Come si sente un ragazzo di 24 anni ancora da compiere a un mese dalla sua prima Paralimpiade? Per informazioni, chiedere a Riccardo Bagaini, atleta paralimpico appartenente alla categoria T47 e specializzato nella corsa veloce, che ha da poco staccato il pass per la rassegna a cinque cerchi in programma in Francia dal 28 agosto all’8 settembre.
Classe 2000, fa parte del team di atleti coinvolti nel progetto fly2paris, l’iniziativa organizzata da art4sport onlus in vista dei Giochi estivi di quest’anno.
Nato con l’arto superiore sinistro troncato sull’avambraccio, nel comune svizzero di Sorengo, Riccardo ha vissuto a Orta San Giulio e si è avvicinato allo sport sin dalla tenera età, in un viaggio che è partito dallo sci e dal calcio per poi arrivare alla meta più importante della sua vita, l’atletica. Qui ha trovato la sua dimensione, togliendosi soddisfazioni via via sempre più importanti e dimostrando di poter competere ad altissimi livelli.
Convocato inizialmente come prima riserva della nazionale italiana per Giochi Paralimpici di Parigi 2024, Bagaini è poi entrato ufficialmente a far parte della delegazione azzurra prendendo il posto del lanciatore Giuseppe Campoccio, costretto a dare forfait a seguito del mancato rilascio dell’idoneità agonistica. La qualificazione rappresenta l’ultimo capitolo, almeno fino a ora, della tortuosa storia dell’avvicinamento di Bagaini alla rassegna parigina, iniziata proprio nella capitale francese nel luglio 2023.
La sua partecipazione a Parigi 2024 arriva dopo un anno molto intenso. Che cosa rappresenta per lei questo risultato?
“Ho creduto e sperato tanto di potercela fare, la soddisfazione è grande e ripaga i sacrifici e il sudore. È stato il culmine del percorso difficile che ho affrontato nell’ultimo anno. Sono sempre stato convinto dei miei mezzi e delle mie potenzialità, al di là della pressione, degli alti e bassi e di una certa ‘ossessione’ per questo traguardo così ambito. La strada ha cominciato a diventare in salita dodici mesi fa, a Parigi, ai Mondiali di atletica leggera paralimpica. Si trattava della prima gara importante per accedere ai Giochi, i primi quattro classificati in finale si sarebbero qualificati per le Paralimpiadi. Mi sono piazzato al quarto posto, salvo poi essere squalificato per aver pestato una linea e finire ottavo. Da lì si è complicato tutto. La Federazione mi aveva inizialmente convocato in qualità di prima riserva della rappresentativa della nostra Nazionale ma poi, pochi giorni dopo, mi sono ritrovato invece a far parte del team di atleti che gareggeranno in Francia. Colgo l’occasione per augurare una pronta ripresa a Giuseppe Campoccio, mi dispiace molto che non potrà competere con la squadra”.
Si sente pronto per gareggiare al massimo delle sue possibilità?
“Sto lavorando con fiducia sulla mia preparazione fisica. Mi sento molto bene, manca poco più di un mese e ovviamente non sono ancora al top, ma sono sicuro e determinato ad arrivare a gareggiare nella miglior forma possibile”.
Questo sarà il suo primo appuntamento con una Paralimpiade, quali sono i pensieri che attraversano la sua mente ora?
“Ripenso anche a Tokyo (Giochi Paralimpici Tokyo 2020, ndr), nel perseguimento di quell’obiettivo credo mi siano mancate anche la giusta prospettiva e capacità di leggere e interpretare le sconfitte. D’altra parte, se c’è un insegnamento che la vita mi ha dato è che se qualcosa è facile, allora non fa per me. Sono nato con l’arto superiore sinistro troncato sull’avambraccio, è un dato di fatto e non è colpa di nessuno, è così e basta. In questo senso, crescere in un piccolo paesino mi ha messo in una condizione in cui poteva capitarmi facilmente di essere etichettato come ‘quello senza un braccio’, il che mi dava fastidio, perché si parlava di me relativamente a qualcosa di cui né io né altri avevamo alcuna colpa.
