del pube, il divieto prolungato di assumere cibo o bevande, l’impossibilità di scegliere la posizione preferita durante il travaglio e il parto, il taglio precoce del cordone ombelicale e la separazione del neonato dalla mamma subito dopo la nascita. A queste si aggiungono anche la manovra di Kristeller, una vigorosa spinta col braccio sull’addome volta a favorire l’uscita del bimbo, il rifiuto di somministrare un anestetico come l’epidurale, l’utilizzo eccessivo di ossitocina sintetica per indurre le contrazioni e la pratica di suturare eventuali lacerazioni con dei punti extra, spesso non necessari e praticati con l’intento di restringere la vagina per aumentare il piacere del partner durante i rapporti sessuali nei mesi successivi al parto”. In Italia a che punto siamo? “Solo in anni recenti le madri hanno iniziato a far sentire la propria voce e a denunciare. Questo ritardo è riconducibile al fatto che, in moltissimi casi, le stesse donne hanno avuto difficoltà a prendere coscienza del problema della violenza ostetrica e a realizzare di esserne state vittime. Ciò è dovuto soprattutto al retaggio, ancora molto diffuso nella nostra cultura, che vede la sofferenza della partoriente come qualcosa da lodare e glorificare e che fa sì che, in sala parto, qualsiasi forma di esproprio dei diritti sul corpo a danno della madre sia considerato normale e ampiamente legittimato. A portare per la prima volta il tema della violenza ostetrica all’attenzione del pubblico e dei media italiani è stata la campagna social del 2016 '#BastaTacere le madri hanno voce'. Per due settimane, le donne sono state invitate a raccontare la propria esperienza di parto su un foglio bianco, per poi fotografarlo e postarlo sulla pagina della campagna. Con migliaia di testimonianze raccolte, l’iniziativa ha fatto sì che, anche in Italia, si levasse finalmente un coro di voci sul tema della violenza ostetrica. Sulla scia dell’iniziativa social è poi nato OVOItalia, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, un organismo della società civile, gestito da madri, che porta avanti importanti attività di ricerca, raccolta dati e divulgazione sull’argomento”. Nel 2017, OVOItalia ha commissionato un’indagine a Doxa che potesse restituire un quadro esaustivo sulla violenza ostetrica nel nostro Paese. Per lo studio è stato coinvolto un campione di circa 5 milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54 anni d'età, con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 14 anni. Gli esiti del sondaggio, resi poi pubblici in un articolo dell’European Journal of Obstetrics & Gynecology, hanno portato alla luce una fotografia molto allarmante: il 21% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito abusi o violenze nel corso della prima esperienza di parto. Oltre 4 donne su 10 sono state vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica. Il 54% delle partorienti ha detto di aver subito un’episiotomia, un’operazione molto invasiva e sconsigliata anche dall’Oms in quanto dannosa e lesiva, a cui il 61% ha dichiarato di non aver mai dato il proprio consenso informato. Quando praticata 'a tradimento' o senza anestesia, l’episiotomia, che prevede il taglio chirurgico di vagina e perineo, può avere serissime conseguenze sulla sessualità e sulla salute mentale della donna.

