Una sconfitta per chi, come il 'padre' del ddl, il dem Alessandro Zan, si era speso fino all'ultimo per trovare un compromesso con le altre forze politiche, sorde alle richieste di milioni di cittadini. "Chi per mesi, dopo l'approvazione alla Camera, ha seguito le sirene sovraniste che volevano affossare il ddl Zan è il responsabile del voto di oggi al Senato. È stato tradito un patto politico che voleva far fare al Paese un passo di civiltà. Le responsabilità sono chiare" è stato il suo commento amareggiato dopo la decisione a Palazzo Madama.
Una scelta ventilata, minacciata, temuta, scongiurata, che alla fine si è avverata (ne avevamo parlato qui). Il Ddl Zan cade alla prova dell'Aula, nell'anonimato del voto segreto richiesto da Lega e FdI. L'Italia rimarrà quindi senza una legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l'abilismo. Una decisione he arriva dopo mesi di ostruzionismo, di rinvii, di propaganda fuorviante da parte degli oppositori della destra, di pressioni indebite del Vaticano e di un atteggiamento costantemente ambiguo dei centristi di Italia Viva, ancora una volta ago della bilancia di un Paese appeso a poche manciate di voti. A Palazzo Madama l'esame del provvedimento, approvato dalla Camera circa un anno fa, nel novembre 2020, era stato interrotto il 20 luglio per la pausa estiva. Ma, come si temeva, la ripresa dei lavori non ha fatto altro che sancire la definitiva morte della legge. La pietra tombale l'ha posta la presidente del Senato Elisabetta Casellati, quando ha dato il via libera alle due richieste di non passaggio all'esame degli articoli del ddl Zan e, ha definito "ammissibile" in base ai regolamenti e ai precedenti il voto segreto chiesto dai senatori Calderoli (Lega) e La Russa (FdI). Inevitabili quanto ormai inutili le proteste che si sono scatenate dai banchi del Pd, M5S e Leu, in particolare dai senatori Luigi Zanda (Pd), Loredana De Petris (Leu) e Gianluca Perilli (M5S). "La mia decisione ha solide fondamenta di carattere giuridico" è stata la secca replica della presidente. Lapidaria.Voto segreto e voti mancanti
Non è bastato neppure l'appello rivolto dal deputato alla presidente Casellati perché non concedesse il voto segreto, che, come poi è avvenuto, "avrebbe potuto uccidere la legge". Detto fatto. E mentre fuori, sui social, si scatena l'indignazione dei movimenti pro lgbtq+, degli attivisti, dei personaggi dello spettacolo che si erano schierati a favore del ddl, in Aula vanno in scena grida goliardiche di esultanza per l'affossamento. Nei palazzi della politica intanto si è aperta la caccia ai voti mancanti. I primi ad essere annoverati tra i franchi tiratori, i senatori di Italia Viva: "Se Iv avesse ri-votato al Senato la legge che aveva votato alla Camera, non ci saremmo trovati in questa situazione. Il Paese ne esce mortificato", afferma la parlamentare grillina Alessandra Maiorino. La sconfitta brucia nel Pd, il senatore Andrea Marcucci parla di un "gravissimo danno per il Paese. Si dovrà riflettere su quanto accaduto, è una grave sconfitta di tutto il Parlamento. Sono mancati almeno 20 voti, sinceramente non mi aspettavo questo voto – aggiunge – bisogna fare una riflessione su come è stata gestita perché se questa è la conclusione vuol dire che degli errori sono stati fatti ma non arrivo a emettere sentenze". E il segretario dem Enrico Letta tuona: "Hanno voluto fermare il futuro, ma il Paese è altro".
Ventitré voti. Numeri che, profeticamente, qualcuno aveva già preannunciato sarebbero mancati. Sulla carta il Centrosinistra avrebbe dovuto avere la meglio: "Avevamo 149 voti, contati e controllati", fa sapere Loredana De Petris, Leu. "Quindi c'è stata una defezione di 18 voti, 16 sono andati al Centrodestra, 2 astenuti. Le assenze non sono state rilevanti. Il problema è di chi dice una cosa e poi ne fa un’altra", sottolinea. Nelle file dei democratici c'è chi non si arrende all'evidenza e punta il dito contro gli avversari: "Bisogna chiedere le dimissioni a chi ha gestito questa vicenda. Sono sconvolta– accusa la senatrice Valeria Fedeli –. Non credo che fosse previsto questo andare a un voto al buio. Mi si diceva sempre che i numeri c'erano, lo ha fatto anche il segretario Letta...". E chi ammette le proprie colpe: "Avevamo fatto dei calcoli che si sono rivelati sbagliati – precisa Monica Cirinnà –. Guardate il pallottoliere e valutate voi. Il centrosinistra della maggioranza Conte è seppellito. Il centro sinistra riparte da Pd, LeU e M5s". E aggiunge che il testo del ddl Zan "è morto": "Il regolamento dice che tra sei mesi se ne può presentare un altro diverso sullo stesso tema. Tutto lavoro buttato", sottolinea ancora Cirinnà.
"Non è una bocciatura": la replica dei contrari al ddl
A chiedere la "tagliola" erano stati Lega e Fratelli d'Italia: "Piuttosto di fare una porcata, e io me ne intendo, preferisco fermarci qui". Con queste parole il senatore leghista Roberto Calderoli ha illustrato la richiesta di andare direttamente al voto finale a scrutinio segreto, bypassando l'esame degli emendamenti articolo per articolo. "Mi appello a tutti perché ciascuno possa esprimersi liberamente nel segreto dell'urna. Fermiamoci oggi – ha aggiunto Calderoli –. Non è una bocciatura di una legge, si può ripartire immediatamente ad esaminare un testo vero, meglio uno stop oggi che un ahimé domani". Dello stesso parere anche i sentori forzisti, che attraverso la capogruppo Annamaria Bernini hanno annunciato il voto a favore della proposta leghista contro il ddl Zan: "Non possiamo firmare cambiali in bianco. Il testo tornerà in commissione tra sei mesi", apre.
C'è chi vota sì
Anche in Forza Italia, però, non tutti erano d'accordo. La senatrice Barbara Masini, ad esempio, che già in passato aveva chiesto ai suoi di aprirsi al dialogo sul tema dell'omotransfobia, è stata tra i 131 che hanno votato a favore dello Zan.
Ma non sente di aver tradito i compagni di scranno: "Non sono non sono delusa dal mio partito, mi hanno dato la possibilità di votare in dissenso dal gruppo. I franchi tiratori non sono certo dalla nostra parte, il centro sinistra si deve interrogare".
Infine Italia Viva, che alla Camera aveva votato a favore del ddl, poi però aveva chiesto una "mediazione in particolare sugli articoli 1, 4 e 7" ha di nuovo fatto marcia indietro, votando a favore dell'esame. "Faremo il nostro dovere fino in fondo anche se siamo contrari al muro contro muro – dice in Aula il capogruppo Davide Faraone –. Auspichiamo che con il nostro voto la legge rimanga dentro il binario". Mai auspicio – o forse sì – fu meno fortunato.
E ora il cammino sulla strada dei diritti è di nuovo da tracciare.