L’atletica, oltre alle soddisfazioni strettamente sportive, mi ha anche permesso di uscire da questa situazione, perché ora le persone che si ricordano o parlano di me mi riconoscono in primo luogo per ciò che ho fatto e dimostrato. A quasi 24 anni, dopo tante mattine passate a svegliarmi chiedendomi se sarei riuscito o meno a coronare il mio sogno a cinque cerchi, posso dire che questa disciplina mi ha regalato il palcoscenico più importante che esista e non vedo l’ora. Il mio pensiero va anche a tutti quelli che mi hanno supportato, il mio allenatore, la famiglia, gli amici, il GSPD, l’associazione art4sport onlus e la mia società, è anche grazie a loro che rinforzo costantemente il mio stimolo a gareggiare a livelli sempre più alti, mi piace pensare che il mio sogno sia condiviso da tutti coloro che mi vogliono bene, tanto da diventare un obiettivo comune”.
Lei ha iniziato praticando lo sci e giocando a calcio, poi è arrivata l’atletica. È stato amore a prima vista?
“Non c’è stato un vero e proprio momento di ‘folgorazione’ nei confronti dell’atletica. Ho iniziato anni fa a scuola, grazie al mio professore di educazione fisica, che mi aveva chiesto di partecipare a una corsa campestre studentesca. Da lì in poi ho cominciato a notare che, giorno dopo giorno, quello che facevo mi piaceva sempre di più e la mia ambizione cresceva. Magari partivo da una gara provinciale, vincevo, e a quel punto volevo alzare l’asticella, salire un gradino più in alto, progressivamente. Ho capito ben presto che guardare troppo lontano può costare caro e far cadere in errore.
Con Tokyo è andata così, probabilmente non ero ancora pronto, ho guardato troppo in là e ho smesso di essere quel bambino affascinato dall’atletica che si poneva passo dopo passo obiettivi giusti e coerenti con il proprio percorso. Ora ritengo di aver ritrovato il piacere puro e spensierato di quel ragazzino. La qualificazione, poi, mi ha ridato quelle sensazioni che cercavo da tempo e sono convinto che, a livello mentale, potrà costituire uno step di crescita importante per me”.
Come si immagina il giorno della sua gara in Francia?
“Credo sia ancora presto per ‘visualizzare’ un evento così importante. Negli ultimi tre anni ho atteso tutto questo, di vestire e competere con la maglia azzurra, sto ancora realizzando che cosa rappresenti. La fiducia della Federazione, del team che mi ha supportato e delle persone intorno a me è stata importante, ora tocca a me fare quel passo in più e dare tutto non solo per me stesso, ma anche per chi mi sta intorno. Lo sport è straordinario sotto tanti punti di vista e tra questi l’aspetto competitivo riveste un ruolo primario, per cui voglio giocarmi le mie carte.
Quando ho smesso di giocare a calcio ho fatto una scelta, che come tutte comporta delle rinunce e porta con sé delle incognite per il futuro. Pertanto devo molto anche al me stesso di allora, che ha avuto il coraggio di inseguire il suo sogno nell’atletica, che oggi si è trasformato nell’occasione della vita. Se ci penso, anche a livello prettamente numerico, sono in pochi ad avere questo privilegio, perciò sono ancora più fiero di andare a Parigi con la nostra Nazionale.
Grazie al progetto fly2paris, inoltre, voi atleti del team sarete ancora tutti insieme, qualificati e non, a darvi sostegno l’un l’altro. Quanto è importante questo aspetto per lei?