Una mamma allatta al seno il suo bambino

Sempre secondo lo studio, il 6% delle intervistate ha detto di non volere più figli e di aver rinunciato a una seconda gravidanza a causa dell’esperienza traumatica vissuta. Altre donne, invece, dopo aver esperito un parto cruento, hanno lamentato difficoltà ad allattare. Tutto questo ha, ovviamente, fortissime conseguenze sociali. Si parla, infatti, di oltre 20 mila bambini non nati ogni anno”. Possiamo parlare di violenza ostetrica anche quando le donne vengono lasciate sole dopo il parto? “Sì, anche questa può essere considerata una forma di violenza ostetrica. Molto spesso, infatti, le madri vengono lasciate completamente sole fin dai primi momenti dopo il parto, senza che nessuno verifichi regolarmente le condizioni di salute fisica o psicologica loro e del neonato. Si tratta di un problema molto diffuso, come confermato anche da recenti studi scientifici, tra cui quello condotto dall’Istituto Burlo Garofalo di Trieste, Centro Collaboratore Oms per la Salute Materno Infantile. Dal sondaggio, che ha preso in esame un campione di quasi 5 mila donne che hanno dato alla luce un figlio tra marzo 2020 a febbraio 2021, nei mesi più duri della pandemia, è emerso che: il 78,4% non ha potuto ricevere assistenza dal partner, il 39,2% non si è sentita completamente coinvolta nelle scelte mediche, il 24,8% non si è sempre sentita trattata con dignità, mentre il 12,7% ha detto addirittura di aver subito abusi”. Quali possono essere, in concreto, le conseguenze della violenza ostetrica sulla salute della mamma e del bambino? “Nelle settimane successive al parto, fino all’85% delle mamme esperisce una forma leggera e temporanea di depressione ansiosa chiamata maternity blues. Altre conoscono, invece, la depressione post partum. La violenza ostetrica espone le donne a molteplici fattori di rischio. Infatti, un parto difficoltoso o cruento può avere moltissime conseguenze sulla salute psicofisica della madre, con ripercussioni anche sul benessere del bambino. L’aver esperito un trauma in un momento tanto unico, delicato e carico di aspettative può aumentare esponenzialmente le possibilità di sviluppare una depressione post partum o portare all’insorgenza di un disturbo post traumatico da stress. Potrebbero, inoltre, verificarsi manifestazioni di ansia e panico o condotte disfunzionali. Il trauma può anche aggravare condizioni preesistenti o agire da fattore scatenante di disturbi quali anoressia, bipolarismo, disturbo ossessivo-compulsivo e abuso di sostanze. È, inoltre, molto comune che le donne vittime di episodi di violenza ostetrica maturino sentimenti di rabbia, svalutazione e autocolpevolizzazione per aver subito impotenti e non essere riuscite a tutelare i propri diritti e quelli del loro bambino. Nei casi più gravi, l’instabilità psichica ed emotiva causata dal trauma, potrebbe persino inficiare le capacità della donna di prendersi cura del neonato e compromettere la creazione di una relazione empatica tra madre e figlio. Infine, non è raro che nelle donne possa svilupparsi un senso di rifiuto verso la maternità al punto da portare alcune di loro a negarsi la possibilità di avere altri figli. Tutelare le madri significa, quindi, tutelare le nuove generazioni e il nostro futuro”. Come fare per dare sostegno al benessere psicofisico di una madre e del suo bambino? “È fondamentale che si crei una coscienza diffusa del fenomeno. Il primo passo per eliminare questa forma di violenza è far sì che le donne acquisiscano maggiore consapevolezza dei propri diritti e che siano messe nelle condizioni di riconoscere i campanelli d’allarme di questo fenomeno e, soprattutto, non abbiano timore di far sentire la propria voce e denunciare, qualora necessario. Diventare madri è un’esperienza unica e straordinaria. Insieme alla gioia, possono però emergere anche incertezze, dubbi e paure. Per vivere al meglio la maternità è importante, per prima cosa, informarsi e prepararsi adeguatamente. In questo senso, i corsi preparto costituiscono una risorsa preziosissima. È, inoltre, fondamentale che ciascuna neomamma possa contare su una solida rete di sostegno, costituita da partner e familiari, ma anche dal personale sanitario coinvolto nel percorso nascita, quali ginecologi, ostetriche, consulenti dell’allattamento e pediatri. Tutte queste figure che orbitano attorno alla neomamma hanno il compito non solo di aiutarla nella gestione dei propri bisogni fisici e di quelli del bambino, ma anche di accoglierla, ascoltarla e comprenderla. Per poter vivere con più consapevolezza la maternità e i cambiamenti fisici ed emotivi ad essa connessi, può risultare molto utile rivolgersi a un professionista della salute mentale perinatale. La psicologia perinatale si occupa infatti di promuovere e tutelare il benessere di mamma e bambino durante tutto il percorso nascita”.