“La mia vita dopo le amputazioni è cambiata. E ora la trovo in tutto e per tutto più appagante di prima. Dal punto di vista emotivo, mentale”. Un messaggio forte, una consapevolezza rara per un ragazzo di appena 31 anni. Davide Morana è così: pochi fronzoli e il pensiero sempre volto al presente. Senza chiedersi dove sarà tra 5 o 10 anni. “Perché la vita cambia in fretta e ciò che noi possiamo fare è soltanto dare il nostro meglio ogni giorno”.
Poche semplici frasi, che raccontano alla perfezione il pensiero del ragazzo originario di Palermo, impegnato, con il gruppo fly2paris di art4sport ONLUS per cercare di staccare il pass nell'atletica in vista delle Paralimpiadi di Parigi. Morana si racconta a tutto tondo, senza maschere né frasi di circostanza. A partire da quel 13 gennaio 2018 che ha inevitabilmente cambiato la sua vita, quando una meningite batterica ha reso necessaria l'amputazione dei 4 arti.
Davide, a oltre sei anni di distanza da quella meningite che l’ha portata all’amputazione dei quattro arti, come vede la sua vita ora?
“Io sto bene, ogni giorno continuo sulla mia strada. La mia esperienza mi ha portato ad accettare tutte le difficoltà e voglio sempre superare le barriere che trovo nella mia vita”.
Con un grande sogno, le Paralimpiadi...
"Voglio fare una premessa. Sono un atleta paralimpico da appena due anni. Ho sempre praticato sport e così ho deciso di fare anche dopo la malattia. Mi sono informato, ho studiato e ho scelto di cimentarmi nella corsa. E ora sì, lotto per arrivare alle Paralimpiadi. Non so se ce la farò già a Parigi (si saprà nelle prossime settimane, ndr), ma sicuramente continuerò a inseguire questo mio sogno”.
Qual è la sua categoria?
"Io gareggio nella categoria che comprende i transtibiali bilaterali, ovvero quelli che hanno perso le due gambe, sotto il ginocchio. La differenza è che però a me mancano anche le braccia ma non c'è una categoria specifica e quindi sicuramente questa è una grande sfida”.
Se poi non dovesse qualificarsi per Parigi, andrà comunque con i ragazzi del progetto di fly2paris...
“Sì, esatto. Ho preso parte assieme ad altri 16 ragazzi dell'Associazione art4sport al progetto fly2paris. Quindi, nel caso, seguirò le prestazioni degli altri ragazzi. Anche perché nell'atletica serve tempo. Sono un atleta paralimpico da soltanto due anni e il mio corpo deve ancora crescere e superare molti step, per migliorare anche gli assetti di corsa. Nell'atletica leggera i risultati si vedono dopo 4, 5, 6 anni. Devo essere bravo a non avere fretta, altrimenti subentra la frustrazione che è il vero freno a mano dell'atleta”.
E riesce sempre a non farsi cogliere dall'impazienza?
“Ovviamente no, ma è un lavoro costante. E io sono felice del percorso che sto affrontando”.
Parlavamo di fly2paris: ci racconta come nasce il suo ingresso in art4sport e come sta procedendo questo progetto?
“Dopo le amputazioni ho iniziato a girare per varie ortopedie. Ho conosciuto Teresa (Grandis, la mamma di Bebe Vio e presidente dell'Associazione, ndr). Lei mi ha spiegato cosa potessi fare e mi consigliò Arte Ortopedica, per quel che riguardava le protesi sportive. Non sono entrato subito in art4sport, ho iniziato a far parte del team nel 2022. E poi ci siamo lanciati in questa avventura di Parigi. Con i ragazzi c'è un bel clima, sarebbe bello magari riuscire a vedersi un po’ di più ma ognuno di noi ha i suoi impegni e quindi è difficile... Lo sport richiede tanto impegno ed è difficile riuscire a far combaciare tutti gli impegni”.
Tra di voi c'è anche competizione...
“Il rapporto tra di noi è ottimo. Io sono sempre estroverso e tendo a creare dei legami con le persone con cui mi confronto. Quando ci vediamo è sempre un'esplosione di gioia, allegria e simpatia. Ma la competizione è un mero gioco. Lo sappiamo anche noi. La vera competizione è quella nella nostra vita quotidiana...”.
Per cosa gareggia lei?
“Competo con me stesso e porto avanti la mia condizione di poliamputato. Sono autonomo, indipendente e vivo da solo. Per me quella è una competizione con cui convivo sempre. Amo superare le barriere della vita”.
C'è ancora chi parla di diversità in termini dispregiativi. Cosa risponde?
“Io gli consiglierei di ricercare un po' di più dentro se stesso e di uscire dall'egocentrismo che caratterizza l'umano nel giornaliero. Dobbiamo imparare a empatizzare e a metterci a disposizione degli altri. Ciascuno di noi ha le sue disabilità e chi magari ci guarda con pietismo in realtà sono gli stessi che nelle nostre condizioni si direbbero ‘povero me’. Ma il ‘povero me’ è una concezione tremendamente chiusa. Poi, questi concetti li puoi spiegare bene quanto vuoi, ma le persone devono essere pronte con se stesse per fare questo step di crescita”.
C'è un qualcosa che cambierebbe nella sua vita?
“Io voglio essere quello che sono in questo momento. Il mio cammino è in evoluzione e grazie a questa evoluzione mi accetto. Non riesco a vedermi nel futuro. Ma so che il Davide che ci sarà tra 10 anni sarà sempre consapevole delle sue scelte e decisione. Giuste o sbagliate che siano. Siamo chi siamo anche grazie ai nostri errori”.