“Sono molto orgoglioso di essere parte di questo progetto. Noi ragazzi del team pratichiamo sport diversi, abbiamo differenti storie e vicissitudini alle spalle che ci hanno portati a entrare a far parte del mondo paralimpico. Allo stesso tempo, però, abbiamo un sogno, un obiettivo comune, per questo siamo spinti ancora di più a impegnarci e a stimolarci come una squadra, aiutandoci a vicenda. Ognuno poi ha il proprio percorso, molti di noi sono giovani e possono imparare molto dai più esperti, ma in generale la condivisione ci aiuta a essere capiti nella vita quotidiana, a sentirci uniti. Non siamo ‘supereroi’, siamo persone che attraverso lo sport hanno scelto quale senso dare alle loro vite. Siamo una famiglia e il tifo per i compagni non mancherà. Il progetto ci ha dato un grande aiuto a livello comunicativo, ma anche umano. Le mie gare saranno negli ultimi giorni della rassegna e dovrò essere concentrato sin dal mio arrivo, spero di poter passare un po’ di tempo con tutti a casa art4sport e di festeggiare tanti successi insieme.
La sua storia con art4sport è iniziata ormai diversi anni fa. Com’è stato il suo incontro con l’Associazione?
“Ho incontrato casualmente Bebe (Vio Grandis, ndr) e Teresa (Grandis) presso l’Arte Ortopedica di Budrio. Ero insieme al mio allenatore e all’ingegnere del centro, che mi stavano aiutando a lavorare con la mia protesi. Avevo circa 13 anni e, a quei tempi, non sapevo nulla del mondo paralimpico. Bebe mi ha colpito subito per la sua carica, mi ha aperto letteralmente un mondo. Teresa ha raccontato a me e a mio padre la realtà di art4sport. Sono poi entrato a farne parte nel 2014, in occasione di un incontro alla Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico. Con l’Associazione ho la possibilità, insieme a tanti altri, di avere gli strumenti per praticare lo sport che amo.
L’associazione lavora da sempre per la crescita del mondo paralimpico: secondo lei quali sono i punti su cui c’è ancora da lavorare?
“La conoscenza è aumentata tantissimo negli ultimi anni, basti pensare che oggi ormai quasi tutti sanno o hanno sentito parlare almeno una volta nella vita di Paralimpiadi o di sport paralimpico. La disabilità non è più nascosta, non c’è più il ‘timore’ di mostrare una protesi o una carrozzina. Personalmente credo che il prossimo step sia eliminare l’atteggiamento pietistico verso le persone con disabilità. In un primo momento è anche comprensibile, ma poi finisce lì, anche perché sappiamo che spesso i punti apparentemente deboli possono diventare di forza, così come le mancanze possono trasformarsi in opportunità. Mi auguro inoltre che, fra i genitori delle bambine e dei bambini con disabilità, si diffonda una cultura che eviti l’iperprotezione. Molte volte c’è una specie di ‘senso di colpa’, ovviamente immotivato, per una figlia o un figlio nati con disabilità, che può spingere a un’eccessiva apprensione. Un atteggiamento più equilibrato può anzi rendere più semplice vivere una vita ‘normale’”.
Ha uno o più punti di riferimento nel mondo dello sport?
“Ho sempre ammirato Roger Federer, un campione straordinario che mi ha colpito per la sua eleganza dentro e fuori dal campo. Anche a Parigi incontrerò senz’altro tanti campioni a cui mi posso ispirare. In futuro vorrei diventare io stesso una potenziale fonte di ispirazione, sarebbe un orgoglio immenso, oserei dire il più grande”.
Qual è l’aspetto caratteriale o sportivo sul quale sente di aver maggior bisogno di lavorare, magari proprio in vista di Parigi?
“Ho capito quanto sia importante essere pronti a livello mentale per andare avanti e migliorare anche a livello di prestazioni in pista, ci sto già lavorando e continuerò a farlo. Per il resto voglio godermi questi momenti e questa esperienza dopo anni di sacrifici e creare ricordi belli e indelebili, senza troppe pressioni, ottenendo il miglior risultato possibile”.